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Autore Discussione: LAMBERTO DINI - Madri, figli e la scommessa  (Letto 2652 volte)
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« inserito:: Marzo 04, 2009, 10:06:07 am »

4/3/2009
 
Madri, figli e la scommessa

 
LAMBERTO DINI*
 
Capita in politica economica che siano contemporaneamente vere due affermazioni fra di loro difficilmente conciliabili.

Ha ragione il ministro del Welfare Sacconi quando afferma che occorre maneggiare con prudenza l’argomento pensionistico, per evitare - nel corso di una crisi che è soprattutto crisi di fiducia nel futuro - di «aggiungere insicurezza a insicurezza».

Ma ha ragione anche chi, come Pietro Garibaldi in un articolo apparso ieri su La Stampa, titolato «Madri o figli», aderisce alla tesi secondo la quale è proprio nei momenti di crisi che l’esigenza di riforme cosiddette strutturali si fa più impellente; già in passato è stato possibile proprio nelle fasi di crisi registrare il consenso politico e sociale necessario per realizzare riforme troppo a lungo rinviate.
 
Ho fatto esperienza di queste due verità, e della difficoltà di conciliarle, allorché ebbi la responsabilità di guidare il governo - e la sua politica economica - fra il 1995 e il 1996. Tutti sapevamo che una riforma del nostro sistema previdenziale era indispensabile; ma nessuno trovava la forza e il consenso per farla. La crisi si rivelò un’occasione: essa metteva in evidenza l’insostenibilità del sistema vigente; per questa via diffondeva incertezza sulla capacità di fornire le prestazioni promesse.

Con il passaggio al sistema contributivo, ridimensionammo le promesse ma le rendemmo più credibili; il sistema si fece sostenibile. Venivamo da oltre tre lustri di riduzione nel numero di occupati. Si accresceva la coscienza dell’insostenibilità di un sistema che offriva sì garanzie, ma a un numero sempre inferiore di occupati. Avviammo, con il «pacchetto Treu» - poi attuato nella legislatura successiva - la più vasta riforma del mercato del lavoro mai realizzata dopo lo Statuto dei Lavoratori.

Da allora la nostra economia è stata in grado di creare oltre tre milioni e mezzo di posti di lavoro aggiuntivi. Ritengo che i problemi della previdenza e del mercato del lavoro debbano oggi essere affrontati con lo stesso spirito di allora. Riguardo la previdenza pubblica, occorre ricuperare i principi della riforma del 1995, rispetto ai quali si sono registrate dannose deviazioni. Un innalzamento dell’età pensionabile, con la graduale parificazione fra donne e uomini e con l’altrettanto necessaria revisione dei «coefficienti di trasformazione» per adeguarli all’allungamento della speranza di vita delle persone, non accrescerebbe affatto l’incertezza se accompagnato da una maggiore flessibilità nel momento dell’uscita dal lavoro.

Chi teme per un livello futuro della pensione pubblica insufficiente deve avere di fronte a sé la possibilità di prolungare il lavoro in modo tale da accrescere i contributi versati e con essi le prestazioni ricevute.

Riguardo la previdenza complementare, la cui credibilità è minacciata dalla drastica caduta dei rendimenti che accompagna la crisi, occorre rimuovere il divieto - tutto italiano - verso schemi a prestazione definita; occorre cioè che i lavoratori possano liberamente scegliere se accettare l’alea di rendimenti mediamente più alti ma più incerti, ovvero se accontentarsi di rendimenti più ridotti ma certi. Con le misure qui indicate si possono liberare le risorse pubbliche necessarie a finanziare un moderno sistema di ammortizzatori sociali che è il naturale, ancorché irrealizzato, complemento delle riforme introdotte con il Pacchetto Treu prima e la Riforma Biagi dopo.

Se il problema è l’incertezza, occorre ridurla garantendo anche ai lavoratori precari che perderanno il lavoro il mantenimento di un livello accettabile di reddito finché non troveranno una nuova occupazione. Tenendo a mente che entro il prossimo autunno il numero dei contratti di lavoro precari che giungerà a scadenza riguarda almeno 2 milioni e mezzo di persone.

La scommessa che dobbiamo fare, tornando all’articolo di Garibaldi, è quella di riuscire a dare meno incertezza sia alle madri sia ai figli. E creare le condizioni perché in futuro la nostra economia possa crescere più celermente, con ciò offrendo opportunità di maggior reddito sia alle une sia agli altri.

*presidente della Commissione Esteri del Senato

da lastampa.it
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