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Autore Discussione: GIAN GIACOMO MIGONE I mangiatori della cultura evento  (Letto 2455 volte)
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« inserito:: Aprile 03, 2009, 05:13:01 pm »

3/4/2009
 
I mangiatori della cultura evento
 
GIAN GIACOMO MIGONE
 
Non è di Giuliano Soria che voglio scrivere. Quando penso a lui mi viene in mente quanto scrisse Ignazio Silone in un brano autobiografico di Uscita di sicurezza. Da ragazzo il padre lo sorprese a deridere un uomo incatenato tra due carabinieri. Gli disse: «Non farlo mai. Potrebbe essere innocente. In ogni caso è una persona che soffre». Mi importa, invece, concentrarmi su quanto ha reso possibile il fenomeno Soria. Una sorta di metafora di una certa cultura italiana, per abusare ancora una volta di Sciascia. Provo a condensarla in pochi aforismi. Nessuno di noi, che la frequentiamo, può dirsi del tutto innocente (quantomeno non è stato capace di far fare diversamente).

l. A una biblioteca a scaffalatura aperta preferiamo un evento culturale. Visibile! Meglio ancora una serie di eventi che, come le collane editoriali, richiedono un Comitato Scientifico (sede poco scientifica in cui solitamente si spartiscono le spoglie), meglio ancora un Responsabile Scientifico. Degli eventi siamo maestri, qualche volta geniali come Soria. Della pianificazione, della semplice manutenzione e dell’innovazione delle strutture molto meno. Una biblioteca a scaffalatura chiusa non esiste più in Occidente. Noi stiamo per costruirne una all’Italgas. Noi dell’Università che laureò Erasmo da Rotterdam.

2. Un evento, un edificio, un servizio, specie se finanziato con denaro pubblico, non serve al pubblico quanto a coloro che lo progettano, organizzano, gestiscono. Come classe dirigente amiamo riunirci, riconoscerci, rispecchiarci. Si fa con più agio a tavola o in viaggio. Gratis. Talvolta finanziamo chi poi ci invita. Una forma di doveroso sdebitamento. Si misurano affinità, raramente elettive. Si prendono decisioni al di fuori di fastidiose procedure democratiche. Qualche volta bipartisan. Coinvolgere il pubblico, educare i ragazzi, soddisfa soltanto don Meotto (inventore del Grinzane) e qualche altra anima bella.

3. Ci vuole il nome. Il grande invitato, meglio se straniero, così non scoccia più di tanto, viene festeggiato e se va. Ma soprattutto il nome del Grande Catalizzatore, del Demiurgo, che sappia unire le doti del p.r. al gusto (se buono non guasta, non se ne può più delle volgarità televisive!). Se nasce una controversia, con il nome giusto si mette ko chiunque. Figuriamoci Rondolino, un don Meotto laico con la fissa di giovani e di creativi. Se il Nome evapora o crea un problema, se ne cerca un altro, magari con tanto di mozione del Consiglio Regionale. Quello di Rolando Picchioni, ad esempio. Non ce l’ho con lui, poverino, ma con il riflesso condizionato di chi ai suoi piedi approda.

4. Se vuoi ottenere, chiedi tanto: 10 mila euro servono soltanto a realizzare un’idea, a sostenere una piccola cosa che già funziona, che aspira a resistere nel tempo. Magari fa cultura, interessa il pubblico, ma quali interessi aggrega? Da mezzo milione in su si comincia a ragionare.

5. Attenzione ai conflitti d’interessi. In primo luogo al mio. Perché ho fondato con altri desperados L’Indice dei libri del mese, rivista di recensioni, con Tullio Pericoli in copertina. Dopo averla diretta sei anni l’ho consegnato nelle mani di Cesare Cases, poi di Alberto Papuzzi, Luca Rastello e attualmente di Mimmo Càndito. Per 25 anni, appena segnati dal Premio Mondello. Levatrice Delia Frigessi, da L’Indice nacque il Premio Calvino che da oltre vent’anni premia un’opera prima e vive grazie alla Compagnia di San Paolo (malgrado costi pochissimo). Strano anche perché, nell’assenza di p.r., Ninfee e veline, tutti i premiati e molti finalisti sono stati pubblicati dalle case editrici dal palato più esigente. Ecco il mio conflitto d’interesse, ecco perché ho scritto i punti da 1 a 4. Perché sono, anzi siamo invidiosi come delle bisce, costretti a vivere con i sacrifici dei soci, ma soprattutto con i soldi degli abbonati per fortuna in crescita, di coloro che ci comprano in edicola o che occupano i nostri spazi pubblicitari. Non tante grandi case editrici. Due hanno detto - se mi arrabbio un giorno dirò quali -: «Sono soldi sprecati fare la pubblicità sull’Indice. Tanto sono seri e ci recensiscono lo stesso!».

6. Prima prodighi e distratti, successivamente draconiani. Niente più premi. Forti coi deboli e deboli coi forti. Povero premio Calvino, premio povero.

g.gmigone@libero.it
 
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