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Autore Discussione: L’imputato Dhuc, boia pentito dei khmer rossi  (Letto 2511 volte)
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« inserito:: Agosto 02, 2007, 12:19:53 am »

1/8/2007 (7:53) - LA STORIA

L’imputato Dhuc, boia pentito dei khmer rossi
 
E' il solo leader del regime sanguinario a finire al tribunale Onu per la Cambogia

FRANCESCO SISCI


PECHINO
Il primo sarà lui, Kaing Khek Ieu, alias Dhuc, ex capo della polizia speciale dei khmer rossi, ex responsabile della infame prigione S-21 di Phnom Penh, quella in cui entrarono in 16 mila e ne uscirono vivi in appena una dozzina, principe dei boia di quei campi di sterminio dove perse la vita quasi la metà della popolazione cambogiana del tempo, circa due milioni di persone. Dhuc, oggi 62enne, sarà il primo degli ex leader dei khmer rossi a venire processato da un tribunale dell’Onu. Ci sono voluti nove anni per organizzare il tribunale e insediarlo attraverso negoziati defatiganti con le attuali autorità cambogiane, ma ora il momento della verità comincia.

Contro Dhuc c’è una prova più che schiaccianti: il dettagliato archivio da lui stesso compilato nella prigione. Lui però dice di aver sempre agito non per sua volontà, ma eseguendo ordini verbali impartitigli dai veri capi del regime. Che non sono sotto processo e forse non lo saranno mai. Il «fratello numero 1», Pol Pot, è morto di malattia nel 1998, il capo dell’esercito Ta Mok, nel 2006. Gli altri, sulla soglia degli 80 anni, sono tutti in libertà, e abitano in una zona al confine con la Thailandia. Nuon Chea, 82 anni, ex luogotenente di Pol Pot, è il più loquace, nega gli eccidi, afferma che le montagne di teschi lasciate dagli khmer siano in realtà le vittime dei bombardamenti americani. Gli altri hanno scelto un basso profilo. Non dice niente l’ex capo di Stato Khieu Samphan, 76 anni, Ieng Sary, 78 anni, ex ministro degli Esteri, e sua moglie Ieng Thirith, 75 anni, gerarca femminile del regime. Loro quattro dovrebbero essere i prossimi imputati, ma i giudici ancora non l’hanno rivelato per timore di suscitare proteste. Infatti lo stesso presidente cambogiano Hun Sen è un ex khmer rosso, che poi cambiò bandiera e passò al servizio dei vietnamiti, la cui invasione pose fine al regime sanguinario. Ne nacque una guerra civile dove i khmer vennero aiutati da cinesi e anche dagli americani, in funzione antivietnamita e antisovietica. Negli anni ’80 la pace fu riportata con un accordo cui i khmer rossi aderirono.

Pochi invece difendono Dhuc. Fu arrestato nel 1999 ed è l’unico rimasto in prigione. Dopo la caduta della dittatura cambiò nome e sparì per vent’anni nella giungla. Qui venne in contatto con dei missionari protestanti evangelici e si convertì. Quando lo catturarono svolgeva lavoro umanitario insieme a loro, era un «cristiano rinato». È probabilmente l’unico dei vecchi leader ad avere profondamente cambiato idea sul suo passato. Come il soldato di ventura del dramma di Sartre «Il Diavolo e il buon Dio», forse oggi Dhuc crede di essere stato l’incarnazione del male, pronto a farsi strumento del bene, dicendo ai propri concittadini di rifiutare ogni forma di violenza.

Non si salva il soldato di Sartre e sembra non salvarsi nemmeno Dhuc. La conversione al cristianesimo, come quella al comunismo estremo sembrano ondeggamenti assoluti in un calcolo binario, che divide il mondo in 1 e 0, bianco e nero, buono e cattivo. Del resto, Kaing Khek Ieu era un brillante insegnante di matematica, prima di comandare, appena ventenne, i campi di prigionia politica. Chi finiva allo S-21 era già condannato. Kaing Khek Ieu seguiva l’idea semplice, catara, che eliminando i cattivi, i buoni avrebbero trionfato, la società sarebbe finalmente stata perfetta. Oggi il «cristiano rinato» dice di avere sempre agito in buona fede, chiede clemenza e un’assoluzione. Lui allo S-21 si sarebbe assolto? Del resto i colpevoli più grandi, velenosi, stanno morendo tranquillamente di vecchiaia, e forse, a questo punto, per il povero diavolo Dhuc ci vorrebbe solo la pietà del buon Dio.
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