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Autore Discussione: Giuseppe De Rita Stress da crisi (salutare)  (Letto 2218 volte)
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« inserito:: Gennaio 19, 2009, 03:15:43 pm »

IL MODELLO ITALIANO

Stress da crisi (salutare)


di Giuseppe De Rita


Il prolungamento dell'attesa è la tradizionale tecnica usata da noi italiani per non prendere di petto problemi ed eventi, nella speranza che tutto si risolva senza troppa fatica e troppi drammi. È la tecnica con cui da qualche mese siamo tentati di esorcizzare una crisi economica preannunciata come epocale, un uragano che avrebbe lasciato sul terreno morte e devastazione; e che oggi viene ridotta a una quasi ordinaria congiuntura negativa, fidando in interventi minimi e omeopatici (leggere, per credere, il relativo decreto anticrisi) ma ancor più fidando nella solidità di lungo periodo del modello di sviluppo che ha contraddistinto l'economia e la società italiane negli ultimi 50 anni.

È cosa in parte sorprendente, almeno per me, constatare che tutti esaltano il fatto che siamo rimasti fedeli all'economia reale, magari anche coloro che per anni hanno sostenuto che solo la finanza faceva «creazione di valore ». Tutti esaltano il legame delle banche con il territorio, magari anche coloro che per anni hanno proclamato la fine delle banche locali e la potenza delle grandi concentrazioni. Tutti esaltano le piccole imprese come vero tessuto vitale del sistema, magari anche coloro che vedevano nel «nanismo imprenditoriale» l'ostacolo maggiore alla nostra competitività internazionale. Tutti esaltano la capacità del localismo di far da presidio dinamico ai processi di internazionalizzazione, magari anche coloro che per anni lo hanno visto come folklore economico, terreno privilegiato di stracciaroli pratesi e di scarpari fermani. Tutti esaltano la prudenza delle famiglie in termini di comportamenti di reddito e di risparmio, magari anche coloro dai quali la cosiddetta «famiglia s.p.a.» è stata considerata una ulteriore incarnazione del nostro abietto familismo amorale. Tutti esaltano la capacità del sistema di integrare pubblico e privato (nell'economia come nel welfare), magari anche coloro che per anni hanno visto l'economia «mista» come corruzione del mercato da parte di impudenti boiardi di Stato. Tutti esaltano la alta capacità adattiva del sistema, magari anche coloro che con disprezzo l'hanno spesso descritta come «italica arte d'arrangiarsi ».

Potremmo anche continuare, ma bastano questi rapidi richiami per capire la sensazione forse illusoria ma generalizzata che la crisi non ci trova impreparati; il tradizionale modello italiano ci permette di «aspettare e vedere», senza i drammi di altri sistemi che impegnano urgentemente trilioni di dollari senza neppure la sicurezza che bastino.

Esercitiamo quindi ancora una volta il prolungamento dell'attesa. Ma chi conosce da sempre le componenti essenziali dell'oggi conclamato modello italiano ha il diritto- dovere di segnalare che per esso potrebbe essere utile un po' di crisi e di paura per avviare un momento di rinnovamento, di nuovo start-up.

Un adattamento a basso regime di giri potrebbe farci salvi ma più deboli, se contassimo sulla pura prosecuzione dei processi vittoriosi negli ultimi cinquanta anni. Abbiamo bisogno di energie nuove, ed esse possono venirci dal mondo degli immigrati, specie da coloro fra essi che hanno spirito d'impresa; possono venirci dalla sempre più significativa componente del lavoro e del potere femminile; possono venirci da una ristrutturazione meno impiegatizia e più imprenditorialmente competitiva del nostro terziario; possono venirci dalla crescita di funzioni delle nuove conurbazioni; possono venirci dal pullulare di vari spiriti minoritari, nell'industria come nella cultura; possono venirci anche (speranza mai rinunciata) dagli stessi giovani del Sud, se stimolati a uscire dalle paure del precariato.

Abbiamo in altre parole bisogno di una nuova alchimia del modello, perché esso possa continuare la sua storia vitale. Se per questo dovesse occorrere un po' di stress da crisi, ben venga.


19 gennaio 2009
da corriere.it
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