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Autore Discussione: "In Usa 416 banche a rischio crac"  (Letto 2531 volte)
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« inserito:: Agosto 29, 2009, 11:21:57 am »

29/8/2009 (7:39) -

LA CRISI HA PEGGIORATO I DIFETTI DEL SISTEMA FINANZIARIO AMERICANO

"In Usa 416 banche a rischio crac"
 
Un rapporto federale: crescono le perdite e quattro colossi assorbono quasi tutti i riflessi


MAURIZIO MOLINARI
CORRISPONDENTE DA NEW YORK

Le banche a rischio di fallimento aumentano a 416 mentre quelle «troppo grandi per fallire» crescono a dismisura: sono i due punti deboli del sistema finanziario che pesano come una spada di Damocle sulle prospettive di una ripresa dell’economia degli Stati Uniti. A documentare entrambi i fenomeni è la Federal Deposit Insurance Corporation (Fdic), l’agenzia federale che garantisce la sicurezza dei depositi, che sull’aumento del numero delle banche problematiche ha redatto una lista - aggiornata al secondo trimestre 2009 - che ne enumera 416 per un capitale totale di 299,8 miliardi di dollari rispetto alle 305 banche e 220 miliardi del trimestre precedente. A questo bisogna aggiungere che «le banche hanno registrato perdite per 3,7 miliardi nel secondo trimestre rispetto ai 7,6 miliardi di profitti del primo trimestre» soprattutto a causa dei costi conseguenti all’aumento dei livelli di titoli nocivi e alla perdita di valore delle proprietà.

Per Sheila Bar, titolare della Fdic, la natura della debolezza del settore bancario «non sono più i mutui residenziali ma quelli di tipo commerciale che sono stati colpiti duramente dalla recessione». Ciò significa che se da un lato si è fatto un passo per uscire dalla crisi, dall’altro le difficoltà rimangono. A dimostrarlo d’altra parte è il fatto che quest’anno sono già fallite 81 banche rispetto alle 25 del 2008 e alle tre del 2007.

A completare il quadro della debolezza del settore, secondo gli studi della Fdic, c’è il fatto che il 25 per cento non ha fatto profitti durante il secondo trimestre pur in presenza di una miglioramente complessivo dei livelli dei capitali. A conti fatti si tratta di un campanello d’allarme per il ministro del Tesoro, Timothy Geithner, perché «ci sono numerose istituzioni finanziarie di dimensioni ridotte che posano su mutui commerciali di dimensioni significative» come osserva Bill Fitzpatrick prevedendo che «questo settore di mercato sta andando verso una nuova fase di deterioramento».

Ma non è tutto. Geithner ha anche un altro fronte aperto, quello delle «banche troppo grandi per fallire» le cui imponenti dimensioni vennero identificate lo scorso autunno in uno dei motivi della crisi del sistema finanziario, obbligando poi il governo a salvarle pompando sui mercati montagne di dollari pubblici. Il problema nasce dal fatto che tali grandi banche hanno oggi dimensioni maggiori rispetto a un anno fa: Jp Morgan Chase detiene oltre il 10% dei depositi dell’intera nazione, al pari di Bank of America e della californiana Wells Fargo. Inoltre queste tre banche, sommate a Citigroup che venne salvata dall’intervento pubblico, emettono il 50% dei mutui e due terzi delle carte di credito. Per Sheila Bair ciò significa che «il principale problema bancario da risolvere sta in cima alla piramide, contribuisce ad alimentare la crisi ed è anche peggiorato a causa della crisi».

L’origine di questa situazione viene dal fatto che «per le grandi banche è più facile prendere in prestito il danaro a prezzi bassi rispetto alle altre perché i creditori immaginano che un loro fallimento è meno probabile», ma il risultato è «una riduzione della concorrenza con i consumatori obbligati a scegliere fra un numero sempre più ridotto di servizi finanziari a prezzi più alti».

A testimoniare il corto circuito c’è il fatto che detenere oltre il 10% dei depositi è qualcosa che in genere non è tollerato dalle leggi dell’Antitrust. «Ci troviamo di fronte a un consolidamento delle grandi banche e questo rischia di affossare l’intero sistema», commenta Mark Zandi, capo economista di Moody’s Economy.com.

da lastampa.it
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