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Autore Discussione: «Acqua contaminata da un rubinetto su quattro»  (Letto 2773 volte)
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« inserito:: Maggio 12, 2009, 04:14:33 pm »

Le analisi dell’Università di Napoli. L’igienista: rischi solo se l’assunzione è prolungata

«Acqua contaminata da un rubinetto su quattro»

Ricerca su 50 città in 17 regioni. Dai derivati del cloro ai batteri, le sostanze pericolose
 

Ma che cosa esce dai nostri rubinet­ti? Inquinanti chimici derivati dalla clo­razione e colibatteri che invece non do­vrebbe esserci. Lo studio della seconda università di Napoli, di cui il Corriere aveva anticipato i primi risultati nel­l’agosto 2008, è andato avanti e si è al­largato a 50 città italiane in 17 Regioni. La sorpresa è stata la comparsa anche di batteri che proprio la disinfezione (clorazione) dovrebbe eliminare.

L’obiettivo era quello di esaminare la qualità delle acque che si bevono: quelle dei rubinetti di abitazioni e quel­le minerali imbottigliate in Pet (le clas­siche bottiglie di plastica) di 24 diffe­renti marchi, corrispondenti al 73% del mercato. In totale oltre 35.000 analisi. Nelle città principali (Milano, Torino, Napoli, Roma, Venezia, Bari, Grosseto, Firenze, Pavia, Vercelli, Novara, Bolo­gna, Genova) i campioni prelevati dai rubinetti sono stati almeno una venti­na in case di zone diverse. Massimiliano Imperato, docente di Idrologia e Idrogeologia dell’università Federico II di Napoli e Direttore del Ce­ram (Centro europeo di ricerca acque minerali), è il coordinatore dello stu­dio. Spiega: «I risultati ottenuti indica­no elementi di criticità igienico-sanita­ria nelle abitazioni, dovuti soprattutto alla presenza di contaminanti di natura chimica (composti organo alogenati e trialometani) e microbiologica».

Quali sono le criticità individuate? Imperato riassume: «La presenza in un caso su 4 (circa 25% dei campioni di ac­qua potabile analizzata al rubinetto di casa) di contaminazione fecale proba­bilmente per una scarsa manutenzione delle tubature o dei serbatoi privati. In questi casi il 'carico' di cloro si rivela insufficiente per una completa disinfe­zione delle acque». Il secondo elemen­to di criticità è la presenza quasi siste­matica di trialometani (per esempio cloroformio) e di composti organoalo­genati (trielina, percloroetilene, diclo­roetano). Sottoprodotti chimici della pur fondamentale clorazione: i residui della reazione tra le sostanze presenti nell’acqua (sostanza organica, carica batterica e organismi patogeni) e addi­tivi disinfettanti. Più cloro, più sotto­prodotti «inquinanti».

Ovviamente questi dati riguardano solo i campioni esaminati. «Sì — dice Imperato — ma dovrebbero indurre a fare controlli proprio ai rubinetti e non solo a monte». I gestori degli acquedot­ti, infatti, devono per legge assicurare la disinfezione delle acque fino al con­tatore. Dopo i controlli andrebbero ri­chiesti dagli amministratori dei condo­mini, dai proprietari delle abitazioni. Eppure, sarebbe meglio valutare l’ac­qua proprio al rubinetto. L’eccesso di cloro da che dipendereb­be? Spiega Imperato: «In reti di distri­buzione molto lunghe e articolate, vi sono difficoltà nell’individuare il mini­mo dosaggio utile capace di assicurare la necessaria disinfezione delle acque evitando, allo stesso tempo, la forma­zione di sottoprodotti». I trialometani, in particolare, che mostrano forti varia­zioni di concentrazione nelle acque po­tabili in base alle stagioni. Quando è caldo occorre più cloro per disinfettare le acque. «Per questo andrebbero effet­tuati — insiste Imperato — almeno 4 controlli annui, e non uno solo come prevede la normativa». La distribuzione geografica dei con­taminanti mostra una netta prevalenza dei composti organo alogenati (te­tracloroetilene e tricloroetilene) nel Nord-Italia. Nelle Regioni del Sud (Pu­glia e Calabria) prevalgono i trialometa­ni, in particolare il cloroformio. Il bro­moformio è più presente nelle zone co­stiere della Toscana, bassa Liguria e Pu­glia ionica. I numeri: il 32,82% dei cam­pioni da rubinetto presenta limiti oltre la norma di composti organoalogenati; il 72,82% di trialometani; il 77,44% di entrambi.

Il problema è nei limiti am­messi. C’è disputa tra gli esperti sulle dosi minime tollerabili. E i batteri fecali? Dice Imperato: «Contaminanti di origine microbiologi­ca sono stati riscontrati nel 24% dei campioni da rubinetto analizzati». In particolare nel 5,56% è stata rilevata la presenza di Escherichia coli, nel 18,52% di Coliformi totali, nell’11,11% di Enterococcus faecalis. Inoltre nel 2% è stata rilevata la presenza di Pseudo­monas aeruginosa, nel 15% di Aeromo­nas hydrophila. Conclude Imperato: «In nessun caso è stata rilevata la pre­senza di indicatori di contaminazione fecale o ambientale nelle acque minera­li imbottigliate».

I rischi per la salute? Risponde Mar­co Guida, Igienista e tossicologo: «Re­centi studi hanno mostrato una correla­zione tra l’assunzione prolungata di ac­que clorate e l’aumentato rischio di cancro a prostata, vescica e retto». C’è poi la tossicità per fegato e reni. Infine, tracce di medicinali. «Mini­me — dice Matteo Vitali, chimico igie­nista de La Sapienza di Roma — ma che superano i depuratori del sistema fognario. E alla fine finiscono nei fiu­mi, nei laghi, in mare, nel suolo». Qua­li farmaci? Antibiotici, ansiolitici, an­ti- infiammatori. «Tant’è — aggiunge Vitali — che dal punto di vista normati­vo le aziende farmaceutiche dal 2000 devono anche presentare dossier relati­vi all’impatto ambientale dei principi attivi».

Mario Pappagallo
12 maggio 2009

da corriere.it
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