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Autore Discussione: Bertinotti: un partito nuovo a sinistra  (Letto 2546 volte)
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« inserito:: Giugno 11, 2009, 05:46:10 pm »

11/6/2009 (7:32) - INTERVISTA

Bertinotti: un partito nuovo a sinistra
 
«Dobbiamo ricompattare tutte le forze d’opposizione oppure continueremo ad agonizzare fino alla morte»

RICCARDO BARENGHI
ROMA


La proposta di Fausto Bertinotti è dirompente: «Bisogna far nascere un Partito nuovo della sinistra italiana, di tutta la sinistra italiana. Un Partito creato da tutti quelli che oggi sono all'opposizione e che si sentono più o meno di sinistra, da Rifondazione all'Italia dei valori, dal Partito democratico al movimento di Vendola, dai socialisti ai Verdi, dai Comunisti italiani ai radicali».

Un’idea suggestiva ma non è un po’ velleitaria?
«Velleitaria? E allora che facciamo, stiamo fermi ognuno a guardarsi allo specchio della sua sconfitta storica, epocale? Abbiamo perso tutti. Queste elezioni, in Italia e in Europa, sanciscono la fine della sinistra novecentesca, dai comunisti ai socialisti, dai socialdemocratici ai laburisti. Se ognuno di noi non prende atto di questo fatto e non è disposto a rimettersi in discussione, non ne usciremo mai. E continueremo ad agonizzare fino alla morte».

Lei lancia questa proposta ma intanto ognuno guarda al suo interno, il Pd pensa a come risalire la china dal 26 per cento, Ferrero a come organizzare i suoi comunisti, Vendola a come allargare il suo movimento, Di Pietro e come allargare il suo campo...
«E sbagliano. Se non prendono atto che è finita una storia e che quindi si deve ricostruire da zero non faranno un metro in più. Io dico che dovrebbero essere tutti più umili e capaci di rimettersi in discussione, abbandonando recinti, simboli e vecchie ideologie perché sono state tutte cancellate dalla storia. Vediamo oggi che la fine del comunismo ha investito anche tutti gli altri pezzi del movimento operaio europeo, un’onda lunga che in vent’anni ha cancellato tutto. Ma siccome penso che la sinistra abbia ancora una senso, sociale e politico, a cominciare dal bisogno di ridare una rappresentanza al mondo del lavoro, dico che bisogna riprovarci mettendosi tutti insieme».

Con quali obiettivi?
«Intanto prendendo atto che nessuna della nostre storia ha più senso se va avanti da sola. Avevamo due sinistre, una moderata e una radicale, oggi non ne abbiamo più nessuna. Avevamo tentato la carta del centrosinistra ma anche quello è fallito. Quindi bisogna rompere gli steccati i recinti. E poi cercare di sfondare nel campo avversario, facendo un’operazione analoga a quella che ha fatto la destra che è riuscita a conquistare grosse fette della nostra ex base sociale, basti pensare agli operai che votano Lega. Tocca a noi riprendercela ma lo possiamo fare solo se diamo un fortissimo segnale di novità, appunto un Partito nuovo e unitario».

Un’operazione che rischia di essere molto lunga e faticosa, ammesso e non concesso che venga accolta...
«Certo, ma altrimenti non vedo scampo. Io penso che questo nuovo Partito dovrebbe non solo nascere ma anche proporsi un primo traguardo presentandosi alle prossime elezioni politiche».

Intanto però ci sono state le europee e le amministrative, lei che giudizio dà del risultato?
«Un giudizio pessimo nonostante il colpo personale che ha subito Berlusconi. Che però non basta affatto a farci sognare la fine del berlusconismo o di Berlusconi stesso. La destra è forte, da noi e in tutta Europa, la sua cultura è penetrata nella società e tra la nostra gente. Vincono i populismi di ogni genere, la Lega naturalmente ma anche quelli che stanno all’opposizione come Di Pietro».
Però stavolta quello di Berlusconi non ha sfondato.
«Solo per colpa sua, si è lasciato trasportare da una sorta di delirio di onnipotenza, ha strafatto insomma, provocando quindi un certo disagio nel suo elettorato. Ma da qui a dire che si tratta dell’inizio della sua fine ce ne corre.... Oltretutto mi sembra paradossale che nell’analisi del voto trionfi il virtuale sul reale. Della serie: la prova per dimostrare che ho vinto anche se ho perso sta nel fatto che le aspettative del mio avversario erano superiori mentre le mie inferiori. Ma come, il Pd perde sette punti e quattro milioni di voti e si ritiene rassicurato e confermato dal risultato? Mentre per Zapatero che perde "solo" 400 mila voti si parla di sconfitta storica... Non scherziamo per favore».

Bisogna tuttavia considerare il forte astensionismo e una dispersione del voto che hanno penalizzato anche il Pd.
«E questo secondo loro non mette in gioco la questione della crisi della democrazia, non li fa riflettere sul fatto che sempre più persone si sono allontanate dalla politica e che quindi c’è bisogno di un nuovo inizio? Altrimenti precipitiamo in quello che Dahrendorf ha chiamato il secolo posto-democratico, in cui le elezioni sono sempre di più una sorta di sondaggio di opinione. Non mi sembra una buona prospettiva per nessuno e tantomeno per la sinistra se vuole provare a resuscitare».

da lastampa.it
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