«Il Pd è ancora un cantiere aperto. Ma sbaglia chi discute Veltroni»
di Ninni Andriolo
«A dispetto delle rappresentazioni giornalistiche, usciamo dalla Direzione più consapevoli della necessità di essere più uniti e solidali. Il Pd ha fatto un passo in avanti significativo... ».
Onorevole Fassino nessun problema di amalgama, quindi? Fusione perfettamente riuscita?
«Quelle parole sono state estrapolate da un ragionamento più generale. Chiunque abbia ascoltato D’Alema ha capito bene cosa intendesse dire durante l’intervento in Direzione. Erano chiarissimi, infatti, sia il riconoscimento che il Pd c’è, sia la sollecitazione a non considerarne esaurito il lavoro di costruzione. Il Pd ha alle spalle solo un anno di vita, ovvio che ci sia bisogno di farlo crescere»
C’è chi parla di progetto fallito, però...
«Non si torna indietro dalla strada del Pd. Questo partito, tuttavia, ha bisogno di consolidare le proprie radici, la propria organizzazione, la propria articolazione territoriale. L’edificio è stato costruito nei suoi muri portanti, adesso dobbiamo completarlo. A partire dalla campagna di adesione, che deve consentirci di dare al Pd una base associativa larga e certa. Non c’è nulla di eretico o destabilizzante nel sollecitare tutte le energie a mobilitarsi»
C’è un problema di leadership? Bersani guarda al congresso del partito...
«Non è utile, all’indomani della Direzione, evocare il tema della leadership. Veltroni è stato eletto da tre milioni e mezzo di cittadini, non credo che venti persone nel chiuso di una stanza possano rovesciare una legittimazione democratica così ampia. Quando abbiamo scelto Walter eravamo ben consapevoli che non stavamo nominando il direttore di una campagna elettorale. Ma un leader politico che, se avessimo vinto le elezioni, avrebbe presieduto il governo e se le avessimo perse, avrebbe guidato l’opposizione. Dovere di tutti noi è sostenere il segretario e creare le condizioni per un grado sempre maggiore di solidarietà, coesione e unità vere. Ciò che più irrita il nostro popolo è l’immagine di un gruppo dirigente che si divide. Dovere di ogni forza politica è mettere al primo posto il Paese, questo deve valere ancora di più per il Partito democratico».
Spesso non è così?
«La rappresentazione giornalistica e mediatica del nostro dibattito è spesso caricaturale. In Direzione, ad esempio, la discussione è stata vera e non formale. C’è stato, tra noi, un confronto politico di alto livello. Di questo, però, ai cittadini è arrivato molto poco. Ci si è tardati, al contrario, nella solita rappresentazione del duello D’Alema-Veltroni o nella presunta diatriba all’interno del gruppo dirigente. Al Pd viene fatto ogni giorno l’esame del sangue, eppure siamo l’unico partito che ha una vita democratica vera. Si cerca sempre la pagliuzza nel nostro occhio senza vedere mai la trave in quello altrui».
Ma il Pd era dentro la bufera: questione morale, sconfitta in Abruzzo...
«Anche per questo l’esito positivo della Direzione non era scontato. Merito innanzitutto della relazione di Veltroni che, da un lato ha raccolto molte delle riflessioni emerse nel dibattito delle scorse settimane, e dall’altro ha offerto al Paese una piattaforma economico-sociale e di riforme istituzionali, di profilo riformista, coerente con il Lingotto».
È emerso con chiarezza un deficit di partito, però...
«Gran parte del dibattito si è concentrato su questo punto. Un progetto per il Paese, infatti, ha bisogno di uno strumento adeguato per camminare. Il Pd, e la Direzione lo ha definitivamente chiarito, non è un movimento di opinione, né può assolvere alla funzione di somma di comitati elettorali. Il Pd vuole essere un partito vero. Non partiamo da zero: primarie, 8000 circoli, il consenso elettorale di un terzo del Paese, la stagione straordinaria delle feste, gli oltre due milioni del Circo Massimo. Il Pd c’è. E c’è, soprattutto, la nostra gente»
E la questione morale? Si parla di nuova tangentopoli...
«Da Napoli all'Abruzzo abbiamo avvertito, in questi mesi, l’allentamento della capacità della politica di far vivere nella propria azione quotidiana principi etici, spirito civico e priorità dell’interesse generale. Il Pd deve rappresentare fattore di innovazione anche nel rapporto tra cittadini e politica. Io non credo, tuttavia, che si possa parlare di questione morale nei termini come la si è posta negli anni di tangentopoli...»
Oggi cosa c’è di diverso?
«Allora vennero investiti direttamente i gruppi dirigenti centrali dei partiti che avevano in mano il Paese. Oggi questo non c’è. Nessun dirigente nazionale del Pd è stato investito dal benché minimo fatto che ne abbia ridotto la credibilità. Non c’è una questione morale neanche sul piano locale. Sono più di 60mila gli amministratori del Pd. Gestiscono oltre il 65% delle istituzioni locali italiane e lo fanno con dedizione, entusiasmo, sacrificio personale. A loro si deve gratitudine e rispetto».
E questo può bastare a ridurre l’allarme sulla questione morale?
«No. Le vicende di Napoli e dell’Abruzzo non riducono l’allarme. Sotto il profilo giudiziario non spetta ad un partito politico pronunciarsi. La magistratura, nella sua autonomia, deve fare luce, e noi vogliamo che lo faccia pienamente e il più rapidamente possibile. Ma un partito come il nostro deve sapere affrontare la dimensione che attiene ai principi. Ristabilendo regole, scontate fino a poco tempo fa, che oggi si sono offuscate... ».
A proposito del sindaco di Pescara, per lei o si dirige il Pd o si fa l’amministratore locale...
«Io credo che il principio di distinzione tra le funzioni dirigenti di partito e quelle istituzionali vada garantito. Non è una buona cosa che chi amministra sia o voglia essere anche segretario del Pd. Un sindaco non risponde soltanto a coloro che lo hanno eletto, ma a tutti i cittadini. E deve amministrare nell’interesse generale. Il segretario di un partito, obiettivamente, non può che essere invece portatore di un punto di vista della parte politica che è chiamato a rappresentare. Mi auguro, naturalmente, che nessuno degli addebiti mossi sia vero e che D'Alfonso venga scagionato. Non c’è dubbio, però, che l’impatto della vicenda che lo riguarda è stato più drammatico per il fatto che fosse segretario regionale del Pd, oltre che sindaco di Pescara. Credo che il partito debba marcare, a tutti i livelli, autonomia dalle istituzioni. Ma anche dai soggetti economici e finanziari e dal sistema dell’informazione. Costruendo il Partito democratico, cioè, noi abbiamo bisogno che si riaffermi il valore dell’autonomia della politica da tutti i centri di potere».
nandriolo@unita.it23 dicembre 2008
da unita.it