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Autore Discussione: BRUNO GAMBAROTTA Porta Palazzo non è più quella di una volta  (Letto 2147 volte)
Admin
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« inserito:: Marzo 03, 2010, 11:28:50 am »

2/3/2010

Porta Palazzo non è più quella di una volta
   
BRUNO GAMBAROTTA

Nel corso dei secoli, tutti coloro che hanno provato a raccontare questo pezzo di Torino iniziavano con una premessa intrisa di nostalgia: Porta Palazzo non è più quella di un tempo.

Da Goffredo Casalis nel 1851 ad Alberto Viriglio nel 1898: «Salve o Porta Palazzo. Tu sei scevra di colpa se il tuo aspetto è al presente così diverso di quello d’un tempo». Fino a Edmondo De Amicis e a Fruttero & Lucentini che nel 1974 ambientarono fra queste vie un capitolo centrale de «La donna della domenica». Goffredo Fofi, negli anni del miracolo economico, veniva qui la domenica mattina per trovare gli esemplari umani da intervistare per il suo libro «Meridionali a Torino».

Bene, ora tocca a noi; se l’astensione dimostrativa degli extracomunitari ha ridotto a un decimo i banchi del mercato, possiamo affermare che Porta Palazzo non è più quella di una volta. Evviva: questo ribollente crogiolo vivrà un’ennesima vita. Dunque sono loro che alle quattro del mattino tirano fuori i banchi dalla «ghiacciaia» di via delle Orfane 32 e li montano sulla piazza. L’abate Filippo Juvarra, nato a Messina e morto a Madrid, che disegnò la grande esedra che, uscendo da via Milano, abbraccia la piazza, sarebbe contento. Così come sarebbero contenti i due grandi figli di Porta Palazzo, Francesco Tamagno, il più grande tenore di tutti i tempi per il quale Verdi musicò l’«Otello» e Francesco Cirio che impiantò a Borgo Dora la sua prima fabbrica di inscatolamento dei piselli.

Juvarra progettò anche due grandi giardini, abbattuti per costruire le nuove tettoie, con il risultato che durante l’ultima guerra il mercato venne bombardato perché dall’alto le tettoie facevano pensare a una fabbrica. Già nel 1854 il borgo era stato distrutto dall’esplosione del vicino arsenale. Porta Palazzo rinasce ogni volta, è più facile che scompaia Torino piuttosto che questa città nella città. Con un suo gergo furbesco destinato a cambiare e rinnovarsi ogni volta che qui si affacciano i nuovi arrivati, ieri i veneti e i meridionali, oggi gli extracomunitari. I torinesi la chiamano porta Pila perché dopo il mercato giocavano con i dobloni da due soldi a pila o croce, cioè a testa o croce; col tempo la parola pila nel gergo è passata a designare il denaro; e siccome a Porta Palazzo per fare la spesa si va con la pila ecco l’origine del nome.

Chissà come la chiamano nel loro gergo i nuovi arrivati. Racconta Viriglio che ogni anno veniva scelta fra le ragazze più belle del quartiere la «Regina del Ballone» (il nome deriva dal «Balon», il mercato di robe vecchie del sabato) che, issata su un carro addobbato di fiori, sfilava in corteo distribuendo doni e caramelle. Non ci sarebbe da stupirsi se, facendo rivivere questa tradizione, la nuova regina di Porta Palazzo avesse la pelle d’ebano.

da lastampa.it
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