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Autore Discussione: ANGELO D'ORSI Le due Italie sul fronte della laicità  (Letto 2543 volte)
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« inserito:: Gennaio 01, 2009, 09:37:17 am »

12/12/2008 (0:27) - STORIE E IDEE - ANTOLOGIE

Le due Italie sul fronte della laicità
 
A confronto la dottrina della Chiesa cattolica e il pensiero dell’Umanesimo, fondamento del «moderno»

ANGELO D'ORSI


L'ingombrante figura di Benedetto XVI, che nutre palesi nostalgie per il passato, e le continue intromissioni della Chiesa cattolica nel dibattito politico, ha acuito lo scontro fra le due Italie: una delle tante manifestazioni del «paese diviso». Pur riconoscendo al ruolo della Chiesa il posto che le compete, non ho dubbi nell' esprimere un giudizio recisamente negativo sul suo crescente interventismo e sul condizionamento che le gerarchie religiose esercitano sulla classe politica e sulle istituzioni, tenendole sotto scacco. E forse è troppo facile cavarsela distinguendo una teoria buona da una prassi cattiva. Ossia sono le applicazioni dei precetti religiosi che sono state talora negative; i precetti, in sé, sono buoni.

Per dimostrare precisamente il contrario,un militante laicista e pacifista, Walter Peruzzi, hacompilato una selezione di brani della Bibbia, di Encicliche, di altri testi per mostrare come appunto il difetto sia nella dottrina stessa. E che la religione cattolica (l'autore non entra nel merito del pensiero di Gesù) si fonda su presupposti reazionari, antiumanistici e antimoderni. Anche se il metodo seguito è discutibile, e il rischio è quello di decontestualizzare, spezzettando documenti che andrebbero visti nella loro unitarietà, il repertorio - Il cattolicesimo reale (Odradek, pp. 524, e 32) - è impressionante, e può servire per capire meglio certi atteggiamenti odierni che ci paiono non solo inaccettabili moralmente, ma anche inspiegabili sul piano civile.

Per esempio in fatto di condanna di una sessualità libera, o della procreazione responsabile, di omofobia (ma anche di disprezzo per la donna), di persecuzione dell'eterodossia, di legittimazione della guerra, di ostracismoo di ripudio di istanze sociali e politiche volte a realizzare una maggiore uguaglianza (si è giunti a teorizzare la schiavitù!), di inestinte tentazioni antigiudaiche. Insomma, un libro che farà arrabbiare i cattolici fedeli alla Cei e al pontefice, inquieterà quelli aperti al dubbio, e fornirà armi ai non cattolici, insofferenti del presenzialismo delle gerarchie e di tante sentenze in fatto di morale e di politica che da esse ci giungono, opportunamente mediatizzate da una stampa corriva ad ogni autorità.

Altra è la via scelta da Michele Ciliberto, autorevole studioso di Umanesimo e Rinascimento, il quale, con l'aiuto di Olivia Catanorchi e Francesca Dell'Omodarme, ha realizzato una diversa antologia - Biblioteca laica (Laterza, pp. XII-595, e 28) - che pone al centro proprio l'Umanesimo, fondamento di una moderna cultura. Nel libro, molto accurato, quasi didascalico, la laicità è vista come concezione che si configura a partire dal XIV secolo, e ne viene seguito il tragitto: che è tematico, il che aiuta il lettore, anche se rischia di essere un po' fuorviante.

Ci imbattiamo in nomi come Bruno e Galilei, Machiavelli e Guicciardini, Campanella e Beccaria, Leopardi e Cattaneo, che con Cavour chiude la serie (il curatore incorre in un curioso lapsus asserendo che l'ultimo è Silvio Spaventa, con un discorso del 1861; Spaventa compare, con un testo del 1886,manel mezzodel libro!)… Uomini che ci hanno lasciato un thesaurus sull'uso della ragione fuori da ogni dogmatismo, sulla libertà di ricerca, sulla responsabilità dell'individuo. Soprattutto, la laicità significa assunzione del senso del limite, coscienza della finitezza, che non significa rinuncia all'azione, ma ne è stimolo. Ciliberto ci invita, giustamente, a meditare sull'importanza di questa tradizione, che, aggiungo, è quanto di meglio si sia prodotto nella nostra cultura.

Oggi clericali d'ogni fede, laici devoti, neocons e teodem ci vogliono convincere che la religione è parte irrinunciabile della sfera pubblica e che i suoi rappresentanti hanno il dovere di influenzare leggi e azione politica, cultura e ricerca, sulla base di un principio d'autorità che credevamo appunto sconfitto dalla nobilissima tradizione laico-razionalista.

A costoro, non rimane che citare Giordano Bruno, che scriveva nel 1588: «È iniquo accettare una opinione in ossequio ad altri, è degno di servi e di mercenari, nonché contrario al valore della libertà umana, sottostare e inchinarsi a qualche autorità»; e aggiungeva: «Io … ho ricevuto da Dio … gli occhi del senso e dell'intelligenza… E se lo splendore della luce mi ha conferito qualche autorità perché mai dovrei asservire e immiserire… l'indole del mio ingegno?». Sappiamocomerispose l'autorità: col rogo.

Nella speranza che l'età dei roghi sia cessata per sempre, i credenti dovrebbero spiegarci perché dovremmo rinunciare a ragionare con la nostra testa, per seguire i dettami dell'autorità di un papa, o di un imam,o di un rabbino. La laicità è cultura di libertà della ragione. E l'Italia - la stessa che ospita il papato -, ne è stata faro. Forse, davvero, la scelta fra le due Italie è la prima che un cittadino oggi, come ai tempi di Bruno, deve compiere.

da lastampa.it
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