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Autore Discussione: MARCO BELPOLITI A Milano non resta che vietare  (Letto 2140 volte)
Admin
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« inserito:: Luglio 19, 2009, 12:13:31 pm »

19/7/2009
 
A Milano non resta che vietare
 
 
MARCO BELPOLITI
 
Cosa succede a Milano? Di quale male oscuro soffre la città della finanza e del lavoro, della moda e del design? Il giorno degli stati generali dell’Expo, vanto della metropoli del XXI secolo, il Presidente del consiglio la definisce una città africana. Mentre si vieta il consumo agli under 16, misura giusta ma solo repressiva, nel contempo si espande la città della movida e degli happy hours: da Corso Como all’Arco della Pace, dai Navigli a viale Piave.

E contro il successo delle bici a nolo, offerte dal Comune, non si vedono piste ciclabili né in centro né in periferia. A Milano una nuova colata di cemento - grattacieli a grappoli e sopraelevazioni di immobili dovunque - non ha come contropartita nuove aree verdi. Costruire costruire, mentre la bolla immobiliare esplode. I quartieri popolari della periferia abbandonati a se stessi e il centro vuoto: la parrocchia del Duomo non ha probabilmente neppure cento abitanti; la sera dopo le 20 bar e uffici vuoti. Intorno a Piazza Duomo non ci abita più nessuno, e si deve ricorrere alle ronde padane là dove la città abitata, con negozi aperti, gente per le strade, offrirebbe un controllo sociale che nessuna polizia sa dare. Piuttosto che rendere vivibili ai residenti i marciapiedi, li si svende ai ristoranti e ai locali per riempirli di tavolini e di gente di passaggio. La pulizia degli edifici, sgorbiati dai writers, e costata come un piccolo quartiere di case ad affitti accessibili, mentre una delle poche mostre visitate dai giovani, al Pac, voluta da Vittorio Sgarbi, è stata dedicata a loro, ai disegnatori selvaggi, cui dà la caccia un corpo speciale di vigili urbani.

Per chi è giovane e non vuole deglutire litri di birra o vino, non esistono luoghi di aggregazione, biblioteche che aprano la sera, centri sociali, spazi dove studiare, usare il computer, o solo leggere fuori casa. Essere giovani a Milano sembra una colpa, se non proprio un reato. E anche i bambini piccoli non se la passano bene: asili insufficienti, parchi pochissimi, aree giochi quasi assenti. Milano è una città che non si cura dei suoi figli? Sembra proprio di sì. Se Silvio Berlusconi si lamenta della città sporca, ricoperta di scritte e graffiti, forse non ha mai visto via Ampere, piazza XXV aprile, piazza Novelli, e tanti altri, vero e proprio sbrego polveroso, non bello a vedersi, in una città che è sempre stata orgogliosa del proprio «fare», della propria efficienza. Uno scrittore non certo incline a simpatie di sinistra, cattolico militante, discepolo di Testori, Luca Doninelli, in un libro bruciante ha definito tutto questo Il crollo delle aspettative. Cosa succede, dunque, alla capitale morale?

La risposta non è facile, ma di sicuro non più governata da una classe dirigente che si preoccupa della gente che ci vive. Pietro Colaprico, un cronista che l’ha battuta palmo a palmo, che la descrive da anni e la racconta anche nei suoi romanzi, ieri spiegava a un lettore milanese che affranto gli aveva scritto, che sebbene lui non sia un vecchietto spaventato né un ragazzo della movida, ma solo un lavoratore con famiglia ha la netta sensazione che chi dirige la città, Letizia Moratti e la sua giunta, non faccia nulla per lui e per la gente in generale. Cosa porta l’Expo? Si chiede. Solo litigi e stipendi tra i gruppi di potere, si risponde. Oggi Milano è amministrata da un ceto di magnati, aristocrazia del denaro e della finanza, legata a doppio filo con un ceto di costruttori. L’ultimo successo, inaugurato pochi giorni fa, è una strada a quattro corsie, un sottopasso, che attraversa la zona della Stazione Garibaldi, dove sorgeranno i nuovi monumenti edilizi alla ricchezza meneghina, non una scuola o una biblioteca degna di questo nome. Del resto, l’assenza di una vera classe dirigente, che conosce la città, che la frequenta fuori dalla cerchia dei Navigli, è un dato ormai assodato. Se negli Anni Novanta il sindaco Albertini - di cui qualcuno chiede oggi a gran voce il ritorno - si era definito l’amministratore del condominio-Milano, ora sembra che l’orizzonte si sia ristretto al pianerottolo di casa, una magione di Via della Spiga piuttosto che un palazzo scalcagnato della Verona. Una città che invecchia e con lei i suoi capi. Per Formigoni ormai ultrasessantenne, si appresta probabilmente il quarto mandato mentre alla Triennale - l’unica istituzione culturale che sembra funzionare - ci si affida per il comitato scientifico ad un celebre critico d’arte, competente ma ormai settantenne, Germano Celant. Sconsolato Colaprico concludeva che questa città anche «mia» adesso sembra «cosa loro», ma «a Milano, a lungo andare, se sali troppo in alto senza veri meriti - pronostica il cronista -, la paghi. Lo dice la storia».

Una conclusione molto amara, ma per fortuna a Milano non c’è solo questo, dalla Caritas a Esterni, da Mulplicity alle associazioni di volontariato, c’è ancora un’altra città che non ha perso la speranza e non sta certo ad aspettare i tempi migliori. Per dirla con Italo Calvino delle Città invisibili, nell’inferno delle metropoli bisogna dar spazio a ciò che inferno non è.

da lastampa.it
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