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Autore Discussione: Il clip? Non lo video troppo bene  (Letto 3365 volte)
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« inserito:: Giugno 10, 2007, 10:45:28 pm »

Il clip? Non lo video troppo bene

Roberto Brunelli


C’è una grande agitazione nel mondo delle televisioni musicali. Un attivismo frenetico, programmi interattivi, trasmissioni multietniche, sperimentazioni sul satellite: lo spettatore ti vede e da Internet contribuisce a formare i palinsesti, le telecamere che ti entrano in casa e raccontano la tua vita, tu che entri nel motore della televisione dalla cameretta di casa tua e decidi come va a finire, mentre la musica di oggi, di ieri e di ieri l’altro ti entra nelle ossa, permeando la tua giornata dalla mattina alla sera. Sì, una gran frenesia. E pensare che è tutta colpa di un funerale. È il videoclip che è morto... sì, quella imprecisa forma d’arte fatta d’immagini e suoni lunga al massimo tre o quattro minuti che più di due decenni fa pareva essere il paradigma stesso della modernità. E la cosa buffa è che dalle ceneri del videoclip forse rinasce la televisione, se davvero rinascerà.

È questo paradosso a tenere in vita quello strano animale mutante para-televisivo che sono le emittenti musicali. Vivere o morire: intanto, cambiare pelle. Oggi è Mtv e All Music sui vostri vecchi teleschermi, poi VideoItalia, Music Box, Match Music, Rock Tv e ancora Mtv e DeeJay Hits sul satellite: una lunga storia, curiosa anche perché condannata ad essere giovanile ora che ha più di due decadi sulle spalle. Una storia che è arrivata ad identificarsi con l’immaginaria spina dorsale dell’identità giovanile a cavallo tra anni ottanta e anni novanta, quella che un tempo veniva veniva chiamata la «Mtv Generation» (passata in Italia dalla fucina di Videomusic), e che subito è apparsa essere una sorta di ameba socio-culturale in cui sono stati frullati e rifrullati valori e mode, abitudini e scampoli di senso. Una storia che oggi, invece, finisce per scontrarsi con avversari temibilissimi: stanno annidati nel computer di casa, nei mondi paralleli di You Tube e di Google, di Second Life e di MySpace, vite parallele in cui scegli tu in prima persona non solo che musica vuoi ascoltare, ma che immagini vedere, ma anche quali immagini creare o quali identità simulare. Risultato? Un videoclip oggi rischia di essere residuale: tutto già visto. Un tempo il video - le varie Madonne, Michael Jackson o chi per loro - arrivava d’autorità sul tuo teleschermo, oggi siamo alla democratizzazione del mezzo, visto che con il tuo pc puoi arrivare a trovare l’immagine che vuoi e puoi trasmettere te stesso a tutto il mondo («broadcast yoruself», come dice lo slogan di You Tube). Soprattutto, la «modalità You Tube» rappresenta un processo di identificazione con l’immagine che è forse il solo che può riuscire a superare le trappole del «già visto».

Problema non da poco per chi di video si è pasciuto e nutrito: per quanto ancora resisterà il vecchio, amato videoclip, sempre meno determinante nel formare il successo commerciale di una canzone, anch’essa oramai scappata per mille altri canali? E allora tutti lì ad allargare il campo: laddove una volta c’era solo una sequenza infinita di spot musicali (in Italia, a parte l’esperimento di Mr Fantasy, si cominciò con All Night Long di Lionel Ritchie, che lanciò le programmazioni di Videomusic), ora troverete una sequenza di telefilm bizzarri, cartoni animati giapponesi, film-cult dell’orrore, para-reality con i ragazzini a fare i protagonisti. Trovi programmi dalla concezione mutante, come quello di Fabio Volo che ti conduce per mano a Parigi su Mtv, o Linus e Nicola Savino che portano la dimensione della radiofonia dentro il televisore su All Music. È ovvio che si tratta di coprire un «target» che non è solo adolescenziale, e che oramai arriva agli oltre-trentenni (se volete saperlo con precisione: il «pubblico di riferimento» va dai 15 ai 34 anni): è Mtv la pioniera in questo senso, anche con programmi di sperimentazione come Brand New (condotto dal regista-rocker Alex Infascelli) oppure Freedom to move, che parte oggi, dove in otto episodi multi-etnici si raccontano le gesta di giovani di otto capitali diverse (da Marsiglia a Istanbul, da Dubai a Lisbona). Su All Music per l’autunno si sta preparando una trasmissione che si chiama Stelle e padelle in cui i due conduttori andranno a vedere come cucinano alcuni cantanti o attori famosi (...e vabbé), mentre tentativi di interazione si tentano anche a Music Box (che di recente si è avvalsa della direzione artistica di Oliviero Toscani). Mtv, addirittura, ha lanciato sul satellite un’altra televisione: si chiama «Qoob» ed è la prima televisione interattiva italiana, dove veramente, tramite computer, contribuisci - con risultati spesso sorprendenti - a formare il palinsesto.

In sostanza, c’è chi pensa che le televisioni generaliste, se vogliono sopravvivere, debbano guardare qui: alle emittenti musicali. È qui che si sperimenta la televisione che sarà, quella che sta contemporaneamente sul satellite e sul terrestre, quella che non ha paura di Internet e che prova a lanciare programmi spiazzanti, laddove le grandi reti generaliste, Rai e Mediaset, sembrano completamente pietrificate nella conservazione, laddove il satellite tende ad accaparrarsi quel poco di qualità che sopravvive in tv. La musica? Beh, quella c’entra sempre meno: a quella ci pensa un aggeggio piccolo piccolo che si chiama Ipod. Fate voi.

Pubblicato il: 10.06.07
Modificato il: 10.06.07 alle ore 14.16   
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