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Autore Discussione: Claudia FUSANI  (Letto 5470 volte)
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« inserito:: Gennaio 16, 2009, 11:28:55 pm »

Un uomo scomodo

di Claudia Fusani


La fine non è nota. L’inizio molto aggrovigliato. In mezzo a questa storia c’è un cadavere – Peppino Basile, 62 anni, politico anomalo, ammazzato sulla soglia di casa con quaranta coltellate la notte tra il 14 e il 15 giugno scorso - un possibile testimone da maneggiare con molta cura, una terra dolce amara struggente come il Salento, quaranta ettari di cave di tufo che rischiano di diventare la pattumiera d’Italia, tonnellate di rifiuti molti dei quali tossici, discariche abusive, concessioni edilizie rilasciate e poi congelate. Potere, politica e affari. La storia parte da Ugento, paese di diecimila abitanti, dove la case sono bianche e basse, sui tetti ci sono i panni stesi e per le strade di tufo segnate dai palmizi ancora gira la macchina col megafono per annunciare «il comizio politico in piazza ore 17 e 30 davanti al municipio con l’onorevole Pierfelice Gazzera, Italia dei valori e il comitato Verità e Giustizia per Peppino Basile».

La storia fa tappa alla Procura della repubblica di Lecce dove ci sono ben due fascicoli che condividono il nome del luogo del delitto – Ugento – di Peppino Basile e di una delle sue tante battaglie, la discarica di Contrada Burgesi, quei 40 ettari di cave di tufo profonde anche trenta metri che, pur trovandosi nel mezzo a distese di ulivi, rischiano di diventare la pattumiere d’Italia. Le inchieste sono affidate a due giovani sostituti, Giuseppe De Palma segue l’omicidio Basile, Donatina Buffelli ha aperto il filone dei rifiuti tossici, forse, comunque illegali:lo svolgimento delle gare d’appalto presenta molte anomalie. Coordina un aggiunto di esperienza, Ennio Cillo.

«Due inchieste parallele che al momento non si toccano» dicono gli inquirenti che, però, subito aggiungono:«Ma nulla può essere escluso».
La gente del posto e il partito di Basile, l’Italia dei valori, vanno molto oltre:ipotizzano che «le battaglie di legalità di Peppino possano essere il movente dell’omicidio». Perché Peppino era un vero “rompiscatole”. Ex costruttore edile, un passato nel Movimento sociale, la passione per la politica come servizio, nel 2004, fu convinto dall’ex pretore d’assalto Carlo Madaro, esponente salentino dell’Idv, a entrare nelle liste di Di Pietro. Basile indagava, a modo suo, verificando tutto quello che passava dall’aula del consiglio comunale di Ugento, il comune più grosso dei cento della provincia di Lecce ma anche il più povero, quasi il 20 per cento di disoccupati, turismo e smaltimento rifiuti le uniche voci di bilancio, da vent’anni nelle mani del centrodestra. Il sindaco Eugenio Ozza (Pdl) e i suoi assessori da una parte. Dall’altra Peppino il rompiscatole.

Nel fascicolo dell’indagine c’è una risma di atti alta mezzo metro. Sono le copie delle delibere e delle interrogazioni presentate da Basile nell’aula consiliare e poi, quasi sempre, riproposte nella piazzetta di tufo davanti al Comune che lui occupava con comizi improvvisati. I rifiuti, ad esempio. Nel marzo-aprile 2008, un paio di mesi prima di morire, s’era convinto di quello che andava denunciando, da oltre un anno ma senza essere creduto, Bruno Colitti, un piccolo imprenditore di Ugento:la discarica abusiva di contrada Burgesi (accanto ce n’è un’altra regolare al centro di altre polemiche) non era mai stata bonificata. E i circa tremila euro dell’appalto (2005) erano stati intascati dalle ditte. Colitti lo sapeva perché lui, destinatario di uno dei subappalti per 360 mila euro (mai incassati) era stato tra quelli che avevano sotterrato i rifiuti anziché smaltirli e bonificarli:«Cinquantamila metri cubi di roba in arrivo non solo dalla Puglia». Anche, si dice, dalla Campania e dalla Germania.

A dicembre, dopo tre interrogazioni parlamentari di Gazzera (Idv), la procura ha sequestrato l’area ed eseguito la prima perizia sotto la guida di Colitti. Mercoledì ci doveva essere la seconda. È stata rinviata per il maltempo. Ma forse, anche, per qualche pressione politica e mediatica di troppo.
Se ne riparlerà tra un mese. E tensioni, diffidenze, sospetti crescono.

Il parco della Marina di Ugento, un’altra battaglia di Basile. Strano questo parco:non è un’area precisa ma è costituito da più pezzi di terra sparsi qua e là, a pelle di leopardo, lungo questa costa dai colori caraibici.
«L’avete fatto apposta – era l’accusa di Basile all’amministrazione comunale – così favorite gli amici che hanno interessi nelle aree svincolate mentre chi è dentro è bloccato per la vita». Un paio di mesi prima dell’omicidio, il sindaco Ozza rilascia, a cinque imprenditori campani amici di uno dei suoi assessori, il permesso per la costruzione in un’area vincolata di un albergo a 5 stelle. Basile fa il matto: ottiene il sequestro dell’area e il blocco dei lavori. Risultato:il comune deve risarcire 3 mila euro ai proprietari.

La lista delle battaglie è lunghissima:quella contro l’abuso edilizio al villaggio turistico Orex, quella per la concessione della “Pineta comunale”, una spiaggia attrezzata, a un familiare di un assessore, per 15mila euro l’anno contro i circa 300 mila di fatturato.

Basile, un rompiscatole che andava a impicciarsi degli affari degli altri. A cui “gli altri” mandavano messaggi. Sui muri del paese - “Peppino devi morire” “Peppino sei nulla” - e davanti alla porta di casa con la testa mozzata di un asino. Per telefono.
«E lui ogni volta minimizzava, sono ragazzi, diceva, non mi fanno paura», racconta Gianfranco Coppola, ex poliziotto, ora consigliere comunale per Di Pietro. «Lo scandalo – continua – è che il sindaco ha tollerato quelle scritte per due anni e le ha fatte cancellare solo dopo che Peppino è stato ucciso».
Li hanno trovati, poi, gli autori delle scritte, tre ventenni. Uno di loro ha un parente stretto nell’amministrazione.

E si arriva alla sera del 14 giugno. C’è stato il Papa a Santa Maria di Leuca, Basile è stato invitato ma non c’è andato. Un’assenza che è stata notata. Peppino è un coniugato che fa vita da single, non vive con la moglie, ha qualche storia ma la sua passione è la politica. «Sono il guardiano della politica – diceva di sé – e faccio opposizione a prescindere». Quella sera va a cena con Silvio Fersino, un amico. Verso l’una è a casa, un villino mai finito in fondo a via Nizza, case attaccate una all’altra e divise da una strada larga massimo cinque metri. Entra in giardino, poi in casa, qualcuno lo chiama, «Ci siti? Ci bbuliti?», «Chi siete, che volete?» domanda Peppino.
Torna indietro e un passo fuori dal cancelletto, in mezzo alle case, una lama liscia lunga almeno 10 centimetri lo colpisce con quaranta colpi, diciannove dei quali mortali. Scendono i vicini. I carabinieri, quando arrivano, trovano la gente che piange e accarezza quel corpo che giace in una pozza di sangue. In pochi minuti centinaia di paesani si riversano nella via. La scena del crimine è rovinata per sempre, qualunque indizio è irrecuperabile. E c’è subito una gran fretta, a Ugento come a Roma, di liquidare il tutto come “omicidio passionale”. In fondo nel Salento i gruppi criminali pensano a fare affari con il turismo e i rifiuti. Sparare non conviene. L’ultimo omicidio di un politico risale a vent’anni fa, Renata Fonte, consigliere comunale di Nardò. Di passionale in questa storia c’è soprattutto il modo di fare politica di Basile:irascibile, irritabile, generoso ma anche burbero, polemico nel suo italiano stentato, cavilloso fino a risultare pedante. La procura punta soprattutto sulla pista politica. Specie dopo due lettere anonime molto dettagliate recapitate al parroco, don Stefano Rocca.

Sono state sentite circa duecento persone. Nessuno sa niente. Neppure gli abitanti di via Nizza. C’è chi ha sentito cosa diceva Basile ai suoi assalitori («Ci site? Ci bbulite?») ma poi sostiene di non ricordare altro. Tranne un urlo lacerante.
Gli investigatori sono al lavoro. Il partito di Di Pietro ne fa una priorità e schiera i suoi uomini più influenti a livello locale e nazionale, da Carlo Madaro a Pierfelice Gazzera.

Chiede verità il Pd con il presidente della Provincia Giovanni Pellegrino. Si parla di un possibile testimone. Di alcuni sospetti. Ma servono prove certe per dare risposte certe.


cfusani@unita.it

16 gennaio 2009
da unita.it
« Ultima modifica: Aprile 29, 2011, 06:35:07 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #1 inserito:: Giugno 13, 2010, 08:50:02 am »

Legge bavaglio ecco cosa vogliono e cosa nascondono

di Claudia Fusani


I regali degli imprenditori in cerca di appalti agli uomini della cricca. I soggiorni gratuiti, almeno tre, pagati dalla cricca, all’hotel Il Pellicano di Porto Ercole di Carlo Malinconico all’epoca (agosto 2007) segretario generale di palazzo Chigi. Il doppio interrogatorio di Francesco Gagliardi, cognato di Piscicelli, i due costruttori che la notte del terremoto all’Aquila ridevano immaginando gli affari d’oro che avrebbero fatto. Quello di Claudio Iafolla, il funzionario del ministero delle Infrastrutture che dice: «Fu il ministro (Matteoli, ndr) a dirmi di voler nominare Fabio De Santis provveditore delle Opere Pubbliche a Firenze». Una nomina fuori quota, al di là e oltre ogni merito e titolo. Richiesta da Balducci però perchè funzionale per far rientrare nell’appalto della Scuola dei Marescialli la Btp di Riccardo Fusi, da pochi mesi new entry nella cricca che in cambio di regali e favori riceveva appalti dal clan della Ferratella, di cui Balducci era il numero 1.

Poche ore prima che giovedì sera la Cassazione togliesse alla procura di Firenze gli atti dell’inchiesta G8-Grandi Eventi (filone Scuola dei Marescialli), i magistrati fiorentini hanno fatto quello che diventerà l’ultimo deposito di atti da parte della procura che ha scoperto e denunciato il patto corruttivo della cricca di Balducci, Anemone e soci. Tremila pagine e undici verbali di interrogatorio che confermano l’intensità del sistema gelatinoso.
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Le vacanze all’hotel Il Pellicano di Carlo Malinconico - Ne parla in un verbale di 25 pagine dell’11 maggio 2010 il titolare dell’albergo Robertò Sciò, nome noto a molti potenti d’Italia che hanno avuto l’onore di passare le vacanze nelle esclusive stanze e nella bellissime piscina dell’ hotel Il Pellicano. Sciò conferma che il costruttore Piscicelli ha pagato e prenotato il soggiorno di Malinconico (oggi presidente della Fieg, Federazione italiana editori giornali)nella settimana dal 12 al 19 agosto 2007. «Un evento» che Piscicelli in persona si era raccomandato di organizzare al meglio. «Piscicelli - spiega Sciò ai pm Luca Turco e Giuseppina Mione - mi è stato presentato da mia sorella.

Lo ritenevo una persona simpatica, lo ritenevo un amico. Dico “ritenevo” perché, dopo i fatti che sono usciti fuori, bisogna per essere un amico, devi condividere i valori, i principi eccetera, eccetera... Un giorno mi chiese… nel 2007, credo, di ospitare, che avrebbe pagato lui, perché voleva lui ospitare…io chiesi chi era la persona, mi disse… Malinconico, Carlo Malinconico e io ho dato disposizione di trovare quanto di meglio c’era al capo ricevimento». L’allora segretario generale di palazzo Chigi (governo Prodi), sicuramente una conoscenza importante per le prospettive di affari della cricca, è beneficiario di almeno tre soggiorni gratuiti al Il Pellicano, due nel 2007, e uno nel 2008.

Il titolare dell’albergo aveva fatto preparare la suite, 1.400 euro al giorno, totale fattura intestata alla «Eventi speciali» di Piscicelli oltre novemila euro. «Credo - spiega Sciò ai magistrati - che i soggiorni pagati da De Vito Piscicelli siano i primi tre, perché dalle fatture come risultano intestati proprio a lui, e il soggiorno è stato effettuato dal dottor Malinconico. Poi però, dovessi dire se gli altri sono stati pagati da lui, non credo, perché… perché risulterebbe la fattura intestata a lui… a De Vito Piscicelli».
La nomina di De Santis - Su questo punto insistono gli interrogatori di Claudio Iafolla e Gerardo Mastrandrea, capo dell’ufficio legislativo e capo di gabinetto del ministro Matteoli.

L’inchiesta punta a capire se la nomina di De Santis, che non ne aveva i titoli, così come altre nomine, possono essere considerate strumentali al funzionamento degli affari della cricca. In questo caso se De Santis era funzionale al piano di Balducci per far rientrare nell’appalto della Scuola dei Marescialli la Btp di Fusi. Il 17 maggio scorso Iafolla viene interrogato dai pm Turco e Mione. «De Santis - dice - l’ho conosciuto dopo che era stato nominato. Non per prendere le distanze ma io Balducci e De Santis li ho conosciuti dopo (...) De Santis provveditore me lo disse il ministro come fa di solito. Dice: “Ci sarebbe questo De Santis, io vorrei mandarlo al provveditorato di Firenze, guardi se ha i requisiti... allora io ho verificato e mi sembrò così strana la nomina di questa persona... la funzione del direttore generale si dà in prima battuta tra i dirigenti, non si può dare tipo a un De Santis o a un pincopallino qualsiasi.


Allora quando siamo arrivati abbiamo dato a tutti la funzione dirigenziale generale... poi sono residuati dei posti che nell’ottica di svecchiamento... il ministro ha nominato alcuni dirigenti generali presi dall’esterno, in questo caso, in quel momento il ministro mi ha fatto il nome di De Santis». Iafolla spiega anche la nomina di Balducci a Presidente del Consiglio superiore dei Lavori Pubblici: «Il ministro mi disse “voglio Balducci perchè voglio un rilancio del Consiglio superiore, nella precedente gestione (Mauro, ndr)c’è stato un po’ stallo». Il ministro Matteoli non è indagato nell’inchiesta.
Gli orologi In una delle ultime informative del Ros dei carabinieri (7 giugno 2010) ci sono le verifiche sui regali della cricca. Fusi e Piscicelli son oi più attivi. Orologi anche da 14 mila euro. Tra i destinatari Maria Pia Forleo, colei che istruiva le gare d’appalto alla Farratella.

12 giugno 2010
http://www.unita.it/index.php?section=news&idNotizia=99894
« Ultima modifica: Luglio 11, 2010, 06:33:15 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #2 inserito:: Luglio 11, 2010, 06:31:10 pm »

In nome di Silvio: pressioni esterne per eleggere «il nostro Alfonso»

di Claudia Fusani

In nome di Silvio. In nome del capo. Per compiacerlo. Per fare cose a lui grate. E averne in cambio onori e favori.

Sembra essere questo il filo rosso dell’inchiesta sulla nuova P2 che l’aggiunto di Roma Giancarlo Capaldo ha appena consegnato alle cronache giudiziarie.Tre arresti e sei, sette indagati tra cui il coordinatore del Pdl Denis Verdini, per associazione a delinquere finalizzata «ad una serie indeterminata di delitti» scrive il gip Giovanni De Donato che vanno dalla corruzione al riciclaggio, dall’abuso alla violenza privata. E alla violazione della legge Anselmi sulle logge segrete. «Il materiale indiziario raccolto - scrive il gip - documenta anche l’esistenza di altri contatti e di ulteriori iniziative che finora non è stato possibile ricostruire compiutamente e che dovranno perciò essere oggetto in futuro di approfondimenti investigativi onde valutarne natura e finalità». C’è molto di più, quindi, oltre a quello che già conosciamo e che ha portato in carcere Flavio Carboni, Pasquale Lombardi e Arcangelo Martino. Non solo, quindi, le pressioni e la conta dei voti per far approvare il Lodo Alfano o per far riammettere la lista Formigoni alle regionali della Lombardia, tentativi falliti ma comunque messi in atto dalla presunta loggia. Questo «di più» sembra ruotare soprattutto intorno alla figura del presidente della Corte d’Appello di Milano Alfonso Marra nominato dal plenum del Csm il 4 febbraio 2010 con un voto che ha spaccato il Consiglio superiore della magistratura. «Ci sono state pressioni esterne« disse in quei giorni il togato di Md Livio Pepino. Lo ha ripetuto oggi, sentito da L'Unità: «Ci fu un ribaltamento nel voto che alla vigilia sembrava blindato a favore di Renato Rodorf. Colleghi mi dissero che non potevano fare altrimenti». Buona parte dell’ordinanza racconta del numero e della quantità di pressioni che Pasquale Lombardi, ex esponente della Dc campana ed ex membro di Commissioni Tributarie, compie su Csm e Cassazione per blindare la nomina «del nostro Alfonso», cioè Marra. La snodo La poltrona di presidente della Corte d’Appello di Milano è uno snodo chiave per gli equilibri della politica italiana e per la sopravvivenza istituzionale del premier Silvio Berlusconi. Non solo per i processi penali che lo vedono imputato (diritti tv Mediaset e compravendita degli stessi diritti, due processi ora congelati grazie al legittimo impedimento). Ma anche per il contenzioso civile che il 3 ottobre scorso (sentenza Misiano) ha condannato Fininvest a risarcire la Cir di De Benedetti per 750 milioni di euro per il danno subìto per lo scippo della sentenza sul Lodo Mondatori «comprata» da Cesare Previti. Davanti all’ufficio di Marra, la Corte d’Appello, pende quindi in queste settimane il lodo Mondadori con tutto quello che ne consegue per la salute delle finanze di Fininvest. La questione al momento è ferma. I periti nominati dalle parti hanno chiesto più tempo e un slittamento da luglio a settembre per valutare il danno. E va anche detto che presiedere la Corte d’Appello non vuol dire condizionare le decisioni delle sezione a cui è stata assegnata la faccenda. Certo è una partita decisiva per il Cavaliere-premier e le aziende di famiglia. E, certo, tre buoni amici come Carboni, Lombardi e Martino hanno solo da guadagnare se possono vantare con la cerchia più ristretta del premier - dal coordinatore del Pdl Denis Verdini al sottosegretario Giacomo Caliendo per non parlare del presidente della Corte di Cassazione Vincenzo Carbone - la loro consolidata amicizia con il presidente Marra. Ci sono intercettazioni, nell'ordinanza, che creano imbarazzo solo a leggerle. Il 22 ottobre 2009 Marra è al telefono con Lombardi e sembra molto preoccupato per l’incertezza della sua nomina. Marra: «Giacomo (Caliendo, sottosegretario alla giustizia ndr) questo lo dice sempre, deve parlare con, io già l’ho detto pure a Saponara, anche a Ferri (entrambi membri del Csm, ndr)…bisogna avvicinare sto cazzo di Berruti, capito che ti voglio dì… io Pasqualino non so che cazzo fare". Berruti (Mi, fratello del deputato pdl), per inciso, ha tenuto la schiena più che dritta e ha votato contro Marra. Al membro laico (pdl) Celestina Tinelli Lombardi (telefonata del 21 ottobre 2009) si permette di dire: «Prendi un po’ st’appuntino. Su Milano dovremmo vedere per il nostro Alfonso». Anche Carbone, presidente della Cassazione, garantisce il suo voto a Marra cercando di ottenere, «in cambio - scrive il gip - la proroga dell’età pensionabile da 75 a 77 anni». Progetto che ha preso la forma di un emendamento firmato, per l'appunto, da Caliendo e poi però ritirato. Anche il vicepresidente Mancino, che ha ricevuto più volte il conterraneo Lombardo, ha votato Marra. Che è il 3 febbraio ha ottenuto, grazie agli amici, quello che voleva. Per inciso serva ricordare che in questi giorni il Pd ha fatto ritirare dalla Finanziaria un emendamento che avrebbe favorito le mediazioni tre le parti e quindi un rinvio fino a sei mesi. L’emendamento, uscito dalla porta, è rientrato dalla finestra: un disegno di legge del governo.

11 luglio 2010
http://www.unita.it/news/italia/101054/in_nome_di_silvio_pressioni_esterne_per_eleggere_il_nostro_alfonso
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« Risposta #3 inserito:: Settembre 29, 2010, 11:32:30 am »

Al gran bazar dei deputati vanno ministeri e candidature

di Claudia Fusani

E all’improvviso, alle quattro del pomeriggio, il gran mercato di Montecitorio chiude i battenti. Qualche verifica, «è vero, mette la fiducia?», le immediate conferme e i capannelli piano piano di dileguano, le parlate all’orecchio anche. Sui volti di alcuni finiani si stampano sorrisi di sollievo perchè «’sta fiducia - dice uno di loro - ci leva le castagne dal fuoco». All’improvviso cessa la compravendita dei deputati, vengono riposti i pallottolieri ballerini, interrotte le conte che in quel momento sono ferme a 312-314 deputati a favore di Lega e Pdl, lontane ancora dalla quota salvezza (316). Non è che proprio qui in Transatlantico, nel cuore della Camera, luogo istituzionale, siano stati chiusi gli accordi decisivi. Ma qui, con buona pace dell’”altezza” del luogo, le trattative sono iniziate e hanno avviato la loro dura digestione.

Le promesse Le confidenze di Montecitorio hanno nome e volto ma preferiscono restare anonime. Raccontano che a Saverio Romano, Udc fino alla diaspora siciliana e oggi sostenitore del Cavaliere, Berlusconi abbia promesso nientepopodimeno che uno scranno da ministro. La promessa più importante sarebbe stata fatta a Salvatore Cuffaro, che è al senato, ma è stato il Caronte con gli occhi di bragia che ha traghettato i suoi cinque Udc (Romano, Mannino, Rugolo, Pisacane, Drago) oltre le acque dell’Acheronte infernale, dall’opposizione alla maggioranza.

Raccontano, le stesse confidenze, che all’ex governatore della Sicilia sarebbe stato garantito un intervento favorevole quando la Cassazione si riunirà per la sentenza definitiva sulla condanna (7 anni) per favoreggiamento alla mafia. A Calogero Mannino sarebbe stato promesso un posto in lista per il figlio. Quando? Alla prima occasione. Trattative serrate a cui, in cene lontane da Montecitorio, un interessato avrebbe chiosato: «Mostrare cammello». Non si raccolgono indiscrezioni sugli ultimi due acquisti di ieri, quelli che bruciano nei fatti l’Api di Rutelli, l’ex Pd Massimo Calearo e Bruno Cesario. Trattative così fresche da avere, probabilmente, contorni non ancora definiti. Mormorii anche su un deputato dell’Idv che avrebbe però smentito tutto con lo stesso Di Pietro.

E su un terzo transfuga dell’Api che nato in dieci, rimasto in otto da ieri è ridotto a sei iscritti. E’ fallito il tentativo di riportare nel Pdl il neo Fli Giampiero Catone a cui sono stati promessi 25 milioni per la testata La Discussione. «Avremo più voti. Ma nessuna compravendita di parlamentari, non è nella nostra cultura», così parlò Berlusconi il 17 settembre, dieci giorni fa, in consiglio dei ministri. Negli stessi giorni si raccolgono alcune testimonianze esemplari. E opposte. Antonio Razzi, deputato dell’Idv, operaio di Lucerna eletto in Svizzera, ha raccontato le offerte gustose ricevute «alla buvette, in Transatlantico, nei paraggi della Camera, me li trovavo intorno ovunque, e mica uno solo, a dirmi “passa con noi”. Mi hanno promesso di estinguere il mutuo e un posto blindato alle prossime elezioni».

Razzi ha tenuto il punto e Di Pietro lo ha ringraziato pubblicamente. Come David Favia, un altro a cui sono arrivate offerte dal Pdl proprio durante le festa dell’Idv a Vasto. Berlusconi è sempre sembrato confondere la politica e le alleanze con le regole del calciomercato. La compravendita dei deputati è un’ antica abitudine. Nel novembre 2007, mentre il governo Prodi traballava ad ogni votazione al Senato, Berlusconi si portò a cena a palazzo Grazioli l’allora senatore Nino Randazzo eletto all’estero con l’Unione nel distretto dell’Oceania. Si era nell’imminenza del voto alla Finanziaria e gli bastava un voto o due per far cadere il governo. «Caro senatore, la nave affonda... salti in tempo, venga di qua» gli disse Berlusconi. «Caro Cavaliere, lei è veramente squisito, la ringrazio però sa com’è: sono isolano di origini e so nuotare» rispose Randazzo. Prodi restò in piedi ancora un po’. Berlusconi sembrava nell’angolo, pugile suonato. Ma s’inventò il predellino. E il Pdl.

29 settembre 2010
http://www.unita.it/news/italia/104053/al_gran_bazar_dei_deputati_vanno_ministeri_e_candidature
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« Risposta #4 inserito:: Novembre 18, 2010, 12:25:50 pm »

Quello che Maroni non vede

di Claudia Fusani

Le mafie stanno benissimo, sono la prima azienda del paese, fatturano tra i 120 e i 140 miliardi di euro l’anno e hanno un utile che sfiora i 70 miliardi al netto di investimenti e accantonamenti e alcune spesucce per mantenere famiglie e clan in difficoltà, magari perché i capi sono arrestati,e relative spese legali. Le mafie non conoscono crisi, anzi, grazie alla loro liquidità hanno aumentato la capacità di infiltrazione nell’economia legale sempre più schiacciata, invece, dalla crisi. Le mafie, e più di tutte la ’ndrangheta che si caratterizza per un «sempre maggiore potenziale militare», hanno occupato il nord e ne condizionano la vita economica e sociale.

L’ALLARME

È sconsolatamente sempre più allarmante il quadro tracciato dalla Relazione della Divisione Investigativa antimafia relativa al primo semestre 2010. Il volume di 464 pagine piene di dati, tabelle e statistiche arriva in Parlamento nel mezzo della durissima polemica tra lo scrittore Roberto Saviano («La ’ndrangheta al nord interloquisce con la Lega») e il ministro dell’Interno Roberto Maroni. Mai nella Relazione della Dia viene indicata la Lega o il consigliere regionale del Carroccio fotografato con Pino Neri, boss della ’ndrangheta. Ma più volte nei vari capitoli si insiste «sulla consolida- ta presenza in alcune aree provinciali della Lombardia, soprattutto Mila- no e il suo hinterland, di sodali di storiche famiglie di ‘ndrangheta che hanno influenzato la vita economica, sociale e politica di quei luoghi». Le inchieste Crimine, Parco sud e Cerberus, con più di trecento arresti tra Lombardia e Calabria, hanno dimostrato il «coinvolgimento di alcuni personaggi, pubblici amministratori locali e tecnici del settore che, mantenendo fede ad impegni assunti con componenti organicamente inserite nelle cosche, hanno agevolato l’assegnazione di appalti ed asse- stato oblique vicende amministrative».

MILANO COME REGGIO CALABRIA

Leggere la relazione è come avere davanti il grande schermo illuminato con cui Saviano l’altra sera si aiutava nella spiegazione. Nuove filiazioni delle ‘ndrine Barbaro-Papalia di Platì «sono presenti nella zona sud-ovest del capoluogo lombardo ed è sempre maggiore la loro capacità militare e di assoggettamento ambientale». Gli arresti del vicepresidente di una società per azioni, di un ex sindaco di Trezzano sul Naviglio, vertice pro tempore del consiglio di amministrazione di aziende pubbliche del settore della tutela e gestione delle risorse idriche dell’area milanese, di un componente del consiglio comunale e di un geometra dello stesso comune raccontano «i legami sempre più forti tra imprenditori ed amministratori realizzati dai nuovi vertici criminali».

GLI APPALTI

Le ‘ndrine lombarde, autonome ma sempre legate alla casa madre calabrese, si muovono cercando «consenso» o puntando «sull’assoggettamento», tattiche che «da una parte trascinano i sodalizi nelle attività produttive, dall’altro li collegano con ignari settori della pubblica amministrazione che ne possono favori- re i disegni economici». Nasce così, e si consolida, «la mafia imprenditrice calabrese» che con «propri e sfuggenti cartelli d’imprese» si infiltra nel «sistema degli appalti pubblici, nel combinato settore del movimento terra e, in alcuni segmenti del- l’edilizia privata», soprattutto nelle opere di urbanizzazione. Il condizionamento ambientale è «fortissimo». Il ventre molle è sempre di più il settore degli appalti le cui tradizionali dinamiche sono modificate da «nuove e sfuggenti tecniche di infiltrazione: il ricorso al massimo ribasso nelle gare d’appalto e i tempi sempre più ristretti per la conclusione delle opere». Prezzi bassi e velocità di esecuzione: sono queste le armi delle ‘ndrine che crescono soprattutto a MIlano e nel suo hinterland. In questo modo «crescono i capitali illeciti nel sistema legale e si creano basi sempre più sicure per ulteriori imprese criminali».

L’EXPO 2015

Un’analisi spietata da cui nasce un allarme specifico per Expo 2015. «E’ auspicabile - si legge - un razionale programma di prevenzione che coinvolga non solo le autorità deputate alla vigilanza ma anche tutti i soggetti a vario titolo coinvolti nella filiera per individuare per tempo criticità o anomalie». Ciclo degli inerti, cantieristica, logistica collegata, manodopera e bonifiche ambientali.

PERICOLO ‘NDRINE

Le ‘ndrine calabresi sono le più aggressive fuori dalla Calabria. La camorra è rigogliosa nei bilanci e nei numeri: 39 clan e 6 gruppi minori a Napoli città; 41 clan e 14 gruppi minori in provincia; 6 clan e cinque gruppi minori nella provincia di Benevento; quattro nell’avellinese e 13 nel salernitano. Nel casertano prosperano i casalesi che controllano dieci gruppi e ne hanno altre nove affiliati. Una spektra dedicata ad usura («sempre più sommersa e nei dati paradossalmente in diminuzione»), spaccio e rifiuti. Cosa Nostra può sembrare in crisi come modello organizzativo ma è sempre più infiltrata nell’economia e nell’impresa. E il capo, Matteo Messina Denaro, «è protetto da un network strutturato le cui comunicazioni sono gestite con regole ferree».

18 novembre 2010
http://www.unita.it/news/italia/105986/quello_che_maroni_non_vede
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« Risposta #5 inserito:: Aprile 29, 2011, 06:32:31 pm »

E se dietro la débâcle ci fosse un suo affare?

di Claudia Fusani

In cerca di un compromesso, imprescindibile almeno fino alle amministrative, è necessario però capire perché. Perché, come ha sintetizzato Bossi, «Berlusconi s’inginocchia a Parigi». Si fa beffe davanti a tutti del pacifismo in salsa leghista, degli allarmi di Maroni sull’arrivo dei clandestini, del protezionismo di Tremonti nei confronti di Parmalat. Perché questa rottura con la Lega.

Se la base leghista dalle parti di via Bellerio vagheggia di non meglio identificate «antenne del Biscione che compariranno in suolo francese» e così allora capiremo l’inginocchiatoio italiano, ieri a Montecitorio - dove va registrata l’eloquente assenza di Tremonti nel voto sul Def - c’era la caccia agli interessi segreti di Berlusconi in Francia.

Più che di antenne del Biscione, alludendo così a tivù private e business correlati (c’è solo Quintas communication, 68% del capitale al tunisino Ben Ammar; 22%a Berlusconi; 10% Gheddafi), le ipotetiche contropartite del premier vanno ricercate più in campo energetico che non in quello delle comunicazioni. Il Radicale Matteo Mecacci è uno dei più attenti osservatori di questioni geopolitiche e commerciali. «Da tempo - osserva - si parla di condizionamenti sulle scelte di politiche estera derivanti dagli interessi personali del premier. Qualcosa è già emerso dai report di Wikileaks che raccontavano le intese tra Putin, Berlusconi, Gheddafi e il leader kazako Nazarbaiev. Però, in effetti, se qualcuno cerca spiegazioni a quanto è andato in scena nel bilaterale franco-italiano potrebbe approfondire i rapporti tra Berlusconi e la Francia e prendere spunto dal preaccordo firmato nel giugno 2010 tra Eni, Gazprom e la francese Edf nella costruzione di South stream».

IMGQuell’accordo, che Berlusconi protegge come fosse suo, oltre all’ingresso di Edf stabiliva gli accordi sui volumi di gas che Gazprom fornirà a Eni e che l’azienda italiana venderà in Europa. La contropartita energetica Italia-Francia tocca anche il nucleare. Le centrali italiane saranno costruite da una società al 50 per cento Enel e la solita Edf francese (in pratica l’Enel d’oltralpe). Nella conferenza stampa del 26 aprile Berlusconi ha voluto soprattutto tranquillizzare le lobby del nucleare dicendo loro che le centrali si faranno eccome. «Ora - si chiede Eric Josef, corrispondente di Liberation - dovremmo sapere cosa prevedono quegli accordi - tempistica ed eventuali penali - per capire l’eventuale potere di ricatto della Francia sull’Italia». Una cosa è certa: rassicurare sul nucleare doveva essere l’obiettivo primario di Berlusconi in quella conferenza stampa.

Nucleare e gas: scenari più che possibili, anche se non quantificabili, di eventuali contropartite italo-francesi. Ma la disponibilità di Silvio di fronte al malmesso Nicolas ha anche una lettura politica. Sul fronte internazionale il bilaterale è stato la prima vera occasione per Berlusconi di tornare come protagonista sulla scena internazionale. Sul fronte politico interno la vera moneta di scambio che il premier ha intascato si chiama Mario Draghi e il via libera di Parigi - ieri è arrivato anche quello decisivo di Angela Merkel - per la carica di governatore della Banca centrale europea. Sia chiaro: Draghi alla Bce ci va con la sue gambe perché non ha bisogno della sponsorizzazione di Berlusconi. E però che moneta è questa per il Cavaliere: per la prima volta potrà concorrere a nominare il governatore; finalmente avrà via libera, o conta di averla, in via Nazionale uno dei pochi centri di potere che non ha mai potuto controllare; infine si leva di torno il più quotato candidato a un governo tecnico. Certo, resta Tremonti. Una cosa per volta.

29 aprile 2011
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