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Autore Discussione: Cari giudici dobbiamo cambiare  (Letto 2866 volte)
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« inserito:: Gennaio 11, 2009, 12:16:18 am »

Cari giudici dobbiamo cambiare

di Peter Gomez


Correnti. Relazioni pericolose. Raccomandazioni. Tocca ai magistrati riformare se stessi. Per frenare le mire della politica. Parla il nuovo vice di Palermo. Colloquio con Antonio Ingroia  Antonio IngroiaEmozionato? "Certo. Vado a ricoprire un incarico, quello di procuratore aggiunto a Palermo, che prima di me è stato di Falcone e Borsellino. Ma sono anche preoccupato. Lo stato di salute della giustizia è cattivo, le prospettive incerte, e la fiducia dei cittadini, nei confronti della magistratura e di tutte le istituzioni, è bassa. È un brutto quadro perché intanto la questione morale dilaga. Non per nulla il presidente Napolitano chiede un nuovo costume politico, una svolta morale, necessaria per riconquistare fiducia. Anche noi magistrati dobbiamo fare la nostra parte, facendo pulizia da ogni forma di opacità, migliorando l'organizzazione degli uffici e forse pensando a un congresso straordinario dell'Anm per affrontare il problema del correntismo. Insomma, autoriformarci per non dare spazio a certi desideri di controriforma...".

Antonio Ingroia, 49 anni, ha sostenuto a Palermo l'accusa in alcuni dei più importanti processi contro la mafia, dal caso Dell'Utri al caso Contrada. Ma accanto all'esperienza di sostituto procuratore, ne ha sommata un'altra. Quella di segretario palermitano di Md, la corrente di sinistra dei magistrati, cui adesso va ad aggiungersi il ruolo di difensore di Luigi De Magistris, in due procedimenti disciplinari ancora pendenti davanti al Csm contro l'ex pm di Catanzaro. Ingroia insomma è la persona giusta con cui discutere di ciò che sta accadendo in questi mesi: dal caso Catanzaro, fino alla riforma delle toghe minacciata da Berlusconi.

Ingroia, lei parla di sfiducia, ma lo stato della giustizia non invita all'ottimismo...
"Guardi, i cittadini ci chiedono principalmente una cosa: una giustizia efficiente ed imparziale, senza privilegi di casta. Oggi però non si pensa a una riforma della giustizia per renderla più rapida e più eguale per tutti. Mi pare invece che l'unica preoccupazione sia l'ennesima riforma della magistratura, dei poteri del pm e ora anche quella delle intercettazioni. Tutto questo dopo anni e anni d'interventi legislativi che hanno allungato i tempi del processo e abbreviato quelli della prescrizione, cioè della non giustizia".

Queste sono le responsabilità della politica, poi ci sono le vostre...
"È innegabile. Per quanto riguarda Palermo, io sono convinto che un'applicazione integrale del collaudato metodo del pool, con una circolazione delle informazioni migliore rispetto al passato, possa rendere la nostra azione più efficace. Inoltre bisogna che tutti, a partire dall'Anm, facciano dei passi avanti nel combattere episodi di grave malcostume presenti nel mondo giudiziario. I magistrati se vogliono essere credibili non possono permettersi, ad esempio, di far assumere figli o parenti su raccomandazione o di mantenere certe relazioni pericolose".

Parla dei casi emersi dalle indagini di Salerno?
"Sì, ma non solo. Anche le inchieste di De Magistris e le audizioni del Csm hanno delineato un quadro impressionante dei legami di troppi colleghi, spesso nominati dirigenti, con vari potentati locali e nazionali".

Finora il Csm ha risposto avviando procedure di trasferimento un po' per tutti: chi indagava su questi legami e chi ne era invece protagonista.
"Il problema è che anche tra noi dilaga il terzismo. A me non piacciono i fanatismi, ma quando si affrontano queste situazioni non si può nemmeno pensare che tutti abbiano ragione e torto nello stesso modo. Sostenerlo significa non decidere per non assumere posizioni scomode. In passato, i vari 'casi Palermo' sono sempre stati chiusi dal Csm con decisioni salomoniche che hanno finito per fare pagare a Falcone e Borsellino prima, e in epoca più recente a Caselli, Scarpinato, Natoli, Lo Forte, torti che non avevano".

Insomma, davvero dietro a molti atti del Csm ci sono motivazioni di fatto politiche...
"Non sempre, per fortuna, perché il Csm si è dato nuove regole per valorizzare meglio meriti e professionalità, ma spesso è stato così. Lo dimostrano, ancora oggi, le scelte più contrastate, frutto del prevalere di schieramenti ritagliati su contrapposizione correntizie".

La riforma del Csm chiesta da Luciano Violante e dal centrodestra è dunque necessaria?
"A quel che leggo, i rimedi proposti sono peggiori del male. Aumentare i membri di nomina politica, riducendo i componenti eletti dalla magistratura, aumenterebbe il tasso di politicizzazione. Io non ho ricette magiche. Ma so che nel corso degli anni la degradazione correntizia è andata crescendo ed è ormai avvertita da vasti settori della società e della magistratura. Anche per questo le riunioni dell'Anm sono sempre meno affollate".

Alla crisi dei partiti corrisponde una crisi delle correnti?
"Sì, e non per niente le correnti sono per certi versi modellate sui vecchi partiti. E così oggi anche le designazioni per le elezioni al Csm vengono fatte dalle élite delle correnti anziché dai magistrati elettori. Bisogna pensare a sistemi diversi come le primarie o la possibilità di votare candidati al di fuori di liste bloccate. L'Anm dovrebbe dedicare un congresso straordinario a questi temi".

La vostra credibilità non passa solo per il Csm. Vicende come quelle di Potenza o Pescara con ordinanze di custodia subito revocate o annullate suscitano sconcerto nell'opinione pubblica.
"Non entro nel merito, ma in generale credo che mai come in questo momento dobbiamo evitare le bucce di banana che ci vengono disseminate lungo il cammino. Prima di emettere un provvedimento, e lo dico anche a me stesso, dobbiamo pensarci non tre, ma quattro volte, come ci hanno insegnato Falcone e Borsellino. Inoltre, e sarà una delle mie preoccupazioni come procuratore aggiunto, dobbiamo evitare le motivazioni oceaniche, spesso frutto del copia incolla elettronico".

Copia e incolla?
"Sì, perché scrivere provvedimenti di centinaia o addirittura migliaia di pagine rende più complesso il lavoro di chi viene dopo e rende pure improba la fatica dei cittadini che vogliono informarsi, anche per controllare l'operato dei magistrati, quando gli atti diventano pubblici".

Quella dell'ipermotivazione è un'accusa rivolta ai pm di Salerno. Il decreto di sequestro nei confronti dei magistrati di Catanzaro era di 1400 pagine.
"Era lungo. Ma non si può mettere sullo stesso piano quel provvedimento con le iniziative dei colleghi di Catanzaro indagati che hanno risposto al sequestro mettendo sotto inchiesta chi investigava su di loro. Sono due cose non comparabili. Perciò mi sorprendono le prese di posizione, anche di magistrati, che hanno descritto quanto accadeva come una guerra fra procure. Farlo è pericoloso".

Perché?
"Si avvelena ulteriormente il clima. Non appena esplode il caso Catanzaro la maggioranza propone la riforma del Csm e la separazione delle carriere. Proposte che, nei fatti, finiscono per interferire sui giudizi che lo stesso Csm deve dare. E così si rischia che, sull'altare della difesa dell'autonomia e dell'indipendenza esterna dei magistrati, vengano sacrificate inchieste, persone, carriere professionali. Il tutto a discapito della non meno importante 'indipendenza interna', interna ai Palazzi di Giustizia, dell'indipendenza dei magistrati dai capi".

Parla di De Magistris?
"Anche. È un fatto che le indagini più delicate gli siano state sottratte prima che potesse definirle, o per avocazioni dei fascicoli o per il suo trasferimento. Ed è un altro fatto che ora l'inchiesta di Salerno, mirante a far luce su quanto accaduto a Catanzaro, rischia la stessa fine col trasferimento dei pm titolari. Così a farne le spese sarà la richiesta di verità e giustizia che viene dai cittadini. De Magistris, comunque, domanda solo di essere giudicato con serenità. Come tutti noi, anche lui può avere commesso errori, ma tra i suoi eventuali sbagli e certe relazioni pericolose emerse dalle sue inchieste, c'è una bella differenza. Altro che guerra fra Procure. Finora solo lui ha pagato un conto molto salato. Più che terzismo mi pare senso unico...".

(08 gennaio 2009)
da espresso.repubblica.it
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Utente non iscritto
« Risposta #1 inserito:: Gennaio 11, 2009, 10:16:47 am »

10/1/2009
 
Il tuo reato ha la precedenza
 
BRUNO TINTI
 

L’Associazione Nazionale Magistrati fa male a criticare le opinioni del vicepresidente del Csm Nicola Mancino.
Soprattutto fa male perché ne critica la parte ragionevole e fondata; e ne trascura invece una veramente pericolosa per la sopravvivenza del controllo di legalità: la scelta parlamentare dei reati da perseguire prioritariamente. Dice dunque Mancino che la composizione del Csm dev’essere modificata perché, con l’assetto attuale, si favorisce il correntismo, cioè (chiamiamolo con il suo nome) il clientelismo praticato dalle correnti da cui è composta l’Anm.

Che una simile osservazione non sia formulata da un politico qualsiasi, di quelli che parlano di riforma della giustizia senza avere la più pallida idea di quello che dicono, ma dal vicepresidente del Csm è già circostanza che dovrebbe far riflettere.

Evidentemente Mancino sa quello che dice, perché lo constata tutti i giorni, nella consueta pratica delle vicende consiliari. D’altra parte le sue parole sono le stesse (anzi assai meno esplicite) di molti magistrati che denunciano da anni l’occupazione del Csm da parte dell’Anm (e dunque delle correnti) e la conseguente gestione clientelare della carriera dei magistrati. Le centinaia di missive comparse sulle mailing list dei magistrati negli ultimi anni che denunciano il correntismo e la crisi dell’autogoverno della magistratura sono la prova migliore che il problema esiste ed è grave.

Quanto sia grave lo provano le numerose sentenze del Tar che hanno annullato provvedimenti del Csm con motivazioni in cui si parla esplicitamente di violazione di legge e di decisioni non corrette. Per finire, è bene sapere che, sulle stesse mailing list, compaiono spesso missive provenienti dai vertici delle varie correnti, che denunciano abusi e violazioni. Insomma, ogni corrente, a turno, denuncia il clientelismo praticato dalle altre; con la risibile (ma in verità tragica) argomentazione che tutti gli altri sono inquinati da questa pratica, «ma noi no». Affermazione che si commenta da sola.

Alcuni magistrati, tra il dileggio dei «correntisti», hanno proposto di nominare i componenti del Csm mediante sorteggio: non si capisce infatti perché chi è idoneo a infliggere un ergastolo o affidare un minore alla madre piuttosto che al padre (o a fare una delle tante delicate e terribili cose che ogni giorno fa un magistrato) non dovrebbe avere le capacità per stabilire chi deve fare il procuratore di Roncofritto o il presidente del Tribunale di Poggio Belsito. Questa soluzione mi pare preferibile a quella proposta da Mancino e in genere da molti politici che vogliono un Csm composto per un terzo da magistrati eletti dalla magistratura, per un terzo da personalità nominate dal Parlamento e per un terzo da altre personalità nominate dal Presidente della Repubblica; ciò perché il rischio del controllo politico di un Csm così composto mi pare rilevante. E tuttavia, al punto cui è giunto l’attuale Csm occupato dalle correnti, anche la soluzione Mancino può andare bene.

È invece da respingere la proposta di affidare a una maggioranza (anche se elevata) parlamentare l’identificazione dei reati da perseguire prioritariamente. Prima di tutto deve essere chiaro che i reati «non prioritari» non sarebbero perseguiti in un secondo momento; interverrebbe la prescrizione e quindi non sarebbero perseguiti affatto. Dunque la scelta parlamentare significherebbe in pratica una previsione d’impunità per alcuni delitti; il che, con l’aria che tira, vuol dire semplicemente che i reati tipici della classe dirigente non sarebbero puniti.

Evidentemente Mancino è consapevole degli aspetti negativi della soluzione che propone, tanto che la presenta come una soluzione straordinaria motivata dall’emergenza; una volta tornati alla normalità, si riprenderebbe con l’obbligatorietà dell’azione penale. Si tratta della stessa logica che ha caratterizzato l’indulto: c’è un’emergenza carceri, non ci sono più posti, occorre sfollare, occorre un indulto. A due anni di distanza, siamo allo stesso punto, con carceri sovraffollate come prima. Bisogna smetterla di far finta di ignorare che il problema è strutturale. Il sistema processuale italiano non permette di smaltire tutti i processi che gli si chiede di fare; ogni anno ne smaltisce (per di più in gran parte con la prescrizione, dunque rinunciando ad una sentenza di giustizia) meno di quelli che incassa.

Questo significa che l’«emergenza» è endemica: se non si modifica il sistema, non sarà mai possibile dare una risposta effettiva alla domanda di giustizia del Paese.

Allora il problema non è di priorità, quali processi fare prima e quali dopo; il problema è costruire un sistema processuale che permetta di farli tutti. Naturalmente tutti quelli che meritano una risposta penale. E allora, per prima cosa, occorre una depenalizzazione ragionevole: per intenderci, il falso in bilancio deve restare reato e l’omessa autorizzazione dell’autorità di pubblica sicurezza per tenere un pubblico trattenimento invece no. E poi occorre buttare alle ortiche il dissennato codice di procedura penale che ci sciroppiamo da 20 anni; e adottarne uno che renda possibile condannare i colpevoli (e assolvere gli innocenti) in un tempo ragionevole. Eh già, e se poi il sistema comincia a funzionare davvero, come facciamo ad assicurare l’impunità al pubblico malaffare?

da lastampa.it
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