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Autore Discussione: JEFFREY GETTLEMAN. Confessioni del pirata somalo "Così andiamo a caccia nei...  (Letto 2167 volte)
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« inserito:: Maggio 10, 2009, 06:05:01 pm »

Parla uno dei capi della banda: "Anche gli islamici ci braccano

Ma come membro della 'Corporation' ho già preso più di 25 navi"

Le confessioni del pirata somalo "Così andiamo a caccia nei mari"

di JEFFREY GETTLEMAN

 
GAROOWE (SOMALIA) - Abshir Boyah è un capo pirata. Ammette tranquillamente di aver catturato oltre 25 navi e di essere membro di un'assemblea segreta denominata "The Corporation". E dice di essere pronto a un accordo. A fronte delle pressioni navali sempre più forti e delle gravi ripercussioni a terra, ha fatto la spola tra gli anziani e gli sceicchi religiosi stufi dei pirati e dei problemi che comportano, promettendo che abbandonerà l'attività di bucaniere se alcune sue richieste saranno accolte. "Gli islamici vogliono tagliarmi le mani" si lamenta mentre mangia carne di cammello e spaghetti. "Forse è arrivato il momento di cambiare".

Succede che per la prima volta in questa regione della Somalia settentrionale infestata dai pirati, alcune delle comunità fiorite proprio grazie al businness dell'arrembaggio stanno ora cercando di allontanarli. A tal fine si stanno costituendo delle vere e proprie milizie anti-pirati: intimano loro di andarsene dalle città e nelle moschee consigliano alle donne di non sposare questi "burcad badie", termine che in somalo significa "bandito del mare". Nel parcheggio di Garoowe, l'assolata capitale della regione semi-autonoma del Puntland, è comparso un cartello che non ha eguali al mondo: "Proibita la pirateria".

Qui sempre più spesso i pirati vengono considerati una macchia infamante per la devota comunità musulmana: li si accusa di aver introdotto nelle città la droga, l'alcool, le risse di strada e l'Aids. "I pirati stanno mandando alla rovina la nostra società" dice Abdirahman Mohamed Mohamud, il nuovo presidente del Puntland, che aggiunge: "Li annienteremo noi".

Negli ultimi 18 mesi i pirati somali hanno messo insieme qualcosa come 100 milioni di dollari. Eppure oggi sostengono di essere disposti a interrompere le loro scorribande se gli sceicchi trovassero un lavoro per i loro giovani sottoposti e se li aiutassero a costituire una guardia costiera incaricata di proteggere le 1.880 miglia di costa somala dai pescatori di frodo e dalle navi che vengono a versarvi illegalmente sostanze e rifiuti. Ovviamente è difficile che la comunità internazionale possa anche solo concepire di dover sottostare a un pattugliamento delle coste attuato da ex pirati e dirottatori riabilitati.

Le autorità del Puntland ammettono, controvoglia, che i pirati da un certo punto di vista li hanno aiutati ad attirare l'attenzione e gli aiuti internazionali sulla regione. "È triste, ma è la verità" dice Farah Dala, ministro del Puntland per la pianificazione e la cooperazione internazionale. "Dopo sofferenze e guerre, il mondo finalmente ci rivolge un po' di attenzione". Il mese scorso, dopo che un capitano americano era stato rapito, le nazioni donatrici si sono impegnate a versare oltre 200 milioni di dollari alla Somalia, per contribuire alla lotta contro la pirateria.

Ma da allora, le marine straniere hanno anche aumentato i pattugliamenti, arrestando decine di pirati. Boyah stesso ammette che le sue imprese stanno facendosi sempre più rischiose, ma con arroganza sottolinea anche che ci sono ancora tanti oceani nei quali scorrazzare. "È come andare a caccia: qualche volta si cattura un cervo, altre un dik-dik".

Quarantatré anni, Boyah è nato a Eyl, sulla costa. Ha abbandonato la scuola in terza elementare per fare il pescatore fino alla metà egli anni '90, allorché le navi da pesca straniere gli hanno tolto la possibilità di guadagnarsi da vivere in mare. Abita in una piccola casa e spiega: "I soldi sono spariti. Quando finiscono in tasca a chi non ne ha mai avuti è sempre così".

Quanto a lui, dice di aver buttato centinaia di migliaia di dollari in feste, matrimoni, gioielli, automobili e qat, le foglie eccitanti che i somali masticano come fossero chewing gum. Nel complesso sembra uno desideroso di riscattarsi. O forse non è altro che un abilissimo bugiardo. "Sappiamo che quello che stiamo facendo è sbagliato" dice con serietà, "e ne chiedo perdono a Dio, al mondo intero, a tutti". Poi a un tratto il suo telefonino Nokia d'argento emette un bip. Per lui è arrivato il momento di andarsene. Ma non dice dove.

(c. 2009, The New York Times - Traduzione di Anna Bissanti)


(10 maggio 2009)
da repubblica.it
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