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Autore Discussione: Ali Bayramoglu «Eccidi armeni. Noi turchi dobbiamo chiedere scusa»  (Letto 2231 volte)
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« inserito:: Dicembre 21, 2008, 10:40:18 am »

«Eccidi armeni. Noi turchi dobbiamo chiedere scusa»

di Gabriel Bertinetto


Assieme ai docenti universitari Ahmet Insel, Baskin Oran, Cengiz Aktar, lo scrittore Ali Bayramoglu ha diffuso via Internet un manifesto per invitare i concittadini a chiedere finalmente scusa al popolo armeno per i massacri di un secolo fa. Al telefono da Istanbul spiega il significato dell’iniziativa.

Perché questo appello, signor Bayramoglu, e perché proprio ora?
«È la naturale evoluzione di un processo di democratizzazione e avvicinamento all’Europa, in corso da alcuni anni. I cambiamenti politici e sociali sono sfociati in una crisi di identità sociale e nazionale. La democratizzazione non significa solo smilitarizzazione dello Stato o allargamento dei campi di libertà. Comporta anche una sorta di investigazione della società su se stessa. Democratici o nazionalisti, abbiamo cominciato a discutere della nostra storia e della nostra identità, rispetto alle quali il genocidio armeno del 1915 ha un posto importante. Il dibattito è accanito e fa maturare la ricerca della nostra identità. L’appello è scaturito spontaneamente. Si è pensato che era il momento di fare un passo ulteriore. L’idea di lanciare una campagna era nata comunque dopo l’assassinio del nostro amico Hrant Dink (giornalista turco di origine armena ucciso a Istanbul il 19 gennaio 2007)».

Parlate di catastrofe, non di genocidio. Perché?
«Il nostro scopo è che tutti i turchi, tutti coloro che vivono nel territorio anatolico, trovino in quel testo la possibilità di esprimere la loro coscienza. Sappiamo che alcuni rifiutano di definire genocidio gli eventi del 1915. Preferiscono parlare di massacri. Per noi questo è poco importante. Quel che conta è che davanti a quella tragedia la coscienza di ciascuno non taccia. Non ci interessa formulare un verdetto. Nel testo compaiono vocaboli come catastrofe, dolore, coscienza, perdono. Facciamo appello al senso di umanità in maniera che tutti i turchi possano riconoscervisi. Se parli di genocidio, oggi la discussione si blocca, perché entrano in gioco questioni che riguardano lo Stato e il mondo politico. Noi abbiamo voluto invece che l’appello avesse un carattere civile, personale. Se in futuro lo Stato si scuserà con gli armeni potrà farlo a partire da una sorta di mandato sociale che con la nostra iniziativa avremmo contribuito a formare. Sarà la società a chiedere allo Stato di scusarsi. La nostra campagna serve a preparare quella base di legittimità».

Per il premier Erdogan la vostra iniziativa servirà solo a creare tensioni. Come spiega questo atteggiamento?
«Il premier sbaglia. Ripete i soliti argomenti: campagna pericolosa, contraria all’interesse nazionale, etc. Per il capo di Stato Gul invece essa rientra nella libertà d’espressione. Il suo è un approccio molto positivo. Ha preso le distanze certo, ma è giusto, perché non è un affare della presidenza della Repubblica, è un movimento civile. Comunque il dibattito andrà avanti, malgrado Erdogan, e speriamo che anche lui cambi idea. Del resto siamo consapevoli che la ricerca di democratizzazione avviene in un contesto conflittuale».

La Germania ha fatto i conti con il nazismo. Perché in Turchia si fatica ad ammettere colpe riguardanti un’epoca tramontata, quella ottomana?
«L’identità turca ha una sua specificità. Si è formata attraverso la migrazione di popoli nomadi ed una standardizzazione religiosa ha fatto da supporto alla nascita dello Stato-nazione. La memoria delle nostre origini è strettamente connessa alle sofferenze subite o inflitte, ma molti ricordano solo le prime. Se si parla dei fatti del 1915, viene subito evocata la presenza di armeni fra le truppe russe che occuparono le terre ottomane. Con il nostro messaggio vogliamo stimolare una riflessione più approfondita. Parte dei concittadini aderisce, parte reagisce negativamente. Ma il cambiamento andrà avanti. In pochi giorni ai 300 firmatari iniziali se ne sono già aggiunti 15mila. Se in un anno arriveremo a 200-250mila sarà un successo enorme. Qualcuno ci criticherà perché non compare la parola genocidio nel documento, o perché non chiamiamo in causa lo Stato turco. Pazienza. Credo che abbiamo fatto una cosa importante».

gbertinetto@unita.it


18 dicembre 2008     

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