Admin
Utente non iscritto
|
|
« Risposta #1 inserito:: Giugno 21, 2011, 05:10:34 pm » |
|
21/6/2011
E Londra abbandona l'Europa
RICHARD NEWBURY
All’estero è terribile. Lo so. Ci sono stato», diceva il re imperatore Giorgio V, l’adorato Nonno Inghilterra di Elisabetta II. Non aveva una sola goccia di sangue inglese nelle sue vene e come cugini primi annoverava il kaiser Guglielmo e lo zar Nicola, ma in questo tagliente giudizio reale rifletteva una convinzione profonda dei suoi sudditi.
L’«estero» era «il Continente». Come recitava il titolo di un giornale: «Nebbia sul Canale, il Continente isolato».
Suo figlio Giorgio VI ha espresso questo umore nel giugno 1940, dichiarando: «Finalmente soli. Non siamo più costretti a essere gentili con nessun maledetto straniero». Come diceva il portiere al club Whites di St. James: «Bene, siamo in finale, e giochiamo in casa».
Ma più recentemente la vignetta di un giornale recitava: «Finalmente soli. Tutti noi, 500 milioni». L’Impero e il Commonwealth che comprendevano un quarto del territorio e della popolazione del globo erano i benedetti territori d’Oltremare. Quando recentemente i miei tre figli e i loro amici inglesi, tutti ragazzi, andarono in campi di lavoro in Zimbabwe, Kenya e Singapore, nessun genitore ne fu preoccupato, perché i loro bambini restavano a casa. Ma quando il gruppo si spostò «all’estero», in Francia e in Italia, le famiglie si preoccuparono per la loro incolumità.
La perdita di Calais, ultima proprietà continentale inglese nel 1558, come risultato del matrimonio di Maria I la Sanguinaria con Filippo II di Spagna, aveva chiuso un’epoca, mentre di lì a poco la circumnavigazione di Francis Drake del 1577-80 ne avrebbe aperta un’altra. Il profitto del 4700% ricavato dalla Regina e dalla Corte venne considerato da John Maynard Keynes il capitale di avviamento dell’Impero Britannico, usato per le navi che sconfissero l’Armada spagnola e poi per fondare la Compagnia delle Indie Orientali. L’Inghilterra volse le spalle al Continente e pagò Federico il Grande per tenere occupata la Francia mentre al culmine della guerra dei Cento Anni (1690-1815) con Parigi si prendeva l’India, il Canada e salvava le 13 colonie inglesi in perdita.
L’identità prima inglese e poi anglo-scozzese, o britannica, venne forgiata nell’opposizione alla Spagna e alla Francia, la cui ideologia veniva percepita e temuta come l’assolutismo cattolico. I confini - ancora abbastanza attuali - vennero tracciati in economia tra Colbert e Adam Smith, e tra la rivoluzione industriale e quella francese. L’idea commerciale che nessuna potenza doveva dominare l’accesso ai porti continentali portò l’Inghilterra a farsi coinvolgere, a costi disastrosi in termini di sangue e denaro, nelle avventure imperiali della Germania, militarmente riuscite e politicamente inette. L’incidente non fece che confermare l’allergia britannica verso l’Europa e convinse gli inglesi nel 1941 a rendere l’Impero e la City a Washington e a New York, piuttosto che a Berlino.
L’élite politica degli Anni 70 riteneva invece che la Germania avesse in fondo vinto la guerra e perciò scelse di aderire - nonostante un dissenso che riguardò tutti i partiti - al Mercato comune europeo. Fu la svolta storica più importante della politica estera inglese dal 1558. Venne spacciata per adesione a un libero mercato e non come «un’unione ancora più stretta», e l’opinione pubblica britannica di tutti gli schieramenti politici se ne risente ancora. Ogni decisione di Bruxelles (ormai un insulto nell’inglese contemporaneo) o di Strasburgo non fa che confermare, agli occhi dei britannici, che qualunque «unione più stretta» non può che venire praticata alle spese della «Common law», della sovranità parlamentare e dell’economia di libero mercato. Dai sondaggi appare che per i giovani la «Fortezza Europa» appare troppo provinciale per un’economia globale. Gli inglesi possono comprarsi case nel Continente per farci le vacanze, ma si sentono a casa in Australia o negli Usa, e infatti spesso emigrano in questi Paesi con i quali condividono il sistema giuridico, politico ed economico. Il referendum sull’Ue promesso da Cameron oggi non è praticabile in quanto l’unico partito pro Europa, i LibDem, è anche partner della coalizione di governo.
E la crisi europea? L’unica cosa per la quale viene oggi ringraziato Gordon Brown è l’aver bloccato l’ambizione politica di Blair di entrare nell’euro. Nel 2002 un rapporto della Banca d’Inghilterra sconsigliò l’adesione alla moneta unica se non accompagnata da un’unione fiscale o politica. E prevedeva per la fine del ciclo economico nel 2010 due varianti, la G o la I. La G come Germania prevedeva che Berlino avrebbe sfondato il tetto del sistema euro, la I voleva che l’Italia o un altro dei Paesi dei PIIGS ne sarebbe stato catapultato fuori attraverso un buco nel pavimento.
A dirlo è stata Londra, capitale finanziaria del mondo per 300 anni, con tutta l’ambiguità che questa reputazione comporta. Se il Regno Unito avesse aderito all’euro oggi sarebbe in bancarotta e probabilmente il crac delle sue banche avrebbe provocato una depressione globale. Invece ha fatto quello che ora dovrebbe venire permesso di fare alla Grecia, al Portogallo e all’Irlanda. Abbiamo svalutato la nostra moneta del 20%. Sovvenzionare banche - o Stati - in bancarotta significa mettere tutti a rischio di un «azzardo morale». Il capitalismo mette a rischio i vostri soldi per guadagnare (o perdere). La mobilità sociale di individui e nazioni è il risultato del principio «il denaro si separa presto dagli imbecilli». «Non puoi imbrigliare il mercato»: è una convinzione profonda molto anglosassone, che il Continente non condivide fino in fondo.
da - lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=8878&ID_sezione=&sezione=
|