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Autore Discussione: MASTELLA Un errore parlare solo dell'indulto  (Letto 3076 volte)
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« inserito:: Luglio 25, 2007, 11:40:35 pm »

25/7/2007 - LA LETTERA
 
Un errore parlare solo dell'indulto
 
CLEMENTE MASTELLA
 

Con riferimento agli articoli apparsi ieri su La Stampa ritengo opportuna qualche precisazione. È fin troppo chiaro a tutti che l’indulto - che com’è noto non è stato un atto del governo ma un provvedimento voluto dal Parlamento e votato da oltre i due terzi delle Camere - è stato una misura eccezionale.

Esso è stato concepito in un momento in cui la popolazione detenuta ammontava ad un totale di circa 63 mila unità. Tale cifra, che ha rappresentato un record assoluto nella storia della Repubblica italiana, creava una situazione di oggettiva e grave difficoltà per un sistema penitenziario che poteva contare su di una capienza regolamentare di circa 43 mila persone. Si è trattato dunque, dopo tanti anni, di riportare la gestione penitenziaria a condizioni che garantissero la legalità nella esecuzione della pena.

Ma il problema del sovraffollamento non basta a spiegare le ragioni della legge approvata dalla stragrande maggioranza del Parlamento. Il dato su cui occorre maggiormente riflettere era (ed è) costituito dall’impressionante turn over dei detenuti, situazione che ho denunciato non appena mi sono insediato e che costituisce il vero punto debole del nostro sistema penale. Infatti, negli ultimi anni, si è registrata una media di circa 90 mila arrestati ogni 12 mesi a fronte di circa 88 mila che ogni anno lasciano il carcere. Ciò ha determinato una presenza «di flusso» negli istituti penitenziari, con permanenze molto basse, spesso non superiori a 90 giorni.

Le cause di tale situazione (il carcere per molti ma per poco tempo) risiedono sia nella crescita esponenziale della tipizzazione dei fatti di reato, sia nella esponenziale crescita dei reati commessi, sia nella presenza di fattispecie di reato che non si rivolgono a soggetti dotati di capacità criminale, come nel caso di alcuni reati compendiati nella legge sull’immigrazione. Mentre dunque da un lato il provvedimento di indulto - che ribadisco è frutto della volontà di oltre i due terzi del Parlamento - ha principalmente inciso su di una parte della popolazione detenuta che, comunque, sarebbe stata coinvolta nel descritto turn over; dall’altro io per primo ho inteso precisare che avrei affiancato all’indulto - votato da una amplissima maggioranza parlamentare - alcune mie importanti proposte di riforma.

Sembra infatti ragionevole ritenere che una vera soluzione ai problemi accennati si possa ottenere solo con un complessivo riassetto del sistema penale, senza pensare di poter delegare al solo sistema carcerario la soluzione di fenomeni la cui consistenza dipende dalla cause ricordate. In questo contesto sono nate le mie iniziative per la riforma dei codici, penale e di procedura penale, che necessitano dell’approvazione del Parlamento. Nella medesima direzione vanno le iniziative recentemente intraprese dal ministero della Giustizia, per l’impiego della Polizia Penitenziaria negli uffici per l’esecuzione penale esterna.

È mio intendimento lavorare perché torni ad avere senso, effettività e consistenza la pena detentiva e, al contempo, per far sì che tutto ciò che non merita di essere punito con il carcere trovi un’adeguata risposta in serie ed efficaci sanzioni alternative. Per fare ciò occorre consapevolezza della complessità della manovra che abbiamo posto in essere; coscienza di quali siano le iniziative e le responsabilità di ciascuno nella realizzazione di questo progetto; e sincera condivisione della volontà di guarire i mali del sistema, denunciandone i vizi, ma dando il giusto riconoscimento a chi ha inteso procedere alla proposizione dei rimedi. Senza questo senso di responsabilità da parte di tutti, la situazione che ho trovato al mio insediamento non può che aggravarsi, con danno per la giustizia ma soprattutto per i cittadini.

* ministro della Giustizia
 
da lastampa.it
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« Risposta #1 inserito:: Luglio 29, 2007, 06:50:47 pm »

Castelli addio

Giovanni Salvi


I magistrati tirano un gran sospiro di sollievo. Il pasticcio chiamato riforma è stato smantellato negli aspetti che più incidevano sulla funzionalità della giustizia. La maggioranza ha dato prova di coesione, riuscendo a giungere - anche se in zona cesarini, come si diceva una volta - ad approvare il testo del governo, pur se fortemente emendato. Non era un risultato scontato, visto che sui temi della giustizia sono emerse in realtà visioni divergenti, ben note anche prima delle elezioni ma che non apparivano nei programmi elettorali. La «riforma Castelli» era animata da un´impostazione di fondo: affrontare il grave deficit nel funzionamento della giustizia attraverso una radicale trasformazione della magistratura.

Il principale problema della giustizia non è nella penuria dei mezzi, nelle farraginosità processuali, nell´inadeguatezza delle norme sostanziali; al contrario, messa la mordacchia a una magistratura non sensibile alla volontà popolare sarebbe stato finalmente possibile ripianare il debito giudiziario. Nel suo primo intervento dinanzi a un Csm allibito, l´allora Ministro della Giustizia lo disse con chiarezza: era inutile investire in una macchina non in grado di funzionare; occorreva prima intervenire sull´ordinamento e poi si sarebbe finalmente potuto risanare la giustizia nel suo complesso.

È questo contesto che spiega per quale ragione la riforma abbia puntato sulla reintroduzione di un principio gerarchico, sia nella giurisdizione (assegnando alla Corte di Cassazione un ruolo di vertice di una piramide) sia nell´assetto interno degli uffici e in particolare delle procure. Un ritorno a un periodo della storia della giurisdizione che costò molti sforzi superare: quello di una magistratura pienamente inserita negli ambienti del potere e incapace di differenziarsene, non in grado di operare quella mediazione tra l´astrattezza della legge e l´aggiudicazione nel caso concreto, che è la sua essenza e la sua vera funzione.

È per questa ragione che la riforma Castelli introduceva un farraginoso e complicato sistema di concorsi interni, che avrebbe da un lato paralizzato il Csm, impegnandolo in questa inesauribile attività, e dall´altro premiato i magistrati attenti alla carriera più che al lavoro. Ricordo quello che, vigente un sistema analogo, mi diceva mio padre, avvocato penalista, a proposito di certi magistrati, preoccupati solo di redigere bei provvedimenti, pieni di citazioni, e paurosi di ogni deviazione dal detto dei superiori.

In questi giorni due magistrati romani, entrambe donne, una p.m. e una giudice, hanno affermato con un ben argomentato provvedimento il diritto di rifiutare l´accanimento terapeutico e di scegliere di morire dignitosamente, facendo così «giustizia» di tante polemiche e di tanto crudele accanimento su Piergiorgio Welby, anche da morto. È questa la magistratura indipendente e professionalmente preparata che vogliamo.

Questo ci porta però subito coi piedi nel piatto. Sarebbe un errore non riconoscere che le esigenze di rigore, preparazione professionale, capacità di dare risposta alla domanda di giustizia - mal poste dal ministro Castelli a fondamento della sua riforma - sono reali e sono sentite come indilazionabili dai cittadini. È anche per questo che il disegno di legge del Ministro Mastella non ha avuto vita facile. Qualcosa in questa direzione è stata fatta. Ad esempio recependo gli orientamenti che il Csm era faticosamente riuscito a formulare, nel vuoto normativo, circa più stringenti valutazioni della professionalità dei magistrati. O introducendo finalmente la temporaneità negli incarichi direttivi e semidirettivi.

L´Associazione Nazionale Magistrati ha dimostrato senso di responsabilità e fermezza. È ora però di dare una decisiva svolta. Finita la preoccupazione di riforme contro la magistratura, occorre saper guardare al cittadino e alla sua esasperazione per una risposta che arriva - quando arriva - in ritardo e incerta nei suoi contenuti. Finito il periodo della ricerca del capro espiatorio, si affronti il periodo del risanamento, con i costi anche politici che esso comporta. In questa direzione vi sono già dei terreni di confronto aperti: dai disegni di legge frutto delle Commissioni Foglia sul processo del lavoro, bloccati nel 2002 che è urgente siano rimessi in discussione, alle proposte di intervento sui codici penali e di procedura penale.

Soprattutto, le mediazioni che sono state necessarie per far giungere in porto il disegno di legge Mastella hanno lasciato fuori due temi di grandissimo spessore. Il primo, più semplice da risolvere, è l´imminente scadenza di un gran numero di incarichi direttivi e semidirettivi, grazie all´abrogazione delle norme che prevedevano una gradualità nell´applicazione della temporaneità. È facile immaginare che cosa succederebbe se 350 tra dirigenti e semidirettivi dovessero nello stesso momento essere sostituiti.

Il secondo, più serio, è costituto dal controllo sui dirigenti delle procure della repubblica. Il Parlamento non è riuscito a trovare un accordo e la questione è stata rinviata; nel frattempo il Csm ci metterà una "pezza", in via interpretativa. Il punto merita invece di essere affrontato: proprio se si vogliono - come è giusto - uffici di procura che abbiano impostazioni omogenee e che rispondano della capacità di organizzarsi e di utilizzare le risorse, è necessario prevedere un quadro entro cui esse debbano muoversi e che sia la base per un giudizio di responsabilità del dirigente. Solo se si disciplina questo quadro di riferimento e si attribuisce al Csm il ruolo di orientamento e di valutazione, sarà possibile poi operare una seria valutazione per la riconferma del dirigente. Se non vi sono questi riferimenti, da un lato il dirigente diverrà capo assoluto, dall´altro sarà o di fatto irresponsabile, o esposto a forme di controllo arbitrarie e dipendenti dalle maggioranze del momento. Questo è quanto avveniva negli anni ´50. Il costo causato da molti porti delle nebbie, sparsi per l´Italia, fu pagato dalla collettività.

Insomma, occorre tornare a guardare al cittadino-utente e al servizio da rendergli. Solo così l´autonomia e l´indipendenza della magistratura saranno vissuti non come un privilegio di casta, ma come bene comune. Sarà un bel giorno quando il sospiro di sollievo lo tirerà non solo il magistrato, ma il Paese.

Pubblicato il: 29.07.07
Modificato il: 29.07.07 alle ore 14.51   
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