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Autore Discussione: Il tallone di ferro dello zar Putin così in Russia torna la paura  (Letto 1999 volte)
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« inserito:: Gennaio 10, 2011, 04:00:54 pm »

IL CASO

Il tallone di ferro dello zar Putin così in Russia torna la paura

Manganelli e arresti. Dopo la condanna di Khodorkovskij, il governo continua a zittire le voci scomode.

Al municipio di Mosca, da qualche giorno c'è sempre chi protesta con la scritta: "Liberate gli oppositori".

Lo chiamano picchettaggio solitario perché basta essere in due per fare scattare il reato di manifestazione.

Con pene severissime. Nel silenzio dei media

dal nostro corrispondente NICOLA LOMBARDOZZI


MOSCA - Dal manuale mai scritto degli oppositori al tempo di Putin: 1) Tenere alto il cartello e restare in silenzio, quasi immobili. 2) Sorridere ai poliziotti e lasciarsi perquisire senza protestare. Anche se siete donne. 3) Gli altri devono restare ad almeno una quarantina di metri di distanza. Anche loro in silenzio e senza striscioni. 4) Darsi il cambio ogni dieci minuti, massimo un quarto d'ora, con un compagno. Ma rapidamente. Perché se tenete in due lo stesso cartello di protesta, scatta il reato di manifestazione e sono guai. 5) Allontanarsi da soli e senza movimenti sospetti. Tanto sanno già chi siete e dove andate.
Lo chiamano picchettaggio solitario e va in scena tutte le mattine davanti al numero 13 di via Tverskaja, sede del Municipio, proprio sotto la statua equestre di Jurij Dolgorukij, mitico fondatore di Mosca.

Venti manifestanti, almeno una quarantina di agenti in divisa e un paio di vecchie anonime Zigulì stracariche di muscolosi ragazzi dall'aria cattiva. Sono i temutissimi agenti del "reparto E" che teoricamente si occupano della caccia agli estremisti e che sono famosi per la loro abilità nel provocare per poi giustificare manganelli e retate. Il cartello giallo con una scritta rossa chiede "Liberate gli oppositori" e si riferisce al gruppetto capeggiato da Boris Nemtsov, ex vice premier ai tempi di Eltsin e ora leader del movimento liberale e nemico giurato del governo russo. Sono finiti in carcere la sera dell'ultimo dell'anno. Qualcosa non deve aver funzionato nelle solite
regole: uno striscione tenuto troppo a lungo, una reazione istintiva alla stretta di un agente. Arresti e silenzio. Due parole nei tg, niente sui giornali che per tradizione post sovietica restano chiusi da Capodanno fino a oltre il week end successivo al 7 gennaio, giorno del Natale ortodosso. Black out ufficiale con poche eccezioni: l'omelia del Patriarca Kirill, la presenza alla messa di Natale del presidente Medvedev e signora.

Normale dunque che i passanti sulla neve fresca della Tverskaja capiscano poco di quello che accade sotto alla statua di Dolgorukij. Tutto attorno le più ricche vetrine di Mosca, insegne di ristoranti e caffetterie, immensi video cartelloni pubblicitari con spot continui di lingerie e auto di lusso. Niente che evochi i tempi cupi delle repressioni di una volta. "E in effetti non è la stessa cosa. Sicuramente la situazione è meno pericolosa anche se di fatto è più difficile". Denis Bilunov, 41 anni, ingegnere informatico, ha appena finito il suo turno allo striscione e si scalda con un caffè in un bar con vista sulla la strada: "Vedete quei poliziotti? Non sono tutti cattivi. Anzi ce ne sono molti che non hanno nessuna voglia di perseguitarci. Qualcuno cerca pure di metterci in guardia da quelli del reparto E. Questo ai tempi del comunismo non era nemmeno immaginabile. Ma non è sempre un vantaggio. Le cose sono più ambigue, appiccicose".

Nell'era Putin, infatti, manifestare è assolutamente legale, denunciare errori e reati degli uomini al potere è perfino meritorio come è scappato una volta di dire al presidente Medvedev. I dissidenti non rischiano di finire in un gulag né di sparire nel nulla. Lo stesso Nemtsov uscirà di galera il 15 mattina, pagherà la sua multa di poche centinaia di euro, e tornerà a scrivere i suoi libri di denuncia e a gestire il suo movimento Solidarnost che vuol dire Solidarietà e che si ispira chiaramente alla Solidarnosc polacca di Walesa. "Ma il logoramento è continuo. Pianificato in maniera scientifica - spiega ancora Bilunov - C'è sempre una scusa, ridicola ma legalmente inoppugnabile, per negare l'autorizzazione a una manifestazione, per spaventare quelli più sensibili o meno coraggiosi. Oppure per fermare quelli veramente pericolosi come sarebbe Khodorkovskij, ricco famoso e intelligente. Lui devono per forza tenerlo dentro".

Eppure il fragile movimento dell'opposizione russa continua, inesorabilmente a crescere. Non che faccia paura al governo, ma cresce. Soprattutto quando al termine di interminabili dibattiti interni tenuti per strada "dove è sicuro che nessuno ci intercetti" si è deciso di fare fronte comune tra schieramenti totalmente opposti. E da un po' di tempo le manifestazioni del 31 del mese che servono a ricordare l'articolo 31 della Costituzione ("Libertà di assemblea per tutti i cittadini") vedono sempre più partecipanti in tutte le città anche dell'Estremo Oriente. La difficile alleanza vede i cosiddetti liberali di Nemtsov, dell'ex campione di scacchi Kasparov e della leader della difesa dei diritti umani Alekseeva, uniti per via di forza maggiore con i nazionalisti panrussi, xenofobi e reazionari, e i bolscevichi veri e propri, sostenitori del ritorno al socialismo reale.

"Sembra assurdo ma non c'è altra via per rompere questo muro di gomma", dice Nastja, 39 anni, sciarpa rossa e falce e martello sulla spilla. "Non abbiamo le stesse idee ma siamo tutti d'accordo che nell'Urss il pensiero guida era, nel bene o nel male, indirizzato all'interesse dello Stato. Qui invece dominano solo interessi personali e di clan". Le differenze ideologiche restano peraltro confuse se si pensa che Eduard Limonov, leader dei bolscevichi, ha un passato da dissidente dell'Urss e un presente da scrittore e intellettuale bohémien che poco si addicono alla simbologia del suo movimento.

L'unione comunque ha portato qualche buon risultato. La campagna nelle università, nei luoghi di lavoro sta reclutando nuovi adepti almeno tra i giovani. L'obiettivo è chiedere riforme, spazio sui giornali che sono tutti controllati da uomini vicini al governo salvo rarissime eccezioni. Jurii, 25 anni, studente, il numero 31 dipinto sul giubbotto, ha le idee chiare e obiettivi minimi: "Non abbiamo un'alternativa di governo e meglio così visto come siamo divisi. Dobbiamo solo costringere il governo ad ascoltarci e a lasciarci parlare pubblicamente. Una piccola perestrojka per cominciare. La democrazia arriverà da sola".

E nonostante gli arresti Jurij è convinto che qualcosa stia cambiando. "Ci controllano, ci schedano. Forse abbiamo pure i microfoni nascosti in casa. Ma prima eravamo boicottati. Non riuscivamo mai a superare un esame o a trovare lavoro. Adesso certi riflessi da Stato dittatoriale si stanno allentando. Questi qui, i capi dico, hanno i loro soldi nelle banche occidentali, fanno affari con l'Europa e con gli Usa. Non possono esagerare e lo sanno". Perché il tasto dolente è sempre lo stesso. Gli oppositori di oggi saranno anche più fortunati dei loro predecessori ma non godono il sostegno che vorrebbero da parte del mondo democratico. L'ingegner Bilunov è amaro: "È dura sapere che i fondi per il contributo alla democratizzazione delle Russia stanziati dal governo americano vengano versati solo con l'autorizzazione del Cremlino. Washington non vuole rogne e così succede che quel denaro finisca alle associazioni benefiche delle mogli dei governatori, o a quelle sportive di un qualche oligarca. Ma forse è meglio così, quel denaro ci comprometterebbe". Poi posa la tazza e torna in strada. Al cartello giallo e rosso, è di nuovo il suo turno.

(10 gennaio 2011) © Riproduzione riservata
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