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Autore Discussione: Dario Di Vico Non è l'Expo sembra la Rai  (Letto 2157 volte)
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« inserito:: Maggio 14, 2009, 12:01:17 pm »

TROPPA POLITICA E POCA AMMINISTRAZIONE

Non è l'Expo sembra la Rai


E’due volte paradossale. A causa dell’Expo che non riesce a partire il Pdl sta rimediando una figuraccia proprio nella città del suo fondatore e leader indiscusso, Silvio Berlusconi. E per di più il tutto sta avvenendo in un momento estremamente favorevole per la coalizione di centro-destra, le cui fortune politiche segnano in Italia forse il massimo storico. Per anni si è chiesto che la Rai trasferisse una delle sue reti in Lombardia, nessuno avrebbe però mai osato pensare che Milano copiasse dalla tv di Stato il peggio, gli stanchi riti di una governance anacronistica affidata a un consiglio di amministrazione iper-politicizzato. Ed è proprio quanto sta capitando con una Spa, la Soge, diventata il piccolo teatro delle diatribe che contrappongono Comune, Regione e Provincia. Con la cultura privatistica di cui giustamente si vantano, i milanesi non meritano certo che le decisioni di una società operativa facciano da termometro dei rapporti di forza tra leader e correnti, tra governo centrale e amministrazioni locali. Eppure è così, bisogna arrendersi ai fatti.

Il risultato è che si è già perso un anno per le beghe interne a quello che i maliziosi chiamano «il nuovo pentapartito» (forzisti, morattiani, ciellini, aennini e leghisti) e anche un buon manager di matrice Ibm, come Lucio Stanca, è finito immediatamente nel tritacarne, vittima di lotte intestine che proiettano nella comunità internazionale un’immagine tutt’altro che lusinghiera della città. Negli intendimenti di tutti coloro, sindaco Moratti in testa, che si erano battuti per l’assegnazione dell’Expo, la manifestazione doveva rappresentare un passaggio decisivo nella ripartenza di Milano e delle sue ambizioni. Coerentemente con quest’impostazione si sono cercati, e in qualche caso raggiunti, accordi in chiave turistica con le altre città italiane ma si sta correndo il rischio che tutto vada a carte quarantotto. A oggi non si sa ancora quali saranno le disponibilità finanziarie su cui l’Expo potrà contare e ciascun socio della Soge non conosce ancora la quota che dovrà versare. Se poi consideriamo il fatto che sono stati messi inizialmente a budget per la realizzazione di infrastrutture 850 milioni investiti dai privati e che ovviamente, in tempo di recessione, una cifra di questa dimensione non è reperibile così facilmente, il quadro si fa preoccupante. Mai come in questo caso il tempo si rivela sinonimo di denaro.

Uscendo dalla cronaca impietosa del caso Soge e nel giorno in cui Malpensa perde anche ufficialmente la sua etichetta di hub a favore di Fiumicino, l’impressione che si ricava è che si stia aprendo in Lombardia un gap tra rappresentanza e visione, tra la straordinaria capacità che le forze del centro- destra hanno di interpretare gli interessi (e gli umori) di una società attraversata da rapide trasformazioni e la traduzione di quel mandato politico in progetti di ampio respiro. L’Expo è in fondo la grande metafora di cosa — incrociando le dita — dovrà essere la Milano del 2015, sollecita la politica e la società civile a dire cosa si vuol fare delle grandi e piccole eccellenze della città, come valorizzarle e renderle ancor più presenti sulla scena internazionale. In un mondo in cui tutti diventano più mobili si decide dove andare a vivere in base alle opportunità di lavoro e alla qualità dei sistemi cittadini fatti a loro volta di tanto verde, buoni trasporti e un’offerta scolastica di serie A. E Milano ha il diritto e il dovere di partecipare al grande risiko dei talenti degli anni Duemila.

Dario Di Vico
14 maggio 2009

da corriere.it
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