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Autore Discussione: FRANCESCO MANACORDA. L'esempio americano  (Letto 2004 volte)
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« inserito:: Settembre 28, 2010, 04:34:45 pm »

28/9/2010

L'esempio americano
   
FRANCESCO MANACORDA

Laggiù, nei mai così lontani Stati Uniti, il re delle frodi di Wall Street Bernie Madoff si appresta a celebrare - diciamo così - il primo anno e mezzo di una condanna a un secolo e mezzo di prigione.

Condanna comminata appena sei mesi dopo la scoperta della sua truffa e conseguente arresto.

Quaggiù, tra i corridoi e le aule della giustizia italiana, a ben sette anni dallo scandalo Parmalat, dopo la conferma in Corte d’Appello a Milano di una sentenza che condanna a dieci anni Calisto Tanzi per aggiotaggio e una freschissima richiesta della Procura di Parma - dove si svolge e si svolgerà ancora a lungo il processo principale - a vent’anni per associazione a delinquere finalizzata alla bancarotta fraudolenta, fa scalpore la richiesta della stessa Procura milanese di rinviare Tanzi in prigione.

Rimettere subito dietro le sbarre il Madoff della via Emilia, chiedono i magistrati che però già una volta si sono sentiti rispondere di no, e farlo proprio prima della sentenza definitiva che arriverà dalla Cassazione. Perché, scrivono i pm, «la spinta a sottrarsi alla pena aumenta con l’approssimarsi della definitività della condanna». Insomma, detto in soldoni: se l’ex patron della Parmalat i dieci anni già sentenziati a Milano - dietro la pena, non lo dimentichiamo, c’è un «buco» di 14 miliardi che ha pesato sulle tasche di risparmiatori e banche ed ha contribuito ad abbassare il già non eccelso grado di fiducia nel sistema finanziario italiano - se li dovrà fare davvero potrebbe decidere di dirigersi verso altri lidi. La disponibilità economica certo non gli manca, anche dopo il crac. I magistrati citano «il sequestro, dopo la sentenza di primo grado, di beni callidamente occultati» e davanti agli occhi scorre la pinacoteca distribuita in cantine e soffitte di amici e parenti: dal «Ritratto di ballerina» di Degas, alla «Scogliera di Pourville» di Monet; in tutto una ventina di opere per un ammontare stimato di un centinaio di milioni, che qualche biglietto in business class potranno pure valerlo.

Sarà una richiesta «infondata e apodittica», quella dei magistrati milanesi, come sostengono i difensori dell’ex re del latte? O sarà invece la logica conseguenza di una giustizia che per una volta pare non usare la mano leggera con i protagonisti di una grande frode finanziaria e tenta in qualche modo di imitare quel sistema d’Oltreoceano? Un sistema che, al pari di quello italiano, non ha certo dato grande prova di sè nei controlli, ma che si rifà con la certezza - e forse pure con una certa spettacolarità in stile hollywoodiano, come quegli impossibili 150 anni da scontare - delle pene.

Forse, a ben guardare, si tratta solo dell’italicissima arte di arrangiarsi applicata al codice di procedura penale. In fondo Tanzi ha subìto finora quattro mesi di carcerazione preventiva e altri quattro di arresti domiciliari e dal settembre 2004 è un uomo libero. E sebbene i suoi stessi avvocati parlino di «un uomo il cui tracollo imprenditoriale ha assunto dimensione planetaria», la verità è che - avendo superato i settant’anni e grazie alla legge Cirielli - se Tanzi non vedrà il carcere adesso, dopo la sentenza definitiva non sconterà nemmeno un giorno della pena in prigione. Con buona pace dei Madoff di tutto il mondo che non hanno avuto la fortuna o il buon senso di scegliere l’Italia.

http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=7885&ID_sezione=&sezione=
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