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Autore Discussione: FRANCESCA PACI. La primavera araba è in rosa  (Letto 2132 volte)
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« inserito:: Marzo 08, 2011, 06:39:56 pm »

Esteri, Donna

08/03/2011 - RETROSCENA

La primavera araba è in rosa

Organizzata via Facebook per oggi al Cairo la «marcia di un milione di donne»

FRANCESCA PACI

ROMA
Quando domenica 27 febbraio il premier tunisino Ghannouchi ha ceduto alla pressione popolare e s’è dimesso, Amal Shamel stava preparando la piccante zuppa «shorba» per i suoi quattro figli. «È stato come il giorno in cui Ben Ali se n’è andato: appena ho sentito la notizia in tv ho chiesto a Said, il maggiore, di occuparsi per poche ore dei fratelli e con un taxi ho raggiunto mio marito in avenue Bourguiba» racconta al telefono. Una settimana dopo, nella cairota piazza Tahrir, decine di casalinghe hanno affiancato le rivoluzionarie a tempo pieno come Isra Abdelfatah, in prima linea dal 25 gennaio, per inneggiare al nuovo capo del governo egiziano Isam Sharaf, subentrato a grande richiesta dei manifestanti all’inviso «mubarakiano» Ahmad Shafiq.

Chi avesse tralasciato il contributo muliebre al terremoto mediorientale e magrebino può rifarsi oggi con la «Million women march», il corteo organizzato via Facebook per archiviare con la dittatura l’annesso sistema patriarcale di potere, e che conta di portare nelle vie del Cairo un milione di mamme, mogli, figlie, studentesse disinibite e colleghe velate, la quota rosa della primavera araba.

La partecipazione femminile è la cartina di tornasole della democrazia. «Le donne sono la chiave di quanto sta accadendo nelle piazze arabe» osserva il libanese Nadim Houry, analista di Human Rights Watch. Secondo la direttrice dell’associazione egiziana Nazra for Feminist Studies, Mozn Hassan, lungi dall’unirsi alla protesta, le donne l’hanno concepita: «Prima ancora che cambiassero le cose, sono cambiate loro, noi, e siamo solo all’inizio». Si calcola che almeno tre dimostranti su dieci fossero ragazze.

Il percorso è accidentato. Nessuno lo sa meglio delle protagoniste che al Cairo come a Tunisi, ma anche a Bengasi, Manama, Algeri, Sana'a, Casablanca, sfidano da decenni, nell’indifferenza occidentale, la centralità dell’uomo, covata nel conservatorismo familiare e troppo spesso sublimata dall’opportunismo politico.

«Non posso più accettare la legittimità di una storia che mi consente di restare viva solo distogliendo l’attenzione da ciò che sono» scrive la giovane giornalista tunisina Fawzia Zouari nel racconto «Sherazad ha i giorni contati». Il mondo delle Mille e una notte, con la fascinosa fanciulla che evita la morte ammaliando il sovrano, è per le donne arabe il corrispettivo del reggiseno bruciato dalle femministe nel ‘68. Prova ne sia il nuovo libro dell’autrice libanese Joumana Haddad, «Ho ucciso Shahrazad, Confessioni di una donna araba arrabbiata».

Certo ci sono Paesi più emancipati come la Tunisia, in cui la poligamia è vietata dal 1957 e la direttrice della Biblioteca Nazionale Olfa Youssef discetta regolarmente di teologia islamica in saggi a dir poco polemici con l’ortodossia, o il Marocco, che si è dotato di un codice di famiglia all’insegna della parità dei sessi. Ma, sebbene in misura minore, le cittadine del Bahrein avvolte nell’abaya, quelle yemenite pudicamente a distanza dai cortei degli uomini e le libiche nelle trincee sotto il tiro di Gheddafi, hanno partecipato e partecipano alle proteste per la democrazia mostrando voglia di vivere anziché di morireda martiri. In Egitto, dove il 42% delle donne è quasi analfabeta e nel parlamento del 2010 ce n’erano appena 8 su 454 deputati, piazza Tahrir ha annullato le differenze di genere. «Le casalinghe c’erano e ci sono, eccome, paradossalmente hanno più tempo delle altre» insiste Dalia, blogger attivissima come Asma Mahfouz, Leil Zahra Mortada, Sanaa el Seif, le firme rosa della controcultura digitale. Da tempo, più o meno platealmente, hanno riscoperto il nome di Huda Shaarawi, la celebre femminista egiziana del primo Novecento: oggi una su quattro lavora fuori casa. Una nuova centralità sociale di cui si sono accorti i Fratelli Musulmani che, seppur mantenendo nel proprio statuto il divieto per copti e donne di accedere alla presidenza dello Stato, accettano volentieri il contributo femminile negli ospedali, nei centri di assistenza, nei gruppi di base su cui fondano la formidabile penetrazione nella comunità.

La rivoluzione politica della primavera araba sovvertirà anche l’ordine sociale, spazzando via con l’autoritarismo il sessismo che sovente l’accompagna? «È presto per parlare di un movimento femminista separato» nota l’accademica del Bahrein Munira Fakhro, candidata alle elezioni del 2006. Vorrà però dire qualcosa se la monarchia saudita, terrorizzata dall’effetto domino e dalla giornata della rabbia indetta per venerdì, si è affrettata a promettere il voto alle donne. Ed è un segno dei tempi che il più agguerrito blog di Gaza, fustigatore della triplice occupazione dei palestinesi da parte di Hamas, Fatah e Israele, sia firmato da una ragazza, Asmaa Aghoul, irriducibile nonostante l’arresto di un mese fa, al punto da aver convocato via Facebook una nuova manifestazione per il 15 marzo.

Le donne arabe stanche del paternalismo patrio quanto della compassione occidentale per la condizione impari imposta dall’islam chiedono rispetto. A tutti, a cominciare dai propri mariti, dai genitori, dai figli. Nella Cairo che, infaticabile, si accinge a scendere di nuovo in piazza nel nome della rivoluzione incompiuta la gallerista Loulia sorseggia un cappuccino nel cuore del quartiere Zamalek e distribuisce agli altri avventori i volantini con i quindici comandamenti della rivoluzione del 25 gennaio: mi impegno a non gettare cartacce in terra,a rispettare il semaforo rosso, a non molestare le donne...

da - 3.lastampa.it/esteri
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