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Autore Discussione: Il 'manifesto' di Ignazio Marino  (Letto 3607 volte)
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« inserito:: Luglio 04, 2009, 12:19:28 pm »

Il 'manifesto' di Ignazio Marino

di Ignazio Marino


Come molti ragazzi della mia generazione preparavo gli esami di medicina in compagnia di un mito, un medico anche lui, Che Guevara, il cui sguardo spiccava sul poster appeso nella mia camera. Crescendo ho affiancato a quella immagine la foto di Enrico Berlinguer con i capelli scompigliati dal vento, pubblicata sulla prima pagina de l’Unità quando morì. In quegli stessi anni in cui si formava la mia coscienza di adulto, attraverso l’educazione familiare e lo scoutismo consolidavo le mie convinzioni di credente su principi che non escludevano la partecipazione al fermento sociale degli anni Settanta. Tempo dopo, vivendo e lavorando negli Stati Uniti, mi sono ritrovato a curare con il trapianto il fegato decine di veterani del Vietnam che si erano ammalati di epatite durante la guerra. Dai drammatici racconti di quei soldati contro i quali avevo manifestato da ragazzo, e dalle loro sofferenze di uomini, ho compreso meglio le responsabilità della politica, le colpe di governi che non esitano a manipolare la realtà e a privare della felicità le persone che, in genere, aspirano ad una vita serena e onesta.

Il mondo è cambiato negli ultimi quarant’anni con una rapidità sconosciuta in precedenza: nel 1969 esistevano solo quattro computer collegati in una rete tra altrettante università americane. Oggi le persone che accedono a Internet sono più di un miliardo e gli studenti forse non sanno nemmeno cosa sia un poster perché scaricano le immagini dei loro miti dalla rete e le condividono con gli amici su Facebook. Però non è cambiata la loro aspirazione a costruire insieme un mondo migliore.

Mi sono entusiasmato due anni fa quando milioni di persone, studenti e pensionati, lavoratori e casalinghe, in un clima festoso sono scesi nelle piazze italiane per partecipare in prima persona, con il loro voto, alla fondazione del Partito democratico. Fu un’esperienza straordinaria perché nasceva da una sentita esigenza di dare vita ad una grande forza democratica che avesse l’ambizione di governare il paese per modernizzarlo, strapparlo all’assenza di meritocrazia, alla corruzione dilagante, alla paura della diversità, eliminando l’abitudine a spacciare la furfanteria per competitività, ma soprattutto restituendo la speranza, la cui perdita in particolare tra i giovani, è l’elemento di disgregazione sociale più distruttivo che si conosca.

L’originalità dell’idea e la sua audacia risiedevano nella convinzione di voler edificare un partito non funzionale a se stesso e alla propria classe dirigente ma costruito da persone di diversa estrazione e orientato ad ascoltare tutti sui grandi temi della nostra epoca. Un partito in grado di ricreare luoghi di incontro e di discussione, anche accesa: luoghi non per pochi che si riuniscono per parlare del paese ma per molti che vogliono parlare con il paese. Oggi spiace constatare con amarezza che la politica spinge il dibattito pubblico a imputridire su argomenti che nulla hanno a che vedere con le esigenze della società, mentre buona parte della classe dirigente eletta si balocca intervenendo a proposito di vicende irrilevanti o semplicemente fastidiose, chiusi in palazzi dove non giunge l’eco della vita quotidiana.

Dove sono finiti i temi che riguardano la vita di ognuno? Il diritto al lavoro, ad un salario dignitoso, alla casa, la gestione dei rifiuti nelle grandi aree metropolitane, i treni per i pendolari, i cinquecento ospedali a rischio sismico, il milione di persone che ogni anno emigra dal sud per curarsi in un ospedale del nord, gli oltre 200 mila precari di una scuola sempre più povera, la giustizia senza risorse che costringe le persone nel limbo dell’incertezza? In Italia esiste una maggioranza che non vota centro-destra, che non frequenta le feste alla panna montata nei palazzi lussuosi, che si riconosce nei principi della solidarietà e dell’uguaglianza, ma che oggi si sente orfana e disunita in assenza di un interlocutore credibile, di un partito politico che si assuma delle responsabilità e sappia creare le alleanze essenziali per proporsi credibilmente al governo del paese. Non è un ragionamento scontato per me che, sino al 2009, non ho mai posseduto una tessera di partito anche per il disgusto che provavo, e provo, quando apprendo che qualcuno è diventato primario o impiegato all’aeroporto perché il politico giusto ha fatto la telefonata giusta. Eppure, mi sono convinto che la forza organizzata di un grande partito politico possa contribuire a raddrizzare le sorti di un paese zoppicante anche per quel che riguarda il rispetto delle regole democratiche.

Purtroppo, dopo la campagna elettorale del 2008, l’intuizione iniziale si è arrestata di fronte ai limiti o ai timori di un gruppo dirigente che non ha saputo gestire la forza del cambiamento. La reazione è stata la chiusura, l’autoconservazione più che la sfida, in pieno stile gattopardesco, uno stile che oggi mostra tutta la sua debolezza e che rischia di ferire mortalmente quel che resta del progetto. La vicenda del testamento biologico è stata esemplare: la posta in gioco non era solo consegnare una legge laica al paese, attraverso la quale ognuno potesse fare una scelta in base alle proprie convinzioni o alla propria fede. Significava affermare il principio secondo cui uno stato laico deve sempre proteggere i diritti civili con norme che siano davvero rispettose degli orientamenti e della libertà di ciascuno. Non “diritti speciali”, ma diritti uguali per tutti, siano essi gli ammalati, le donne, le coppie di fatto, gli omosessuali o chiunque altro.

Per questo il testamento biologico è stato la cartina di tornasole che ha dimostrato come la maggioranza della nomenclatura ha preferito una falsa unità, solo di facciata, piuttosto che dare una risposta chiara ad uno dei mille interrogativi che la modernità ci pone. E lo stesso accade per molti altri temi. Il Partito democratico ha mai discusso e poi stabilito una linea sull’opportunità o meno di tornare all’energia nucleare quando anche il Nobel per la fisica Carlo Rubbia ci ricorda che non esistono metodi sicuri per smaltire le scorie radioattive? E come si pone nei confronti di un paese nei fatti multietnico ma dove la cultura dell’integrazione è ancora un miraggio? Perché non si parla quasi mai del controllo che la criminalità organizzata esercita su parte delle attività produttive e dunque sull’influenza che ha sull’economia del paese? La mia risposta è netta: l’intuizione è stata giusta ma il percorso è sbagliato e perseverare nell’errore porta al fallimento.

E’ necessario, non per il Partito democratico che io concepisco come strumento, ma per il paese ascoltare le persone, raccogliere le idee migliori, offrire opportunità a chi è pronto ad impegnarsi, favorire meccanismi che diano la certezza che pagare le tasse non significa sovvenzionare lo sperpero del denaro pubblico ma affidare a chi accetta di sottoporsi al pubblico scrutinio le risorse per migliorare la vita di tutti. Le persone che incontro nelle piazze, negli ospedali, nelle scuole, nelle aziende continuano a credere in questi valori, ma vogliono il confronto, chiedono di essere ascoltati perché non si fidano più di un progetto a scatola chiusa proposto da chi ha dimostrato di non essere più al passo con i tempi. I sostenitori del Partito democratico sono stufi, delusi, nauseati dalle incertezze e chiedono posizioni nette e trasparenti dove, come si legge nel Vangelo di Matteo, il sì è sì, il no è no, tutto il resto è del maligno. E se non si trova un accordo, o se vogliamo chiamarla una “mediazione alta”, su un tema specifico, io penso che tutto il partito debba esprimersi liberamente e poi esigere fedeltà alla linea decisa democraticamente dalla maggioranza: è un diritto che gli iscritti dovrebbero rivendicare e poi sarà compito dei dirigenti dirigere e conciliare. Perché se manca questo, manca l’efficacia dell’azione. E tutti sappiamo di quanto sia necessario in Italia abbandonare gli annunci e agire, agire, agire.

Condivido questi sentimenti con moltissimi sostenitori del Partito democratico che in questo momento non si sentono pienamente rappresentati dai leader attualmente in campo e che mi chiedono di impegnarmi in prima persona. Per questo credo che il congresso debba servire soprattutto a fare chiarezza, a raccogliere una sfida e a dimostrare che è possibile cambiare, costruire attraverso il lavoro di persone giovani di spirito e solide negli ideali, appassionate, libere, visionarie ma determinate a far uscire dal tunnel della crisi economica e della mediocrità informe di chi lo governa, un paese conosciuto in tutto il pianeta per la generosità e l’intelligenza del suo popolo.

Prof. Ignazio Marino
chirurgo, senatore Pd

da unita.it
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« Risposta #1 inserito:: Luglio 04, 2009, 12:20:22 pm »

Ignazio Marino si candida

di MA. GE./ F.L.


Ignazio Marino è in campo per la segreteria del Partito democratico. Smessi i panni da medico ieri sera, dopo un trapianto di fegato, ha detto all’Unità: «Stamattina ho operato a Verona. La signora si è svegliata, mi ha parlato, l’intervento è riuscito. Oggi è una grande giornata per ricominciare, per cominciare un’avventura politica che in questi giorni in tanti mi hanno chiesto di fare. Non ho paura, provo la stessa sensazione vissuta tante volte nella vita prima di un intervento chirurgico che non avevo mai fatto. Ma anche la stessa determinazione». Il senatore del Pd stasera sarà alla festa democratica di Roma e spiegherà in oltre due ore le ragioni di una scelta. Una scelta maturata a lungo che ha avuto in questi giorni un primo passaggio nel manifesto scritto fuori da una sala operatoria. «Ci sono tantissime forze nel paese che hanno davvero voglia di esprimersi- dice-. Ho ricevuto in queste settimane migliaia di messaggi. Ci sono persone che vogliono impegnarsi e che non lo farebbero se non trovassero un vero simbolo di rinnovamento».

Marino, che sta per raccontare molto di sé in un libro che uscirà in settembre per Einaudi, non è solo l’uomo della visione laica della bioetica, lui cattolico. Nient’affatto. «Ho sempre considerato il partito non un fine, ma un mezzo -sottolinea- Nel mio manifesto, scritto fuori da una sala operatoria, ho indicato quali sono le cose per cui mi voglio battere: la laicità, certo, la meritocrazia, la scuola. Noi dobbiamo essere il partito dei talenti, che finalmente realizzi una vera riforma della giustizia, che si batta per il rispetto delle regole, a tutti i livelli. Sono per la trasparenza e per un partito aperto».

Il senatore era al Lingotto e lì è stato sommerso dagli applausi con la sua citazione del Vangelo di Matteo. L’idea che era in lui è diventata allora progetto di tutti. E adesso con quello stesso linguaggio dice, «Io ci sono». L’uomo in più, il vero outsider di questa corsa congressuale. Che da chirurgo prestato alla politica ha deciso di sfidare i candidati già in campo e il bipolarismo Franceschini-Bersani a cui sembrava destinata al corsa congressuale. Sarà il terzo solo in ordine di tempo, anche se il pressing, da una parte e dell’altra, perché si tirasse indietro è stato fortissimo.

Ci sono i «piombini», con lui. La decisione l’ha comunicata a loro per primi, uscito dalla sala operatoria - un giorno a settimana continua a dedicarlo ai pazienti -, nell’ospedale Megrar di Valpolicella, in provincia di Verona, dove li ha convocati. C’erano Pippo Civati, Marta Meo, Pierfrancesco Maiorino, ex segretario dei Ds di Milano.

«Io e Civati siamo ai due lati del ponte - conclude-. Facciamo un passo nella direzione dell’impegno personale. Bisogna che le persone che credono in noi facciano un passo nella nostra direzione andando questa settimana a tesserarsi. Con migliaia e migliaia di tesserati, partiremo insieme per questra avventura».

04 luglio 2009
da unita.it
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« Risposta #2 inserito:: Luglio 05, 2009, 10:42:24 am »

L'ufficializzazione della candidatura alLA FESTA democratica di ROMA

Segreteria Pd, Marino: «Mi candido»

Il senatore ha confermato la sua decisione.

E alla Binetti: si candidi anche lei e vediamo chi ha più voti
 

ROMA - «Si, mi candido, e con me sono in tanti». Lo ha annunciato il senatore del Pd Ignazio Marino, intervenendo alla festa del suo partito a Roma, confermando così la propria partecipazione alla corsa per la guida della segreteria del Pd, in occasione del congresso del prossimo ottobre. Marino si va così ad aggiungere all'attuale segretario, Dario Franceschini, e all'ex ministro Pierluigi Bersani che già nei giorni scorsi avevano ufficializzato la propria candidatura.

PERSONE SERIE - «Dario Franceschini e Pierluigi Bersani sono due persone preparate e serie e mi aspetto che questa fase congressuale possa rafforzare il partito» ha detto Marino rispondendo ai cronisti che gli chiedevano un commento sugli auguri fattigli da Franceschini per la sua candidatura. «Vorrei che dal congresso - ha proseguito - uscisse un partito con più iscritti, un partito che chiarisca la linea su molti punti, come l'ambiente, la sicurezza, il lavoro, la scuola e la ricerca e naturalmente i diritti per tutti». «Ognuno di noi - ha aggiunto il senatore - può dare un contributo in modo che al termine del congresso e delle primarie il 25 ottobre, avremmo un partito solido in grado di proporsi per governare un paese che ha un disperato bisogno di modernizzarsi».

«SI CANDIDI LA BINETTI» - Marino era stato uno dei sostenitori della libertà di scelta sul cosiddetto fine vita nelle settimane in cui forte era la discussione attorno al caso di Eluana Englaro. E a contrapporsi alla sua posizione, all'interno del Pd, c'erano i cosiddetti teo-dem, i cattolici di più stretta osservanza all'interno del Pd, guidati da Paola Binetti. E proprio Marino, durante un'intervista pubblica con Bianca Berlinguer, ha esortato la senatrice cattolica a scendere in campo per vedere chi dei due ha più consensi. Era stata la stessa Binetti a minacciare di candidarsi a sua volta qualora lo avesse fatto Marino. «Togliamoci questo groppo - ha risposto sorridendo il senatore - Paola Binetti si candidi anche lei, così vedremo se il 98% del popolo del Pd la pensa come me o come lei. Se la pensa come Paola Binetti - ha concluso - giuro che me ne farò una ragione».


04 luglio 2009
da corriere.it
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