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« inserito:: Marzo 10, 2011, 06:29:36 pm » |
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Politica
10/03/2011 - LA STORIA
Rimpasto: liti, morte e miracoli della folla degli aspiranti
Un ricco sottobosco, troppo poche poltrone.
E Razzi lamenta: volevo solo un posticino...
JACOPO IACOBONI
Aspettano. Ma soprattutto: si aspettano. «Qua sono tutti a chiedere qualcosa, io mica avevo chiesto un ministero o un sottosegretariato», piagnucola Antonio Razzi, il dipietrista che giurò «non cambierò mai casacca» - l’uomo che rivelò che gli avevano proposto di pagargli il mutuo - e poi alla fine, com’è come non è, la cambiò. Povero Razzi, si accontentava del posto di segretario d’aula e invece no, l’hanno dato a Michele Pisacane. Questi ir-Responsabili, «un kindergarten», lamenta, un asilo. Dove tutti aspirano a tutto e nessuno difende più nessuno, in attesa di un problematico rimpasto.
Non parliamo, ovvio, di quelli che comunque vada avranno un posto di spicco, i Galan (che si sposterebbe alla Cultura, o alla presidenza dell’Enel), i Bonaiuti (ora lo vorrebbero alle Politiche comunitarie), le Santanchè; cerchiamo quello che s’agita sotto, un gradino più in basso. Trattasi di universo fantasmagorico, metafisico, uomini che vivono in una dimensione che ancora non esiste, ma presto potrebbe. Sono pure possibilità: la potenza contro l’atto. Saverio Romano (dato ministro dell’Agricoltura, «io al governo non entro dalla finestra, entro dalla porta») l’aveva detto con sintomatiche parole: «Per i Responsabili to , oltre a un ministero, che siano individuati diversi posti da sottosegretario». Anche cinque. Romano, antico democristiano palermitano, allievo di Calogero Mannino, indagato e poi archiviato dal gip per concorso esterno in associazione mafiosa, casiniano un tempo ma poi in rotta con Casini, lombardiano (nel senso di Raffaele) ma poi in rotta con Lombardo, infine fondatore del movimento «Noi sud», è uomo d’ingegno. Alla Camera, nel dibattito del 13 dicembre sulla fiducia al premier, Fini lo spronava a concludere, e lui: «Presidente, mi dia trenta secondi dell’onorevole Iannaccone, il collega del mio partito è d’accordo». Fini glieli dà, Romano conclude e solo allora il presidente della Camera s’accorge: «Ma onorevole, qui non c’è nessuno Iannaccone iscritto a parlare...».
Non è colpa loro: è che devono saper fare il gioco delle tre carte, e il Cavaliere lo sa e ci gioca a sua volta, gatto col topo, rinviando e rinviando (stavolta alla prossima settimana) per tenerli sulle spine. Così son costretti a ingannare: anche l’Attesa. Bossi prende in giro Romano, «per l’Agricoltura c’è già Bricolo, che ha la faccia da contadino». C’è Bruno Cesario che venendo dal Pd sostiene di aver fatto un salto più arduo, e dunque di meritare più di Aurelio Misiti, e oltretutto di poter portare altri tre democratici a Silvio: invece Misiti rischia di papparsi più di lui. C’è Catia Polidori che - per citare le antipatiche parole risuonate contro di lei a Montecitorio - tradì i traditori finiani, e aspetta. C’è Nello Musumeci che, dice il suo leader Francesco Storace, «fa politica da una vita e aspetta ciò che è giusto», forse qualcosa alla Protezione civile. C’è Elio Belcastro, da sindaco di Rizziconi a Palazzo Chigi, forse. Udite il democristiano calabro: «Altro che tre, siamo di più. Ma non è la poltroncina che ci serve, quanto un’idea travolgente di sviluppo».
Nel deserto della politica agognano l’arrivo dei tartari, per l’ultima battaglia berlusconiana. Mario Pepe, deputato eletto nel Pdl unitosi ai Responsabili per fare numero per il gruppo alla Camera, elenca dal foglietto: «Misiti viceministro alle Infrastrutture, per l’Agricoltura c’è già Romano, Galan trasloca ai Beni culturali». Solo che gli aspiranti a volte negano, mentre aspettano. Misiti giura: «Vediamo quello che arriva». Già presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici, dipietrista finito al Mpa di Lombardo, a settembre metteva la mano sul fuoco: «L’Mpa ha già dato con la scissione dei quattro di Noi Sud». S’è visto.
Quasi sempre, prendete Arturo Iannaccone - chirurgo avellinese, democristiano avìto, poi Ccd, quindi assessore di Rastrelli in Campania, poi Udc, infine (per poco) Mpa -, l’aspirante «si rimette a», in sublime burocratese: «La copertura degli incarichi resisi vacanti spetta unicamente al presidente Berlusconi. Siamo certi che valorizzerà il nostro apporto». Parlano al plurale, non aspirano in proprio, non sia mai. Anna Maria Bernini, ultima fiamma mediatica di Silvio, che di lei ha detto in giro «questa qui è un genio», solo un anno fa a Bologna si portava addosso l’etichetta: «deputata finiana». Hai voglia. Ora questo brillante avvocato, che difende tra l’altro la Nicoletta Pavarotti, e a Ballarò ha ri-folgorato il Cavaliere con coda di cavallo, giacca bianca, calze scure e stivali neri, potrebbe fare il viceministro alle Attività produttive. Ma lei va assicurando: «Non cerco posti». Cercano semmai serenità interiore. Pace. Realtà, oltre la mera possibilità. E hanno una sola parola. A ottobre 2009 diceva «mi sono innamorata del lavoro di parlamentare». Tre mesi dopo tentò, perdendo, di fare il governatore in Emilia.
da - lastampa.it/politica
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