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Autore Discussione: ANAIS GINORI. L'Afghanistan di nuovo in mano ai Talebani "Ormai controllano...  (Letto 3290 volte)
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« inserito:: Dicembre 09, 2008, 11:07:01 am »

Uno studio dell'Icos mostra come, a poco a poco, i ribelli hanno quasi riconquistato il Paese.

E la loro presenza è in crescita: l'anno scorso erano nel 54% del territorio

L'Afghanistan di nuovo in mano ai Talebani "Ormai controllano il 72% del territorio"

di ANAIS GINORI

 
ROMA - Una macchia rossa che rapidamente si espande fino a coprire l'intero paese. I grafici a volte dicono più delle parole. E la cartina che l'Icos - International Council on Security and Development - ha appena pubblicato sulla situazione militare in Afghanistan mostra chiaramente quale è la realtà: i Talebani hanno ripreso il controllo del paese. La fotografia tracciata dall'autorevole think tank (già Senlis Council) è la constatazione di una sconfitta clamorosa per le forze occidentali. Sette anni dopo l'intervento che doveva liberare il paese dai Talebani, i guerriglieri islamici e i loro alleati sono tornati a essere padroni. "Governano da un punto di vista militare e quindi anche politico - fa notare l'Icos - il 72% del territorio afgano". Ma gli attacchi Talebani non risparmiano nessuna area: una "sostanziale" attività dei ribelli si verifica nel 21% del paese, e soltanto nel 7% del territorio (nell'estremo nord) questa attività diventa "leggera".

Una controffensiva cominciata nel 2005 e che è diventata sempre più rapida. Dalle tradizionali zone del sud-est, dove i sostenitori del regime deposto si erano rifugiati, i Talebani hanno riconquistato parte del territorio occidentale e settentrionale. L'anno scorso l'Icos aveva registrato l'aumento della presenza dei ribelli fino a 54% del paese. Quel dato ha fatto un balzo di 18 punti e ora la manovra di accerchiamento del soldati occidentali e del governo di Hamid Karzai - sostengono sempre gli analisti - si avvicina pericolosamente alla capitale. Tre delle quattro strade principali che permettono di accedere a Kabul, nota il nuovo rapporto, sono oramai cadute in mano ai Talebani.

La ricerca dell'Istituto di ricerca geopolitica con sede a Parigi e Bruxelles è l'ennesima conferma che la fine della guerra in Afghanistan non è vicina. Le vittime nel 2008 sono state oltre 4000, un terzo delle quali civili. Per misurare il controllo del territorio afgano da parte dei Talebani, l'Icos ha catalogato tutti gli episodi di ostilità contro le forze occidentali nell'ultimo anno: uno o più attacchi settimanali da parte dei cosiddetti "insorti" equivalgono secondo l'Istituto a una "presenza permanente dei Talebani".

I guerriglieri sono diventati talmente forti da un punto di vista militare, spiega il rapporto, che saranno un interlocutore imprescindibile per una futura pacificazione dell'Afghanistan. Ma nessuna trattativa con gli "insorti" potrà essere avviata senza raddoppiare prima i contingenti militari occidentali, sostiene l'Icos: almeno fino a 80mila soldati. I militari dovranno anche saper contrastare il traffico di droga: tornato a livelli altissimi, costituisce una fonte di finanziamento dei ribelli. Un'altra mossa fondamentale per le forze alleate sarà quella di investire sulla ricostruzione e sugli aiuti umanitari "che finora hanno avuto troppo pochi soldi e progetti", sostiene l'Icos. "La Nato ha fallito ma non soltanto per colpe sue.

L'intervento militare e l'intelligence da sole non bastano per vincere" spiega la ricercatrice Norine MacDonald. "C'è stata un'enorme sottovalutazione nel campo umanitario. Le forze alleate - conclude l'Istituto - non sono mai riuscite a conquistare i cuori della gente". I Taliban, invece, sono tornati a vincere grazie alla paura.

(8 dicembre 2008)
da repubblica.it
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« Risposta #1 inserito:: Dicembre 29, 2008, 05:32:34 pm »

Il rapimento nella Striscia del militare di leva israeliano nel 2006 scatenò la guerra

"Sappiamo solo che si trova a Gaza e che questa offensiva rende tutto più pericoloso

L'angoscia del padre di Shalit "Mai come oggi temo per lui"


dal nostro inviato ANAIS GINORI

 
PARIGI - "Mio figlio è la persona sbagliata nel posto sbagliato al momento sbagliato. Sono più di 900 giorni che non lo vediamo. E mai come oggi temiamo per la sua vita". Noam Shalit fa lunghe pause, cerca di controllare le parole. Ogni gesto, ogni frase, potrebbe essere decisiva per le sorti del suo Gilad. "Sappiamo solo che si trova a Gaza e che questa guerra rende la sua condizione di ostaggio ancora più pericolosa".

Il soldato israeliano Gilad Shalit, 22 anni compiuti da poco, è stato catturato da Hamas il 25 giugno 2006. Sulla sua liberazione le trattative sono bloccate da tempo, perché Hamas ha posto condizioni sempre più alte e in questo caso il governo israeliano ha scelto la linea della fermezza. Prima dell'estate, Noam ha portato a Parigi una scatola con le fotografie di suo figlio. Gilad che studia, Gilad che gioca a calcio. Una favola scritta a undici anni in cui un piccolo pesce diventa amico di uno squalo. "Una parabola sulla riconciliazione dei nostri due popoli" spiega Noam. "Gilad è sempre stato un ragazzo dolce, appassionato di sport e matematica. E non chiamatelo "soldato". Quando è stato catturato stava facendo il servizio di leva e non era impegnato in azioni di guerra. Se fosse libero, oggi sarebbe già fuori dall'esercito".

Gilad possiede anche la nazionalità francese. La nonna Jacqueline era di Marsiglia. "Per il suo bar-mitsva gli abbiamo offerto il suo primo viaggio in Francia" ricorda Noam. Il doppio passaporto è stato la boa alla quale la sua famiglia ha aggrappato le speranze di riaverlo con sé. La mediazione del presidente Nicolas Sarkozy aveva sortito qualche effetto. Attraverso la Siria, la diplomazia francese era riuscita a far arrivare una lettera a Gilad. "Ti chiediamo di essere forte e determinato - avevano scritto i genitori - tieni duro. Non perdere la speranza. Noi sogniamo la tua liberazione". Poi, la scorsa notte, la notizia dei bombardamenti, a cancellare ogni illusione.

"Adesso ho paura persino di parlare, non vorrei che qualche mia opinione fosse usata contro Gilad" aggiunge il padre, rispondendo al telefono dalla sua casa in Galilea. A un giornalista di Haaretz ha confessato la sua amarezza per non essere stato avvertito dell'operazione militare che si stava compiendo a Gaza. Ora il suo ragazzo è un facile bersaglio per un'eventuale rappresaglia dei palestinesi. "Non voglio aggiungere altro, non abbiamo bisogno di polemiche. In questo momento conta soltanto salvare mio figlio".

Noam e la moglie Aviva hanno manifestato spesso davanti alla sede del governo israeliano. Con una sola richiesta: "Trattare". Ma in questi mesi il loro pessimismo era cresciuto, ancora prima dei bombardamenti dello scorso venerdì. Gli ultimi prigionieri palestinesi liberati erano solo militanti di Al Fatah. Nessuno di Hamas. Un chiaro segnale per gli uomini che tengono prigioniero Gilad. Il padre teme che suo figlio possa fare la stessa fine di Ron Arad, il pilota israeliano catturato nel 1986 e poi scomparso nel nulla.

"Si è arrivati ad uno stallo" ammette Shira Ansky, del comitato francese "Libertà per Gilad", formato da una decina di volontari che hanno già lavorato alla mobilitazione per Ingrid Betancourt. I metodi sono gli stessi: petizioni con personalità importanti, appelli alle comunità locali, pressione sul governo francese. Nella sua ultima prova in vita, un messaggio audio datato giugno 2007, il giovane caporale spiegava che era "molto depresso e aveva bisogno di cure". A settembre, prendendo in consegna la lettera di Noam e Aviva, Nicolas Sarkozy aveva promesso: "Lo riporteremo a casa. E quando dico una cosa è quella". Il presidente francese ama recitare la parte del liberatore. Ma questa missione sarà la più difficile.

(29 dicembre 2008)
da repubblica.it
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