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Autore Discussione: SALVATORE TROPEA Marchionne, la svolta americana  (Letto 3429 volte)
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« inserito:: Aprile 30, 2009, 10:12:38 am »

ECONOMIA     

Se oggi ci sarà l'accordo con Chrysler, nascerà un nuovo colosso dell'industria automobilistica mondiale

Marchionne, la svolta americana

Dalla sopravvivenza a Detroit

di SALVATORE TROPEA
 

WASHINGTON - I tempi sono quelli di Sergio Marchionne: meno di cinque mesi per costruire un nuovo colosso mondiale dell'auto o qualcosa che potrà diventare tale se l'alleanza tra Fiat e Chrysler si dovesse rafforzare ulteriormente con l'annessione della tedesca Opel.

Se ci pensava da prima è difficile dirlo visto il carattere dell'uomo e la sua spiccata propensione a navigare in solitaria. Ma se si deve mettere una data di inizio al viaggio che potrebbe concludersi con l'accordo di Washington, quella data è ufficialmente l'8 dicembre 2008 quando, appunto, l'ad del Lingotto affida al giornale specializzato Automotive News quella che sarà ricordata come la "teoria della sopravvivenza".
 
Nel pieno della grande crisi partita dall'America, Sergio Marchionne ritorna sull'altra sponda dell'Atlantico per ripartire dalle rovine della Chrysler. Descrive un'industria mondiale dell'auto afflitta da una sorta di elefantiasi della capacità produttiva e bisognosa di sottoporsi con urgenza a una cura di snellimento al termine della quale lo scenario è il seguente: cinque o sei player in tutto, in grado di produrre singolarmente non meno di 6 milioni di vetture all'anno. I tempi di questa rivoluzione? Marchionne parla di due anni ma si capisce che quello è il termine massimo e che lui ha già individuato un traguardo più vicino, almeno per quanto riguarda la Fiat che, con i suoi 2 milioni 300 mila autoveicoli, si trova nella fascia a rischio.

"E invece noi vogliamo essere della partita" dice. Una partita che lui ha già scelto di giocare assieme alla più piccola delle big three dell'auto americana, in crisi profonda e con il rischio di scomparire definitivamente dalla scena. Mentre se si allea con Fiat può sopravvivere perché per Fiat essa, una volta rimessi a posto i conti e riorganizzata la produzione, è una "buona opportunità". E così il 19 gennaio l'ad del Lingotto può far sapere che l'interlocutore della nuova strategia delle alleanze di Fiat è appunto Chrysler.

Sembra, questo, l'inizio e invece è una tappa di un cammino che lui ha già intrapreso da tempo. Alle spalle ha almeno cinque mesi di contatti e con Bob Nardelli e Tom La Sorda, vecchie conoscenze degli anni in cui era studente a Toronto e che ora sono ai vertici di Chrysler. Due giorni fa è stato visto in una bisteccheria di Toronto con La Sorda e con il numero uno dei sindacati canadesi della Caw, Ken Liwenza.

Giorno dopo giorno, con loro, ha esaminato ciò che è utile per Fiat e ciò che lo è per Chrysler, difficoltà e modi per superarle. E poiché, come ripete spesso, viviamo in un mondo in cui la finanza non ha liquidità e sembra quasi di essere tornati allo scambio come unico strumento di affari, Marchionne utilizza questo meccanismo per un accordo che per Torino deve essere appunto a costo zero: tecnologia per costruire vetture di dimensioni più contenute, ecologiche e a prezzi bassi, in cambio di un ritorno dei torinesi in America e di un 35 per cento in Chrysler con possibilità di salire oltre il 50 per cento. L'assist di Barack Obama alla strategia di Marchionne è eccezionale. Il neopresidente dichiara la Fiat ha tutte le caratteristiche per essere il migliore alleato della Chrysler.

Ma la strada verso l'accordo non è in discesa. Se la Chrysler vuole incassare i 6 miliardi di dollari in aggiunta ai 4 già ottenuti dal governo americano deve presentare entro il 30 aprile un piano credibile che preveda un nuovo rapporto con i sindacati e le banche creditrici. E' questo il passaggio obbligato da superare. I sindacati e le banche sono un osso duro, minacciano di far saltare tutto. E costringono Marchionne a un rilancio da pokerista: "Senza l'accordo con i sindacati non firmerò nessuna alleanza" fa sapere quando si è già alla stretta decisiva. Funziona: i sindacati sottoscrivono l'accordo con consente a Chrysler di risparmiare 400 milioni di dollari all'anno. La partita con le banche Marchionne la gioca per interposta persona, affidandola ufficialmente alla task force di Obama. Ma fa bene attenzione a non allontanarsi mai dal tavolo. Con Alfredo Altavilla, ad di Powertrain Technology, segue le manovre spostandosi tra Torino, Detroit, Washington. I ritocchi dell'accordo, anche quelli delle ultime ore, quando l'interlocutore del Tesoro sono le banche, hanno la loro impronta.

(30 aprile 2009)
da repubblica.it
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« Risposta #1 inserito:: Maggio 01, 2009, 01:01:04 pm »

FIAT-CHRYSLER /1

Scommessa sul futuro


di Massimo Gaggi


Ora c'è l'accordo, col timbro della Casa Bianca: l'America di Oba­ma punta le sue carte su Fiat non solo per salvare Chrysler dal fallimento, ma per renderla — col de­sign italiano e la nostra tec­nologia di risparmio ener­getico — il simbolo della riscossa dell'industria ma­nifatturiera Usa. Un gran­de successo per il gruppo torinese, ma anche una sfi­da straordinaria. Anzi, una serie di sfide. In mezzo al­le quali Sergio Marchion­ne, col suo Dna di scom­mettitore, sembra trovarsi assai bene.

La prima, ovviamente, è quella di pilotare a tempo di record l'azienda ameri­cana, che da oggi «conge­la » i suoi stabilimenti, fuo­ri dalla procedura di ban­carotta. Avviando, contem­poraneamente, la sua inte­grazione col gruppo italia­no. Gli scettici ricordano che, per uscire dal «Chap­ter 11», normalmente ci vo­gliono almeno 12 mesi. Ma questi non sono tempi normali: i protagonisti dell'accordo puntano su un numero «magico», 363. È la sezione del Codi­ce americano che consen­te al Tribunale di vendere con procedura abbreviata (e senza bisogno del con­senso unanime dei credito­ri) i beni principali della Chrysler alla nuova società partecipata dalla Fiat.

La scommessa delle aziende — ma anche quella di Obama, che ha messo esplicitamente tutto il suo peso dietro l'operazione — è di chiudere questa delicatissima fase a tempo di record: 60 giorni al massimo. Poi la nuova Chrysler «italiana» dovrà bruciare le tappe per mettere sul mercato Usa i nuovi modelli e conquistare una significativa fetta del mercato, invertendo il trend declinante registrato dall'azienda Usa negli ultimi anni.

Non è una scommessa facile, ma è anche una irripetibile occasione — arricchita dall'ipotesi di integrazione anche con le attività europee di GM (Opel) — di scompaginare l'assetto del mer­cato mondiale dell'auto, trovan­do lo spazio per un nuovo prota­gonista capace di produrre 5­6 milioni di veicoli l'anno. Obama si espone molto, accetta un ri­schio molto elevato, dimostran­do grande fiducia in un'azienda italiana, nella sua tecnologia e in un manager che gioca sulla sua immagine di «pokerista», ma che alla Casa Bianca è soprattut­to percepito come un grande agente di cambiamento; uno che rischia, ma con un progetto chia­ro in mente.

Quella annunciata ieri è un’operazione industriale, ma per il presidente Usa il significa­to di Chrysler-Fiat va ben oltre l'auto. Già ieri è diventata il terre­no per un «regolamento di con­ti » con la parte di Wall Street che Obama considera maggior­mente responsabile del disastro finanziario: «hedge fund» e ban­che d'affari che mantengono una mentalità pre crisi e restano ostili a ogni intervento del gover­no federale in economia, sia es­so congiunturale o strutturale. Domani su aziende come Chry­sler- Fiat si giocherà addirittura il destino di un pezzo del siste­ma sanitario Usa, visto che la possibilità di continuare a finan­ziare cure mediche con meccani­smi di mercato dipenderà anche dai margini di profitto che grup­pi come questo riusciranno a re­alizzare.



01 maggio 2009
da corriere.it
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« Risposta #2 inserito:: Maggio 02, 2009, 04:45:26 pm »

L'analisi: ostacoli e occasioni per la «nuova auto»

di Oreste Pivetta


Già ci provò Cristoforo Colombo e s’è visto con quali risultati.
Riuscirà Marchionne a conquistare l’America? Anche il grande timoniere di via Nizza dovrà far rotta nella tempesta e tra molte incognite. La prima si chiama ovviamente “mercato americano”: come reagirà in generale e come reagirà in particolare di fronte all’offerta “italiana”, quanto vorranno spendere gli americani per rinnovare il loro parco macchine e, poi, continuerà la corsa alla vettura “risparmiosa” (dopo che il prezzo della benzina s’è ridotto)? Sullo sfondo dura la crisi universale e nessuno sa dire se le “sensazioni” di ripresa (per citare il presidente della nostra Confindustria) sono fondate o sono chiacchiere preelettorali.

Marchionne, apprezzatissimo negli Usa e da Obama per il suo “stile”, mentre pensa a Opel, raggiungerà l’obiettivo che ci aveva indicato mesi fa, considerandolo indispensabile alla difesa e allo sviluppo della Fiat: creare il famoso gruppo da cinque milioni d’auto all’anno. Sommando i risultati 2008 (due milioni e duecentomila vetture la Fiat, poco meno la Chrysler) si avvicinerà al traguardo: quattro milioni e mezzo, classificandosi al sesto posto (dietro Toyota, Gm se sopravviverà, Volkswagen, Renault-Nissan e Ford, davanti di poco a Hyundai). Insomma è un bel salto nella geografia mondiale, con un margine di progresso, sempre che la crisi si volga in ripresa, perchè Fiat è ben sistemata in Sudamerica (Argentina e Brasile) e sta costruendo rapporti di collaborazione in Cina e in India: cioè si è insediata in alcuni mercati in probabile espansione, tra i più interessanti per il futuro. L’altro stabilimento importante è quello polacco, anche questo al centro di un’area emergente.

Sono scommesse giocate tra molti calcoli e su alcune certezze. La prima viene dalla soluzione delle cosiddette grane sindacali: la Chrysler ha raggiunto l’intesa con i sindacati per fondo pensione e sanità. Poi c’è la partita dei debiti, ancora aperta, ma il ricorso al Chapter 11, cioè alla bancarotta controllata, dovrebbe spianare la strada ad una soluzione che non cambierà i termini dell’intesa. Terza certezza sono i sei miliardi che l’amministrazione Obama metterà a disposizione: ci sarà di che alimentare la rivoluzione americana delle tecnologie e dei prodotti, cioè dei consumi (anche grazie a due reti commerciali che si dovranno integrare).

Punto, Brava e Cinquecento saranno le prime offerte del Lingotto, che dovrà rilanciare anche Alfa Romeo: auto più piccole e motori più ecologici ed economici, compreso il nuovissimo MultiAir, presentato al Salone di Ginevra (tra le novità anche il cambio automatico a doppia frizione). L’operazione non costerà un euro alla Fiat, che non può spendere dovendosi curare una ferita da sei miliardi, debiti a fine marzo. Finora, dal punto di vista italiano, è andato tutto bene. Ora comincia il lavoro duro per Marchionne, che imporrà il cambio del management americano. C’è chi ha già ricordato come le alleanze nell’industria automobilistica non funzionino mai troppo bene. Con Chrysler aveva già provato Romiti, rinunciando dopo una lunga trattativa. Con Chrysler ha tentato Daimler con perdite crescenti (che pesarono anche sulle fortune della casa madre).

02 maggio 2009
da unita.it
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« Risposta #3 inserito:: Maggio 04, 2009, 05:08:37 pm »

ECONOMIA     

L'ad del Lingotto rompe gli indugi: lo spin off dell'auto serve a rendere più credibile la sua scalata alla Opel

Un gigante a caccia di soldi in Borsa per piegare le resistenze di Berlino

di SALVATORE TROPEA

 
TORINO - Un gruppo automobilistico da 80 miliardi di euro di fatturato, 160 mila dipendenti, una produzione da 6 milioni di vetture all'anno, 12 marchi presenti in tutti i mercati mondiali del settore. Tutto sotto l'ombrello del Lingotto e, naturalmente quotato in Borsa. Sergio Marchionne molto probabilmente ci pensava da tempo a questa operazione, ma l'aveva sempre rinviata, come diceva lui, a tempi migliori. Oggi il progetto deve essergli sembrato maturo o, più realisticamente, deve aver capito che per poter rendere credibile la sua scalata alla Opel è necessario rimodellare la Fiat con un provvedimento che rafforza il ruolo dell'automobile.

Come si è arrivati a questa svolta che, in meno di tre giorni, si aggiunge alla conquista della Chrysler? L'ultima tappa è sicuramente quella di ieri mattina, con un consiglio di amministrazione straordinario, riunito d'urgenza al Lingotto nella quiete discreta di una calda domenica torinese. E' una mossa alla Marchionne e sembrerebbe quasi a sorpresa. Forse lo è anche, ma non per i suoi più stretti collaboratori che nell'ultimo mese lo hanno visto all'opera su più fronti. Deve averla maturata nei giorni del negoziato di Washington e Detroit, quando ha capito che avrebbe chiuso positivamente il capitolo Chrysler. Più esattamente quando ha messo mano anche alla Opel rendendosi conto che in questo caso la strada sarebbe stata piuttosto in salita.

Se si è consultato lo ha fatto certo con poche persone. Fino quando, rientrato dall'America nella notte di giovedì, ha messo assieme i pezzi del nuovo progetto. Che ieri ha spiegato ai consiglieri prima di renderlo pubblico con un comunicato in cui si annuncia che la Fiat, se la fusione con Opel dovesse andare in porto, è pronta a valutare varie operazioni societarie, compreso lo spin off di Fiat Group Automobiles in una società quotata che ne unisca le attività con quelle di General Motors Europe. Che cosa vuol dire in effetti questa decisione al di là delle formalità del comunicato che le indica nell'obiettivo di "assicurare il migliore sviluppo strategico del settore automobilistico"?

La risposta sta nella scelta del tempo. Dello spin off dell'auto si parlava da alcuni anni, ma prima la crisi del Gruppo risolta con l'arrivo di Marchionne, poi quella più generale del settore ancora in corso, hanno sconsigliato a più riprese di procedere allo sganciamento del settore. I fatti degli ultimi due mesi hanno cambiato lo scenario e le prospettive del Lingotto. E naturalmente hanno impresso una forte accelerazione alla creazione di un grande gruppo dell'auto. Non è certo escluso che prima di fare questo passo siano stati presi in considerazione gli aspetti finanziari.

Una Fiat, alla guida del nascente nuovo colosso dell'auto, avrà certamente bisogno di risorse finanziarie e questo può avere consigliato la creazione di un meccanismo capace di assicurarle attraverso un grande gruppo quotato in Borsa. Un passaggio, questo, che potrebbe servire anche a convincere il fronte che ancora si oppone alla fusione con Opel. Al quale Marchionne vuole poter esibire una realtà in grado di stare in piedi da sola e che, nella descrizione fatta ieri al cda, risponde appunto alla nascita del nuovo gruppo dell'auto. In altre parole, se il progetto andrà in porto, si può immaginare la nascita di una Fiat uno e una Fiat due. La prima destinata a raggruppare tutte le attività auto; la seconda dovrebbe raggruppare CNH, Iveco, Magneti Marelli, Ferrari, Maserati, e gli altri rami che figurano nel bilancio del Lingotto: un insieme da 27 miliardi di euro.

Che ruolo ha avuto la famiglia Agnelli in questa decisione? Una "Fiat uno" strutturata solo sulle attività dell'auto è una svolta storica che propone anche l'ipotesi di una società un cui l'azionista storico possa rinunciare alla quota di controllo. Sicuramente si tratta di uno scenario che Marchionne ha disegnato dopo avere discusso con il vicepresidente John Elkann. Il quale nei giorni scorsi aveva adombrato questa possibilità.

I tempi? Il conteggio comincerà naturalmente dopo aver risolto la partita Opel. Marchionne avrebbe potuto anche aspettare prima di rendere pubblica questa decisione. Se ha scelto di uscire allo scoperto è perché ha capito che, in funzione degli appuntamenti dei prossimi trenta giorni sia sul fronte Chrysler (con le decisioni del giudice sulla bancarotta pilotata) sia su quello Gm, è necessario dare un segnale forte, dimostrare che Fiat è intenzionata a fare sul serio. Naturalmente dovrà onvincere anche la Borsa che, appena quattro giorni fa, ha accolto con scarso entusiasmo l'alleanza con Chrysler, e che oggi ha nuovi elementi per motivare il suo verdetto.

(4 maggio 2009)
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