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Autore Discussione: ASSEEL KAMAL - Tareq Aziz una condanna politica  (Letto 2061 volte)
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« inserito:: Ottobre 29, 2010, 11:33:46 am »

29/10/2010

Tareq Aziz una condanna politica
   
ASSEEL KAMAL *

La Baghdad scossa dalla condanna a morte di Tareq Aziz è una Baghdad ancora ferocemente divisa tra sunniti e sciiti, con lo scontro riacceso ulteriormente dalle rivelazioni di Wikileaks, che hanno investito in pieno il premier Nouri Al Maliki. E per l’ex ministro degli Esteri di Saddam, un intellettuale cristiano, specializzato in letteratura inglese, con una gioventù da militante da sinistra, stima e pietà si mescolano con una voglia di vendetta non ancora sopita a sette anni dalla caduta del dittatore, impiccato, lui, nel gennaio del 2007.

La forca ora è molto vicina anche per Aziz, 74enne malato da tempo, ma come ha detto il figlio maggiore Zeyad subito dopo la sentenza, la dirompente condanna alla pena capitale potrebbe anche funzionare come espediente, usato da Al Maliki per distogliere l’attenzione dai suoi guai. Gli ultimi file resi pubblici da Wikileaks rivelano che il premier è coinvolto in uno sporco affare, uno squadrone della morte di una trentina di ufficiali, che avrebbero assassinato decine di oppositori sunniti legati al vecchio del regime baathista. Per i sunniti quei documenti dimostrano che gli squadroni della morte sono direttamente guidati dal governo.

Anche le motivazioni della sentenza si legano a quella continuazione dello scontro politico con altri mezzi che ha portato alla condanna alla pena capitale di centinaia di esponenti baathisti, la maggior parte dei quali aspetta in questo momento l’esecuzione nei bracci della morte iracheni. Aziz è stato riconosciuto come mandante dell’assassinio di militanti del partito Daawa, uno dei principali oppositori del regime di Saddam, quello dove è cresciuto politicamente Al Maliki, espressione del dissenso sciita. Facile dunque per i sunniti, l’etnia favorita al tempo della dittatura, accusare adesso il premier di vendetta.

Esponenti politici di prima fila, come Sayel Abdul Aziz (non un parente), leader della Iraqi List, compagine sunnita e laica, cercano di ribaltare il verdetto contro Al Maliki, che “a parole incita alla riconciliazione e a superare le pagine nere del passato, mentre ci sta portando indietro alla guerra civile”. Oltretutto quelle di Aziz è l’ultima di una serie di “esecuzioni politiche”. Gli ex alti ufficiali sunniti notano anche che Tareq Aziz, e molti altri con lui, era stati invitati ad arrendersi dagli americani nel 2003. Al quel punto dovevano essere considerati prigionieri di guerra, con i diritti che ne conseguivano. Invece sono stati consegnati alle autorità irachene, “che li hanno sottoposti a processi vendicativi”, e li stanno portando al patibolo tutti, uno dopo l’altro.

Per esempio, era già stato condannato l’ex ministro della Difesa, Sultan Hashim Ahmad, un capo di Stato maggiore, e molti altri, prima e dopo l’esecuzione di Saddam Hussein. Per gli sciiti è una conseguenza normale in un regime di transizione da una dittatura a uno Stato democratico. Come la dittatura ha mandato a morte decine di migliaia di persone, sostengono, ora si deve fare lo stesso con chi di quei crimini era stato responsabile, e Tareq Aziz era uno di loro. Tesi che se anche giuridicamente non è una vendetta, ci si avvicina molto.

In effetti l’ex ministro degli Esteri era membro del Consiglio rivoluzionario, il massimo organo esecutivo del regime baathista, dove si prendevano le decisioni: quindi aveva una responsabilità diretta nei crimini della dittatura. Ma per le élite sunnite che in quegli anni hanno goduto di notevoli progressi economici e sociali, il ruolo di Aziz è stato più culturale che politico. E legano la sentenza al difficile momento politico per il premier Al Maliki. I tempi si stanno stringendo. La Corte Suprema ha imposto che il nuovo presidente del Parlamento, il primo passo verso la costituzione del nuovo governo, venga eletto entro due settimane. Per Al Maliki sarà difficile trovare l’accordo con gli estremisti sciiti di Muqtada Al Sadr in pochi giorni. E il suo sogno di governare per altri quattro anni rischia di trasformarsi in un’illusione.

*giornalista irachena

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