Eurolandia perde gli investitori nella periferia
di Alessandro Merli
Questo articolo è stato pubblicato il 29 settembre 2010 alle ore 09:26.
L'ultima modifica è del 29 settembre 2010 alle ore 09:34.
Dagli allo speculatore. Le grida che si udivano a primavera, al culmine della crisi greca, si sono moltiplicate ora che la turbolenza ha investito il debito sovrano d'Irlanda e Portogallo.
E per speculatore s'intendono ovviamente gli hedge fund, ritenuti colpevoli di tutte le crisi finanziarie europee dal 1992 in poi, e in genere la «finanza anglosassone». Una delle preoccupazioni principali dei policy-maker, tedeschi ed europei, è stato il divieto di vendite "nude" allo scoperto. Può essere che queste misure aiutino a dare maggior stabilità ai mercati nelle future crisi.
Intanto, i fatti su quella in corso raccontano un'altra storia. La maggior parte dei grandi hedge fund che operano sui titoli di stato europei ha venduto il proprio portafoglio di "periferici" ben prima della fase acuta delle difficoltà greche, molti già nell'autunno scorso. Le statistiche della Banca centrale di Atene mostrano che da maggio semplicemente non ci sono più compratori. La Grecia ha sofferto un sudden stop, un arresto improvviso degli afflussi di capitali come gli emergenti negli anni 80 e 90. Irlanda e Portogallo possono subire lo stesso destino.
Gli investitori internazionali stanno oggi diversificando dalla zona euro, verso i nuovi "rifugi sicuri" di Australia, Canada, Singapore, Svezia, come osserva un grande gestore. Un'indagine a vasto raggio fra gli investitori istituzionali, compiuta dalla società di asset management di una delle maggiori banche europee, rivela la totale avversione al rischio rappresentato dai titoli periferici per alcuni investitori, anche in virtù dei limiti regolamentari cui sono soggetti: la combinazione di vincoli di liquidità, rating, regole su riserve e indici di solvibilità, insieme al rischio di reputazione, spiega molti dei loro comportamenti.
Lo stesso sondaggio rivela che le compagnie di assicurazione sulla vita hanno liquidato le loro posizioni sui periferici in questi mesi, e i fondi pensioni olandesi, fra i più importanti del continente, non possiedono titoli della periferia di Eurolandia, salvo quelli italiani. E giustamente: alla fine, le assicurazioni devono essere in grado di pagare le polizze e i fondi pensione le pensioni. A controbilanciare queste vendite, ci sono, in parte, gli acquirenti domestici. Ma, soprattutto, a fronte della contrazione della domanda, c'è un'esplosione dell'offerta a livelli record dovuta al deterioramento dei conti pubblici: per i prossimi due-tre anni c'è da aspettarsi un gap negativo fra domanda e offerta di titoli di stato europei.
Più che di attacchi alla speculazione, i paesi della periferia di Eurolandia hanno bisogno di uno shock di credibilità che evidentemente il pacchetto di maggio per la Grecia di maggio non ha saputo fornire, anche per il ritardo e le controversie con cui fu varato. Uno shock che richiede anni di politiche fiscali severe a livello nazionale e istituzioni europee più efficaci. Per ora, gli investitori (non gli speculatori!) sono scettici.
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