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Autore Discussione: CHARLES TANNOCK Sudan, guerra o indipendenza  (Letto 2052 volte)
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« inserito:: Gennaio 10, 2011, 03:54:28 pm »

10/1/2011

Sudan, guerra o indipendenza

CHARLES TANNOCK*

Negli Anni 90 il mondo distolse gli occhi dal genocidio in Rwanda e dalla «Guerra dei Grandi Laghi», nel Congo orientale, che costarono oltre cinque milioni di vite umane – il bilancio più alto di ogni conflitto dalla seconda guerra mondiale. Prevarranno ancora una volta il silenzio e l’indifferenza se si riaccenderà la guerra civile in Sudan?

L’accordo di pace concluso a Naivasha, in Kenya, nel 2005 tra il governo del Sudan e i ribelli del Movimento di Liberazione del Popolo Sudanese (Splm) impegnava entrambe le parti, in guerra per la maggior parte dei precedenti 50 anni, a lavorare per l’unità. Ma, come il cosiddetto Cpa, Comprehensive Peace Agreement (Accordo di pace complessivo) ha raggiunto il suo traguardo, il Splm, con basi nella regione autonoma del Sudan meridionale, ha abbandonato ogni pretesa di far credere che l’unità con il Nord e il governo di Khartoum sia possibile o auspicabile.

Un referendum previsto per il 9 gennaio darà agli elettori nel Sud l’opportunità di creare un proprio Stato sovrano. Una diversa ma simultanea votazione nella provincia di Abyei, ricca di petrolio, permetterà agli elettori di scegliere se vogliono unirsi al Nord o al Sud.

La fusione artificiale del Nord del Sudan, prevalentemente arabo e musulmano, con il Sud africano, dove predominano il cristianesimo e le credenze animiste tradizionali è stata un fallimento totale. Da quando il Sudan ha ottenuto l’indipendenza dal Regno Unito nel 1956, il Paese è stato sconvolto da una guerra civile pressoché costante guerra civile sorta dal divario culturale e religioso tra il Nord e il Sud. La questione è stata successivamente complicata da un altro conflitto - questa volta intermusulmano – per le risorse nella regione occidentale del Darfur.

Se il Sud non musulmano avesse ottenuto al momento dell’indipendenza un ampio grado di autonomia religiosa, culturale e amministrativa all’interno di una struttura delegata federale è ipotizzabile che il Paese sarebbe potuto restare in pace. Ma il Sud acquisì queste libertà solo nel 2005, con il Cpa, e solo dopo un enorme e sanguinoso conflitto.

Per la maggior parte del precedente mezzo secolo, il Nord ha cercato senza sosta d’imporre la propria volontà al Sud. Le popolazioni meridionali sono state oggetto di un’emarginazione sistematica e istituzionalizzata. L’islamizzazione è stata il principale strumento della repressione, in particolare con l’imposizione della sharia. Più di due milioni di persone sono state uccise solo nella seconda guerra civile sudanese, scoppiata nel 1983 (in sostanza, la continuazione della prima, conclusasi nel 1972). Altri milioni di persone sono diventate profughi.

Ci sono pochi posti al mondo più poveri e più abbandonati del Sudan meridionale. Nella maggior parte dei luoghi, le infrastrutture sono inesistenti e milioni di mine inesplose infestano il terreno. Ma il Sud non è mai stato conquistato e il suo esercito, il Spla, per due volte ha costretto il Nord a un impasse.

La causa dell’indipendenza del Sud Sudan è rafforzata dal fatto che sarebbe economicamente sostenibile. Circa l’80% del petrolio sudanese è nel Sud, e le vaste aree fertili del Paese e la terra naturalmente irrigata promettono molto per l’agricoltura commerciale. Anche le ricchezze minerarie del Sud del Sudan potrebbero avere un grosso peso, anche se nessuno lo sa per certo perché per molto tempo ogni esplorazione è stata impossibile.

Tutti i sondaggi indicano che, permessa la scelta in un referendum libero, equo, e ben organizzato, i meridionali voterebbero in massa per l’indipendenza. Ma la vigilia del plebiscito è stata difficile, con il Presidente del Sudan Omar al-Bashir incriminato dal Tribunale penale internazionale con l’accusa di genocidio in Darfur, che ha cercato di ritardarlo, vanificarlo e oscurarlo. Negli ultimi mesi il Nord ha orchestrato una serie di attacchi militari su piccola scala nel territorio sud sudanese. È anche sospettato di aver eseguito trivellazioni in orizzontale nei campi di petrolio del Sud, a dispetto del Cpa. E il Splm teme che Bashir potrebbe utilizzare un voto a favore dell’indipendenza del Sud come giustificazione per riprendere la guerra totale.

La guerra, però, non è nell’interesse di nessuno, nemmeno di Bashir. Dopo tutto, egli si affida al petrolio per le entrate del governo, e, secondo recenti indiscrezioni, sta presumibilmente accumulando una enorme fortuna personale oltreoceano. Bashir conosce la tenacia e la perseveranza del Spla. Ma se il Spla finirà per controllare o chiudere la maggior parte delle risorse petrolifere del Sudan, il Nord potrebbe finire con in mano il nulla.

La ripresa del conflitto potrebbe anche coinvolgere gli Stati Uniti (in sostegno al Sud) e la Cina (sostenitore chiave internazionale di Bashir) in una pericolosa escalation del conflitto del tipo assai comune in Africa durante la guerra fredda. La Cina di recente ha investito molto nella vicina Etiopia, nella speranza di comprarsi la neutralità del primo ministro Meles Zenawi, in caso di guerra, anche se è più probabile che il governo di Addis Abeba stia dalla parte dei suoi correligionari cristiani nel Mezzogiorno.

È la prospettiva di una guerra per procura che rende così potenzialmente esplosive tutte le questioni in sospeso - la ripartizione dei proventi del petrolio, la demarcazione del confine, e il destino degli adiacenti Monti Nuba e della regione del Nilo Azzurro. Ma, guerra per procura o no, questo quasi inedito ridisegno dei confini coloniali dell’Africa (l’Eritrea, vent’anni fa, è stato l’ultimo esempio) potrebbe avere profonde conseguenze per il futuro del continente.

Un Sud Sudan indipendente costringerebbe l’Occidente a confrontarsi con convinzioni radicate sull’Africa, in particolare la convinzione che i paesi come la Somalia e Nigeria siano più stabili se uniti di quello che potrebbero essere divisi in due o più delle parti costitutive. Infatti, un Sud Sudan indipendente potrebbe concedere il riconoscimento diplomatico al Somaliland, l’ ex protettorato britannico stabile e prospero che dal 1991 ha avuto l’indipendenza di fatto dal resto della Somalia. Con l’avvicinarsi del referendum in Sudan, il mondo trattiene il fiato. Indubbiamente, il Sud Sudan si troverebbe ad affrontare sfide colossali come Stato sovrano, ma l’alternativa - un inevitabile ritorno alla guerra - sarebbe incalcolabilmente peggio, per il Sudan come per l’Africa. I popoli del Sud Sudan hanno ora infine la possibilità di decidere del proprio destino. Per loro, e per la causa della pace duratura nella regione potrebbe essere un inizio estremamente importante del nuovo anno.

*Coordinatore per i Conservatori e Riformisti europei alla commissione per gli Affari esteri del Parlamento europeo.

Copyright Project Syndicate, 2011

(Traduzione di Carla Reschia)

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