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Autore Discussione: Thyssen Ora sarà difficile lavorare in Italia. (Volevano licenza d'uccidere?)  (Letto 2798 volte)
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« inserito:: Aprile 17, 2011, 05:14:18 pm »

Dopo la condanna a 16 anni dell'amministratore: non vogliamo diventare un pretesto

Lo sfogo dei vertici della Thyssen «Ora sarà difficile lavorare in Italia»

I dirigenti tedeschi: non siamo assassini, gli industriali reagiscano


TORINO - «Scusateci, ma abbiamo l'ordine di accompagnarvi fuori dal tribunale». Gli addetti alla sicurezza si sono avvicinati al presidente Klaus Schmitz e agli altri dirigenti di Thyssenkrupp Italia Spa mentre il giudice stava ancora leggendo la sentenza. Sono usciti di soppiatto, senza farsi notare. «C'era una situazione molto emotiva, non capisco come qualcuno possa negarlo».


Il giorno dopo, visto dall'altra parte. Quella dei «tedeschi», come venivano chiamati dagli operai dello stabilimento di Torino, che da venerdì sera detengono un primato non invidiabile per una società che si è sempre dichiarata all'avanguardia nella sicurezza sul lavoro. Harald Espenhahn, il capo assoluto, il loro amministratore delegato, è diventato il primo dirigente d'azienda europeo a essere condannato per omicidio volontario. Sulla coscienza, i sette operai della linea 5, bruciati vivi la notte del 6 dicembre 2007. Tecnicamente, un assassino. Uno schiaffo all'orgoglio e alla coscienza.

La casa madre ha dato ordini precisi, non dire niente, la consegna del silenzio per riprendersi dallo stordimento. «Noi vogliamo vedere come reagisce il vostro Paese a questa sentenza, e poi, nell'ambito che ci compete, daremo il nostro contributo alla discussione». Le frasi restano sospese a mezz'aria, private dell'ufficialità. Schmitz avrebbe una gran voglia di parlare, questione d'orgoglio, rappresenta un gruppo che in Italia ha 6.521 dipendenti, 29 aziende più un'altra ventina di affiliate, nel 2010 ha fatto investimenti per 58 milioni di euro nel nostro Paese.

Intorno a lui, gli altri dirigenti fanno cenni di assenso con il capo, non si sentono assassini, capiscono che quella di venerdì scorso non è una sentenza come le altre, ma uno spartiacque. «Il problema è sapere quale sarà la giurisprudenza in tema di sicurezza sul lavoro. Noi restiamo in Italia, ma dopo la situazione che si è venuta a creare con il verdetto di Torino sarà difficilissimo lavorare da voi. Ci aspettiamo una riflessione su queste condanne, ma per ora non vogliamo rimanere coinvolti nel dibattito».

C'è molta rabbia, nella comitiva tedesca in attesa di imbarcarsi sui voli per Roma e per la Germania. Nessuno sperava in una assoluzione. Ma quel dolo eventuale, ovvero l'accettazione del rischio conseguente alla scelta di non investire sulla sicurezza antincendio, pesa come un macigno. I dirigenti di Thyssenkrupp si sentono l'oggetto di un esperimento giuridico, faticano a comprendere come sia potuto toccare alla loro azienda, anche se la contabilità delle vittime del rogo sarebbe già una prima risposta. «Noi siamo una delle aziende più importanti d'Italia. Siamo regolarmente associati a Confindustria, e abbiamo bisogno di avere garanzie per il nostro futuro. Confindustria ci deve rappresentare, deve reagire a questa sentenza. Dall'associazione degli industriali italiani ci aspettiamo tutela e passi ufficiali».

In sottofondo, senza che venga mai dichiarata ma comunque palpabile, la sgradevole sensazione di sentirsi stranieri in terra straniera, e per questo sottoposti a un trattamento che i vertici della multinazionale giudicano di particolare durezza. «Purtroppo in Italia ci sono state tante tragedie sul lavoro, tante morti bianche. Ma questa sorte giudiziaria è toccata solo a noi. Il punto cruciale è questo: non vorremmo diventare un pretesto, noi come azienda, e Espenhahn come persona. Con un verdetto di questo tipo, alcune persone pensano di poter cambiare l'attitudine di questo Paese in tema di sicurezza sul lavoro. Proprio per questo, prima di decidere come comportarci in futuro e quali strategie adottare, abbiamo bisogno di capire come l'Italia valuta la sentenza e la novità che ha introdotto».

La consapevolezza di muoversi su un terreno molto ripido è ben presente in Schmitz e nei suoi principali collaboratori, che vivono e lavorano a Roma, sono ben introdotti negli ambienti della Capitale. La strage del dicembre 2007 ebbe un impatto fortissimo sull'opinione pubblica italiana e nessuno dei dirigenti tedeschi ne vuole sminuire la portata. «Se la situazione generale continuerà ad essere segnata dalla forte emotività che ha caratterizzato il processo di Torino, è chiaro che il problema rimane, e ci obbliga a interrogarci sul nostro futuro. A nostro giudizio molte persone, a cominciare dai vertici di Confindustria, dovrebbero riflettere a lungo sulle conseguenze di questa sentenza».

Avrebbero tanta voglia di dire altro, di proseguire lo sfogo, i tedeschi di Thyssenkrupp Italia. Ma l'altoparlante dell'aeroporto di Caselle ha cominciato a chiamare gli imbarchi per i voli di ritorno. Meglio fare in fretta. Via, da quella sentenza, dalle immagini di quei sette operai arsi vivi che li fissavano da ogni angolo dell'aula, e da Torino, città considerata ostile.

Marco Imarisio

17 aprile 2011© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - corriere.it/cronache/11_aprile_17/
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