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Autore Discussione: Frattini al Senato: "Il colonnello non può essere cacciato".  (Letto 1949 volte)
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« inserito:: Marzo 16, 2011, 04:42:52 pm »

LIBIA

Saif Gheddafi: "Tutto finito in 48 ore"

Gli insorti: "Occidente, vergogna"

Il figlio del rais: forze regolari vicine a Bengasi. Per il ministro degli Esteri francese Juppè "non è troppo tardi" per un'azione militare.

Frattini al Senato: "Il colonnello non può essere cacciato".

Ali Tarhouni, esponente degli insorti: "Occidente codardo". Attacchi concentrati sull'ovest: bombe su Misurata, almeno 5 i morti



ROMA - Le truppe di Gheddafi stringono il cerchio attorno a Bengasi e alle ultime roccaforti dei ribelli. Saif al-Islam, figlio del leader libico Gheddafi, annuncia che "tutto sarà finito entro 48 ore": la città sede del consiglio degli insorti è ormai prossima a cadere. L'offensiva finale si sta preparando e i vertici dell'esercito libico intimano ai ribelli di deporre le armi. Il ministro degli Esteri Franco Frattini racconta, in audizione al Senato, della "presa d'atto" della comunità internazionale: il "colonnello" non può essere mandato via. Si giustificano così, nelle parole del ministro, le titubanze che hanno caratterizzato giorni e giorni di trattative ai massimi livelli tra i pesi leader del mondo, fino a restare spettatori a quanto sta accadendo. La linea, da quel che dice Frattini, sembra essere quella di attendere i frutti dell"isolamento politico ed economico" in cui dovrebbe cadere il leader libico. l'Italia in qualche modo rivendica il ruolo di guida della linea attendista: in polemica indiretta con la Francia, Frattini sostiene che da altri paesi sono arrivati solo "proclami" e, oggi, quella che sembra una "rinuncia" della comunità internazionale ad assumersi le proprie responsabilità nella crisi libica è in realtà una "presa d'atto della prudenza" espressa dall'Italia all'inizio della rivolta, anche quando era "fuori moda" farlo.

Francia: Non è troppo tardi per agire.
La Francia, che assieme alla Gran Bretagna ha provato a spingere per l'intervento militare senza successo, dichiara attraverso il blog del ministro degli Esteri Alain Juppè che "non è troppo tardi", che "diversi paesi arabi" sono pronti a "una partecipazione effettiva" a una operazione militare in Libia. Ma gli insorti sembrano non credere più alla possibilità di un aiuto dall'esterno. Non è accaduto quando Gheddafi sembrava finito, costretto a lanciare minacce alla nazione e al mondo dai suoi rifugi, perché dovrebbe succedere adesso che il Rais si sente talmente sicuro da dettare nuove condizioni 1 a chi, nella comunità, lo ha "tradito", in primis l'Italia. Parlando in un'intervista rilasciata a Euronews, Saif Gheddafi ha attaccato la Francia, definendo il presidente Sarkozy un pagliaccio. "Coi soldi della Libia ha finanziato la sua campagna elettorale", accusa il figlio del colonnello. E continua: "Ci hai deluso. Ridacci il nostro denaro. Abbiamo ogni dettaglio: conti bancari, documenti, operazioni di trasferimento e presto riveleremo tutto".

I ribelli accusano l'occidente: vergogna.
All'Occidente i ribelli non chiedono più aiuto, ora l'accusa è aperta. "Credo che sia una vergogna la posizione da codardi assunta dal mondo occidentale" è il duro commento di Ali Tarhouni, esponente degli insorti e membro della commissione Economia e petrolio del Consiglio provinciale costituito nell'est della Libia, in un'intervista a Voice of America. Ed è proprio con gli Stati Uniti "che si propongono come difensori della democrazia e dei diritti umani" che Tarhouni se la prende innanzitutto.  Ricordando quanto oggi l'atteggiamento di Obama sia in "netto contrasto" con quanto affermò nel 2009, in uno storico discorso ai musulmani pronunciato al Cairo. "Obama fece un appello per la democrazia e la libertà e ora il minimo che possa fare è appoggiare la no-fly zone. Il sangue del popolo libico non è a poco prezzo, a noi costa caro versarlo". Per Tarhouni, le sanzioni economiche non basteranno a fermare Gheddafi. "Non capisco cosa intendano per sanzioni, Gheddafi ha i suoi aerei che bombardano città a 50 o 100 km da qui - afferma l'esponente degli insorti - Come tutta la popolazione libica, sono molto deluso da Obama. Gheddafi presto o tardi dovrà andar via e il popolo si ricorderà di chi si è dimostrato amico ed è stato dalla sua parte nelle ore del bisogno".

Bengasi verso la battaglia finale.
Le dichiarazioni di Tarhouni arrivano mentre le forze fedeli al colonnello avanzano verso Bengasi, roccaforte degli insorti. "Credetemi, non abbiamo paura di Gheddafi e delle sue forze - conclude -. Sappiamo che cadrà, è questione di ore, giorni o forse mesi. Ma il problema è quante vite porterà via con sè". Pur sentendosi abbandonati, dunque, gli insorti sono decisi a non arrendersi. Al Arabyia riferisce che due caccia libici che hanno compiuto i raid su Bengasi oggi sono stati abbattuti dalla contraerea degli insorti. I ribelli oggi hanno annunciato, attraverso Al Jazeera, di avere ancora il controllo di "diversi quartieri di Ajdabiya", la città della Cirenaica dove ieri sono entrate le truppe di Gheddafi, e "siamo in grado di resistere all'avanzata dell'esercito". Diffuso anche un video girato questa notte, in cui si vedono alcuni carri armati distrutti durante la battaglia di ieri contro le brigate del regime. Brigate che questa mattina, guidate da Khamis Gheddafi, figlio del colonnello, sono entrate anche a Misurata, nell'ovest del Paese: violenti bombardamenti hanno colpito la città, causando la morte di almeno 5 persone e una decina di feriti. Secondo quanto riferisce Al-Arabiya, la colonna composta da circa 40 carri armati è già entrata nella periferia meridionale e occidentale della città.

(16 marzo 2011) © Riproduzione riservata
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