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Autore Discussione: Francesco Daveri - Nei Paesi emergenti c’è un tesoro: non va perso  (Letto 2073 volte)
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« inserito:: Giugno 28, 2011, 05:45:29 pm »

di Francesco Daveri

Nei Paesi emergenti c’è un tesoro: non va perso


    Durante la notte buia e tempestosa della crisi i Paesi emergenti sono emersi e sono diventati nuovi mercati. Non servono più solo per la delocalizzazione difensiva delle aziende italiane quando i costi di produzione salgono troppo nella madrepatria. Servono soprattutto perché promettono di diventare grandi bacini di domanda per beni di qualità medio-alta, il cosiddetto lusso accessibile. Sono beni di consumo — dall'alimentare al settore dell'arredamento, da quello delle calzature all'abbigliamento inclusivo di accessori — nella cui produzione l'Italia è spesso leader mondiale. E non stiamo parlando di noccioline, ma di una bella fetta delle esportazioni italiane, la seconda voce in ordine di importanza dopo la meccanica.
    Le stime del Centro Studi Confindustria, della Sace e di Prometeia suggeriscono che le importazioni di lusso accessibile potrebbero nel 2015 arrivare a 113 miliardi di euro, quasi il 50 per cento in più rispetto al 2009, al netto dell'inflazione. Sulla base di queste stime, la metà di questo aumento potrebbe arrivare dai paesi emergenti (o emersi che dir si voglia). Non dai soliti Bric (Brasile, Russia, India e Cina), ma da un ventaglio più ampio che comprende Emirati Arabi, Arabia Saudita, Kazakistan. Un mercatone di cui l'industria italiana detiene già oggi mediamente poco più dell'11 per cento, pari a 10 miliardi di esportazioni, e che arriverà a cifre ben più consistenti in pochi anni. Ma le aziende italiane non si stanno buttando a pesce nei paesi emersi. Piuttosto, sembrano diversificare con cautela la loro proiezione estera. Indicative di questo atteggiamento sono le scelte compiute dall’imprenditore napoletano Carlo Pontecorvo. Come raccontava Corriere Economia, anni fa Pontecorvo comprò un marchio in difficoltà — Ferrarelle — dalla Danone, riportando l'azienda in utile dal profondo rosso e investendo 30 milioni di euro in nuovi impianti e nuove linee di produzione. Ma, visto che in Italia il consumo di acque minerali è già il più alto del mondo, ha poi cominciato a guardarsi intorno, scegliendo per l'investimento fuori dai confini italiani due paesi molto diversi. Il 2010 è stato l'anno della prima filiale in America; e ora sta per arrivare lo sbarco in Russia. America e Russia, dunque, non solo Russia: non per caso e non solo per Ferrarelle.
    La ragione è semplice. E' vero che nei paesi emersi i consumi crescono di due cifre percentuali l'anno. Ma lo fanno a partire da un mercato iniziale che sarà ancora nei prossimi anni molto più piccolo di quello dei cosiddetti mercati maturi. Un +2,5 per cento di crescita del mercato americano — la crescita attesa dal Fondo monetario per gli Usa fino al 2015 — si tradurrà in un aumento complessivo di quasi 2 mila miliardi di dollari del Pil e, in proporzione, delle importazioni e dei consumi degli americani.
    La crescita prevista per la Russia è quasi doppia (+4,5 per cento). Ma farà crescere i redditi dei russi solo di 400 miliardi di dollari, un quinto dell'aumento registrato negli Stati Uniti nello stesso periodo di tempo. E questo vale certamente anche per il settore del lusso accessibile, tanto importante per il made in Italy: nel 2015 le importazioni russe saranno ancora solo il 5 per cento di quelle dei paesi cosiddetti maturi.
    Con questi numeri è ovvio che l'Italia multinazionale voglia tenere un piede in America e uno in Russia.
    C'è però un aspetto dell'internazionalizzazione che fa ancora fatica a guadagnare terreno nella consapevolezza e quindi nelle scelte delle aziende. I consumatori dei nuovi mercati saranno soprattutto giovani e donne dotati di un'autonomia di spesa e di una possibilità di soddisfare le loro preferenze di consumo sconosciute ai loro conterranei nel passato. Saranno consumatori e consumatrici potenzialmente molto sensibili a marchi status symbol , ma anche presumibilmente infedeli perché attratti dalle novità e quindi tendenzialmente inclini a «tradire».
    Insomma, la classe media dei Paesi emersi sarà fatta di consumatori da fidelizzare con marchi globali che veicolino l'idea della Dolce Vita italiana. In questa luce, il rafforzamento del core business e quindi dell'identità aziendale intrapreso in questi anni non risponde solo a esigenze di razionalizzazione, ma mette anche le basi per la creazione di marchi davvero globali che faranno marciare l'espansione italiana all'estero su basi più solide. Coraggio, Italia, viene da dire: il cielo là fuori non ci cadrà sulla testa.

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da - http://www.corriere.it/edicola/economia.jsp?path=TUTTI_GLI_ARTICOLI&doc=RUBBOX3A
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