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Autore Discussione: GIANDOMENICO PICCO India chiave del nodo talebano  (Letto 2085 volte)
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« inserito:: Aprile 30, 2009, 09:51:14 am »

30/4/2009
 
India chiave del nodo talebano
 
 
GIANDOMENICO PICCO
 
Il successo della nuova strategia americana sulla crisi afghana risiede nella difficile relazione tra Pakistan e talebani che ha radici nella tensione tra India e Pakistan. Il regno dell’Afghanistan fu creato nel 1747 molto prima di paesi le cui truppe sono oggi nel suo territorio. Nella metà dell’800 perdette una parte delle province dell’Ovest a vantaggio della Persia e a Est a vantaggio dell’India britannica. La tribù Pashtu si trovò divisa tra due paesi, ma rimase il gruppo dominante a Kabul. Nonostante avesse scomodi vicini, come l’impero russo, quello britannico e quello persiano, il paese non fu mai colonizzato e mantenne la sua struttura «non centralizzata», dove Kabul era «primus inter pares» tra le varie province e tribù.

Curiosamente sia l’esperimento sovietico sia quello talebano ebbero un aspetto in comune: cercarono di creare un paese centralizzato, con conseguenze piuttosto disastrose. Per i talebani, la centralizzazione voleva dire il controllo da parte della tribu Pashtu e il dominio sunnita del paese. Un approccio contrario alla storia di due secoli. Inoltre la dimensione tribale Pashtu dell’esperimento talebano rese la linea di confine tra Afghanistan e Pakistan ancor meno importante. La linea Durand, formalizzata tra l’impero britannico e il regno afghano nel 1893, avrebbe avuto, secondo alcuni, una validità di cent’anni. Qualunque sia l’interpretazione di quell’accordo, nessun altro documento è stato firmato negli ultimi 16 anni.

Ben prima dell’11 Settembre 2001, l’allora presidente pakistano Musharaff dichiarò apertamente l’appoggio del suo paese per la tribù Pashtu che, aggiunse, era sinonimo del movimento talebano. Era evidente che se l’esperimento talebano appoggiato da Islamabad avesse avuto successo a Kabul negli Anni 90, la linea di confine avrebbe perso molto del suo significato e il sogno-incubo di un Pashtunistan unito si sarebbe informalmente realizzato senza minare l’unità territoriale del Pakistan. Non solo, ma il dominio sunnita su un Afghanistan centralizzato si sarebbe anche realizzato. Non a caso i grandi oppositori dei talebani in Afghanistan furono le tribù shiite dei Tajiki (il fulcro dell’Alleanza del Nord che combatté fino al dicembre 2001 il regime talebano al qaediano) e degli Hazara (prime grandi vittime di massa dell’estremismo di Bin Laden). Non a caso il nuovo governo a Kabul dopo il dicembre 2001 aveva tra i ministri un significativo numero di Tajiki; curiosamente, o forse no, oggi non figurano più tra i nomi dei ministri del presidente Karzai. Ma la ragione che spinse il governo di Islamabd ad abbracciare il movimento talebano ha radici lontane che vanno ricercate nella stessa creazione del Pakistan nel 1947. Da allora nell’immaginario collettivo del nuovo popolo e molto più nella visione della classe militare dominante, il vero pericolo-minaccia, rimane l’India. I talebani rimangono uno strumento politico il cui valore anti indiano è importante sia sul territorio afghano sia sul fronte orientale del Pakistan.

A 9 anni dal cambio di rotta che il governo Musharaff fu forzato da Washington a prendere dopo il settembre 2001, i talebani sono oggi più forti nel Nord-Ovest del Pakistan e non soltanto, e gli attacchi loro attribuiti nel paese ne sono una dimostrazione. La strategia Usa definita dal presidente Obama riconosce che il rapporto Pakistan-talebani sta al cuore della crisi afghana. Ma come immaginare che qualsiasi governo a Islambad possa aiutare gli Usa e l’Occidente in Afghanistan se ciò comporta l’abbandono di una carta politica e militare con un grande valore aggiunto anti-indiano? Può Islamabad tagliare il nodo gordiano che lo lega ai talebani senza un cambio nel rapporto con Nuova Delhi? Il nuovo rappresentante Usa per Afghanistan e Pakistan non porta nel suo titolo un riferimento all’India - e non è certo dispiaciuto a Nuova Delhi - ma immaginare che l’ambasciatore Richard Holbrooke, possa fare molti progressi senza un contributo indiano è poco realistico. Non vedo come la classe militare pakistana che guarda ai talebani come un’assicurazione anti-indiana possa recidere il nodo gordiano - senza un miglioramento «storico» nella relazione con l’India. I generali pakistani che hanno dominato la scena politica a Islamabad per decenni e che si considerano i garanti della sicurezza del paese non credo possano concedere tanto senza avere nulla. La chiave del successo dell’ambasciatore Holbrooke credo sia a Nuova Delhi, a meno che il rapporto Islamabad- talebani non sia arrivato a un punto senza ritorno.
 
da lastampa.it
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