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Autore Discussione: Bush: "Io, la guerra e la crisi. Ora scrivo un libro e do consigli a Obama"  (Letto 2208 volte)
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« inserito:: Gennaio 08, 2009, 12:35:06 pm »

L'INTERVISTA/Parla il presidente Usa George W. Bush

Medioriente, terrorismo, religione: "Dio mi ha aiutato"

"Io, la guerra e la crisi. Ora scrivo un libro e do consigli a Obama"

di CAL THOMAS


SIGNOR presidente, lei si è sempre detto ottimista sulla nascita di uno Stato palestinese che viva in pace accanto Israele. Dopo i fatti di Gaza, lei resta di quella opinione?
"Un presidente deve saper guardare oltre l'orizzonte. Perché Israele si garantisca la sicurezza nel lungo termine serve una democrazia alle sue frontiere. E vedrà, prima o poi una democrazia si radicherà. Il premier israeliano Olmert e il presidente Abbas stavano negoziando la definizione di uno Stato. E come sempre la violenza interviene per fermare il passo delle democrazie. Questa crisi serve a fare chiarezza: i palestinesi vogliono uno stato pacifico o questa violenza? E' accaduto lo stesso in Iraq, eppure nel tempo anche lì la situazione è migliorata e la democrazia attecchisce".

Però quando i palestinesi hanno votato, hanno scelto Hamas.
"Sì, ma quel voto non era sulla guerra o la pace, bensì su chi potesse fornire un migliore sistema sanitario e di istruzione. Era un ripudio della leadership precedente di Fatah, contro la corruzione, la mancanza di trasparenza. L'ho detto ai capi di Fatah, che con quel voto è suonata una campanella, che la gente era stanca di loro, e che perciò dovevano riformare e ascoltare le richieste del popolo".

Già, ma le campagne d'odio contro l'Occidente non si fermano.
"Fa parte della grande guerra di propaganda che si sta combattendo. Per sconfiggerla dobbiamo spiegare bene chi siamo, che la democrazia e la libertà sono le uniche vie praticabili. La nostra arma migliore è la verità, e dice che la libertà è un bene universale. Esiste un Dio, e la libertà è un dono di quell'Onnipotente, a ogni uomo, donna e bambino".

Poco dopo la sua elezione alla Casa Bianca, lei signor presidente disse che non era affatto preoccupato per il deficit. Eravamo nel 2001. Oggi ripeterebbe le stesse parole?
"Beh, quello era prima degli attacchi dell'11 settembre. Avevamo appena approvato una riduzione delle tasse per affrontare la recessione, e il deficit sarebbe calato grazie alla crescita degli introiti, in seguito a una ripresa delle attività economica, e allo stesso tempo dovevamo finanziare le nostre forze armate e difendere la patria. Il deficit preoccupante era un altro: quello dell'esposizione del sistema sanitario. Certo, adesso il deficit si aggraverà nel breve termine, in seguito ai passi che io compiuto per scongiurare il collasso dell'economia americana. La gente mi chiede qual è stato il momento più significativo di questa crisi. Credo sia stato quello in cui il ministro Paulson e il presidente della Fed Bernanke sono venuti nella Roosevelt Room e mi hanno detto che se non fossi intervenuto, la situazione finanziaria era tale che sarebbe avvenuto un disastro economico peggiore della Grande Depressione. Perciò, nel mio ruolo di presidente, non potevo attenermi ai principi sperando nel meglio: dovevo scongiurare il peggio. Lo ammetto, ho buttato al vento i principi del libero mercato. In tempi normali, infatti, avrei lasciato fallire chi era responsabile d'aver preso pessime decisioni. Il problema stavolta è che a farne le spese sarebbe stato il lavoratore medio".

Il governatore dell'Alabama George Wallace negli Anni Sessanta diceva con una punta di cinismo che "non c'è una briciola di diversità fra i due partiti" democratico e repubblicano. Che vuole dire essere repubblicani nel 2009?
"Vuol dire ristabilire quei principi che mi hanno permesso di vincere, essere il partito che crede nella libertà universale e che dalla libertà deriva la pace; il partito che ha fatto quel che doveva per proteggere la patria e ha anche liberato 50 milioni di persone, e poi ha aiutato a sviluppare la democrazia nel mondo. Siamo quelli che tagliano le tasse, non una ma più volte in un solo mandato, ma anche quelli che proteggono i propri soldati e perciò spendono per armarli. Può scommetterci che il deficit è aumentato durante la mia presidenza, in termini di spesa militare, di difesa, anche qui in patria. Ma una ragione c'è: siamo in guerra".

Lei è stato definito "il peggiore presidente della storia" da certi democratici e liberali. Però non ha mai risposto. Perché?
"Perché c'è un modo di comportarsi nella vita pubblica senza ricorrere alle brutte parole. Dunque non lo farò. Li ignoro".

Ha detto a sua sorella che la fede, la Bibbia, sono stati il suo sostegno durante la presidenza. Lei viene deriso perché "ha una linea diretta con Dio". Le decisioni politiche sono dettate da Dio?
"Ho spiegato più volte che la preghiera è una questione personale. E sì, la fede e la Bibbia mi hanno sostenuto ogni giorno, pregare mi ha rafforzato. Sono una persona spirituale, non un mistico".

In che senso?
"Nel senso che non "sento le voci". So però che m'aspettano decisioni difficili e per questo motivo dico che la preghiera è un fatto estremamente personale: dà saggezza e forza, chiedo protezione per la mia famiglia e i soldati".

Il presidente-eletto Obama le ha chiesto consiglio?
"Non proprio. Abbiamo avuto un incontro piacevole. Mi hanno colpito il suo amore per la famiglia, il suo comportamento. Gli ho detto che sarò pronto, se vuole in futuro, a esprimergli il mio parere".

Che cosa lo aspetta, una volta insediato alla Casa Bianca?
"La nostra patria è minacciata, il nemico vuole colpirci e dobbiamo chiederci come lo farà. Inevitabilmente nasceranno crisi, chissà dove, che coinvolgeranno l'America. Ci saranno disastri naturali, uragani, tornado, incendi. Dovrà affrontare tutto questo e molto altro".

Signor presidente, lei che cosa farà nelle sue nuove vesti di semplice cittadino?
"Scriverò un libro; fonderò un istituto all'Università Metodista del Sud a Dallas per parlare dei tanti ideali di cui ho appena parlato con lei in questa intervista. Ospiterò dissidenti e combattenti della libertà, mentre Laura parlerà di donne in Afghanistan e nel Medio Oriente, della riforma dell'istruzione in quei Paesi. Riprenderò le iniziative basate sulla fede, magari per incoraggiare la gente ad amare un vicino, che sia il vicino di casa o in una clinica per l'Aids in Rwanda; e lo stesso per il programma contro la malaria. E' un modo per dimostrare agli americani che noi viviamo al motto "a chi molto è concesso, molto è richiesto"".


(copyright Tribune Media Services/La Repubblica)

(8 gennaio 2009)
da repubblica.it
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