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Autore Discussione: GIAN CARLO CASELLI. Se si conosce il colpevole a che serve intercettare?  (Letto 2835 volte)
Admin
Utente non iscritto
« inserito:: Febbraio 04, 2009, 11:01:45 pm »

4/2/2009
 
Se si conosce il colpevole a che serve intercettare?
 
 
 
 
 
GIAN CARLO CASELLI*
 
Molto si è scritto sul tema delle intercettazioni. In particolare sugli emendamenti del governo al progetto di legge ancora in discussione. Si sa, quindi, che mentre per mafia e terrorismo le intercettazioni richiederanno «sufficienti indizi di reato», per tutti gli altri delitti (dalla rapina all’omicidio, dal traffico di droga allo stupro, dalla corruzione all’aggiotaggio) occorreranno «gravi indizi di colpevolezza»: si potranno disporre intercettazioni solo se saranno già accertati i colpevoli. Ma se si conoscono i colpevoli, manca l’altro requisito richiesto dagli emendamenti (l’intercettazione è data «quando è assolutamente indispensabile ai fini della prosecuzione delle indagini»), per cui l’intercettazione non sarà mai data. Escluso il perimetro mafia-terrorismo, bloccando le intercettazioni in tutti gli altri casi, si sacrifica la sicurezza dei cittadini, la possibilità stessa di difenderli efficacemente dalle aggressioni d’ogni sorta di pericolosa delinquenza. Conviene?

Ma c’è un altro punto degli emendamenti governativi di cui meno si è parlato, mentre presenta anch’esso profili d’incongruenza: la disposizione relativa ai procedimenti contro ignoti, per i quali l’intercettazione dev’essere richiesta «dalla persona offesa, sulle utenze o nei luoghi nella disponibilità della stessa, al solo fine di identificare l’autore del reato». Prendiamo un caso tipico, il sequestro di persona a scopo di estorsione. Il sequestrato non potrà chiedere l’intercettazione del suo telefono; semmai lo potranno fare i familiari. Ma questi, per tutelare l’integrità del loro caro, potrebbero avere interesse a vedersela direttamente coi sequestratori con una trattativa privata, baipassando la polizia e la magistratura (soprattutto nei casi «di sequestri mordi e fuggi»). In tal modo sarebbe rimessa alla discrezionalità di un privato, scosso dal delitto che ha colpito la famiglia, la difficile scelta se mettere o no sotto controllo i suoi telefoni, che all’inizio dell’indagine sono di solito l’unica strada per non brancolare nel buio.

Anche le estorsioni danno quasi sempre vita, all’inizio, a procedimenti contro ignoti (pensiamo all’incendio doloso d’un negozio o cantiere, presumibile opera di un racket, che spesso non è mafia). La vittima, specie quella (statisticamente frequente) che fa di tutto per escludere ogni riferibilità a estorsioni, si guarderà bene dal chiedere che il suo telefono sia messo sotto controllo. Magari perché bloccato dalla paura degli estortori (che conosce o intuisce chi possano essere). Di nuovo: una scelta difficile, che potrebbe aprire l’unica via possibile all’accertamento della verità, rimessa a un privato. Mentre ci sono in giro gruppi di balordi o bande che praticano estorsioni e sequestri, delinquenti che occorre neutralizzare nell’interesse della sicurezza generale, oltre che dei singoli soggetti coinvolti (facilmente ricattabili dai delinquenti con minacce di ritorsioni in caso di collaborazione con le autorità). Può poi accadere che si sospetti qualcosa che porta all’ambiente di lavoro del sequestrato o dell’estorto (tipico il caso del dipendente infedele «basista»), ma senza la richiesta della vittima niente intercettazioni «nei luoghi di sua disponibilità». Non credo di esagerare dicendo che tanti gravi delitti potranno essere di fatto agevolati. Muovere in questa direzione, con il tanto parlare che si fa di sicurezza e tolleranza zero, mi sembra a dir poco paradossale.

*procuratore capo di Torino

 
da lastampa.it
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Admin
Utente non iscritto
« Risposta #1 inserito:: Febbraio 05, 2009, 11:40:31 pm »

«Impedire le intercettazioni significa favorire l’Italia dell’impunità»

di Saverio Lodato


Chiediamo a Giancarlo Caselli, da qualche mese a capo della Procura di Torino, di diradare, nei limiti del possibile, il gran polverone sollevato in materia di intercettazioni telefoniche. Una questione apparentemente semplice e che dovrebbe essere pacificamente affrontata – è infatti risaputo che le intercettazioni servono per combattere diverse forme di delinquenza organizzata – è invece diventata un vero e proprio tormentone politico, quasi fosse un problema che toglie il sonno agli italiani. Ma si intuisce che dietro questo gran parlare si nascondono interessi che con il reale funzionamento della giustizia non c’entrano granché.

Caselli, saprebbe spiegare in parole semplici e all’uomo della strada, bombardato dai media,in cosa consiste la proposta di legge del governo?
«L’iter legislativo è ormai lungo: all’inizio, otto mesi fa, un progetto di legge venne approvato dal consiglio dei ministri; in quel testo le intercettazioni erano vietate anche per reati gravissimi, quali, a esempio, il sequestro di persona, estorsioni, rapine, associazione per delinquere, bancarotta e stupro. Ben presto, però, il presidente del consiglio cominciò a ripetere che le intercettazioni dovevano limitarsi a delitti di mafia e terrorismo. Nel frattempo, grazie al dibattito politico, anche interno alla maggioranza, l’elenco dei reati intercettabili veniva significativamente allungato».

Oggi a che punto siamo?
«Alcuni giorni fa il governo ha presentato alcuni emendamenti che in sostanza accolgono la linea del premier. Mentre per mafia e terrorismo le intercettazioni richiedono “sufficienti indizi di reato”, per tutti gli altri delitti, dalla rapina all’omicidio, dal traffico di droga allo stupro, dalla corruzione all’aggiotaggio, eccetera, occorrono “gravi indizi di colpevolezza”».

Quindi si teorizza un doppio binario a seconda del reato da scoprire e da punire?
«È così. Per mafia e terrorismo le intercettazioni hanno ancora un certo spazio; invece, negli altri casi, anche gravissimi, disporre di “gravi indizi di colpevolezza” significa che l’inchiesta è già finita o arrivata a un punto tale da consentire la cattura dei colpevoli. Come si vede, il magistrato è già arrivato ad uno stadio che rende le intercettazioni superflue o inutili. C’è di più: poiché l’emendamento dice che l’intercettazione deve essere “assolutamente indispensabile ai fini della prosecuzione delle indagini” è evidente che l’intercettazione, in pratica, non sarà mai concessa».

Mi par di capire che, fatta eccezione per mafia e terrorismo, in tutti gli altri casi l’intercettazione viene di fatto impedita.
«E sono chiari i rischi per la sicurezza dei cittadini, per la loro tutela dalle aggressioni anche dei più pericolosi delinquenti».

Ma torniamo a mafia e terrorismo. Le cose restano esattamente come erano prima?
«C’è un rischio per le intercettazioni ambientali, quelle più efficaci. Nel senso che si progetta di non consentirle nei luoghi in cui non si svolgono materialmente attività criminali. Vale a dire che se il magistrato sa che due boss stanno per incontrarsi in un bar per parlare di “cose loro”, siccome in un bar si va a prendere il caffè e non per commettervi reati, non si può intercettare».

Resta il fatto che, in Italia, a finire pubblicate sui giornali non sono solo intercettazioni che attengono a profili criminali. In molti casi infatti la violazione della privacy altrui è stata evidente.

«A questo proposito i progetti di riforma vanno nel senso giusto. Le intercettazioni sono uno strumento particolarmente invasivo. Devono essere utilizzabili esclusivamente nell’ambito penale al fine di accertare la verità processuale. In altre parole bisogna impedire utilizzazione e pubblicazione delle intercettazioni riguardanti fatti non pertinenti all’inchiesta o soggetti estranei al processo. Questi limiti devono essere tassativi e rigorosi. Ma oltre questi limiti, impedire le intercettazioni equivale a preferire rispetto all’Italia delle regole, l’Italia delle impunità. E a rimetterci sono i cittadini onesti».

saverio.lodato@virgilio.it


05 febbraio 2009
da unita.it
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