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Autore Discussione: Marchionne: 'Mai vista una crisi così così usciremo per primi dal tunnel'  (Letto 3163 volte)
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« inserito:: Dicembre 13, 2008, 05:26:29 pm »

IL DOCUMENTO

Marchionne: 'Mai vista una crisi così così usciremo per primi dal tunnel'

L'intervento dell'Ad Fiat nell'incontro di fine anno con i dirigenti "Ci muoviamo in anticipo, abbiamo le idee chiare sul cambiamento"

di SERGIO MARCHIONNE
 

IL 2008 è stato un anno difficile. Quella che all'inizio era considerata come una crisi ristretta al settore finanziario e al mondo americano, non si è rivelata tale, ma è passata all'economia reale. Paradossalmente, la grande forza della globalizzazione, che apre la strada ad opportunità alle quali non abbiamo mai avuto accesso prima, è anche la sua più grande debolezza. L'aggravarsi delle condizioni negli ultimi mesi e gli effetti che ancora dobbiamo vedere spingeranno tutte le economie avanzate in una fase recessiva, di cui non conosciamo né l'ampiezza né la durata. Questa crisi sta avendo un forte impatto sui prodotti durevoli e sta assumendo contorni, per le dimensioni e la velocità di contagio, mai visti prima. In poco tempo, quelli che erano i punti fermi di tutta l'industria, non solo di quella dell'auto o dei trasporti, sono stati messi in discussione. I metodi tradizionali e anche quelli più innovativi usati finora per stimare volumi e quote di mercato, per riposizionare un brand, per avviare valide azioni di marketing o di sviluppo di prodotto non sono più efficaci.
Tutto ciò non fa paura alla Fiat perché il cambiamento è parte del nostro modo di essere. Quello che è diverso, nella fase attuale, è la velocità con cui il cambiamento si è manifestato agli occhi del mondo. Ma il lavoro fatto ci ha insegnato a pensare e ad agire con estrema flessibilità. A differenza di molti altri, non dobbiamo aspettare che sia una crisi a imporci la cultura del cambiamento come una necessità. Per questo non è concepibile che un'azienda come la nostra resti ferma, immobile, senza fare nulla. Non è nella nostra mentalità. Dobbiamo fare tutto il possibile - e lo stiamo facendo - per essere noi i primi a ristabilire un rapporto con quelli che diventeranno i nuovi punti di riferimento. La prima cosa che sappiamo molto bene è da dove veniamo. Nel 2004 eravamo in una situazione drammatica. La crisi che abbiamo attraversato allora era forse peggiore di questa: era una crisi di futuro e, in più, era un dramma tutto nostro. Dovevamo fare i conti con i problemi interni e con una concorrenza che si faceva sempre più agguerrita; avevamo un'opinione pubblica che ci dava per spacciati; non avevamo elementi concreti su cui basare la nostra fiducia, al di là di quelli che stavano dentro di noi. Se alle condizioni di allora si fosse aggiunta una situazione generale simile a quella di oggi, sarebbe stata certamente distruttiva e di sicuro non saremmo qui a raccontarcelo. Ma ne siamo usciti, a testa alta. L'elemento più importante di tutti va ricercato a livello culturale. I "cinque principi chiave" su cui abbiamo rifondato l'azienda rappresentano un modo molto sintetico ma efficace per descrivere la nuova filosofia del gruppo. Una filosofia dove il merito prevale sulle conoscenze, la leadership sull'autorità, la ricerca dell'eccellenza sulla mediocrità, lo spirito competitivo su una visione egocentrica e l'affidabilità sulle vane promesse.
I momenti negativi accelerano le tendenze in corso e possono modificare lo scenario competitivo. In prospettiva, molti dei settori in cui siamo presenti sono destinati a mutare. Vedremo una ricerca attiva di sinergie industriali; probabilmente vedremo forti scosse e probabilmente nuove fasi di consolidamento. Ma alla fine di tutto questo, noi dovremo essere ancora là, pronti a ripartire. Per quanto difficile, il 2008 si chiuderà per il gruppo con un significativo risultato economico e con un trading profit che sarà il più alto nei 109 anni di storia della Fiat. Per quanto riguarda il 2009, sappiamo che ci sono incognite che nessuno riesce a valutare, neanche gli organismi internazionali più autorevoli. Si tratta di incognite legate all'evoluzione dell'economia italiana, europea e mondiale, sulle quali si leggono ogni giorno previsioni diverse, per lo più al ribasso. Gli scostamenti dalle normali condizioni di mercato non permettono, al momento, di definire in modo puntuale e attendibile le performance del gruppo per il prossimo anno. Per questo abbiamo deciso di fornire un aggiornamento ai mercati finanziari su base trimestrale.
Il 2009 sarà un anno difficile, il più difficile che io abbia mai visto in tutta la mia vita. Dovremo andare avanti aspettando che il mercato tocchi il fondo. Nessuno può prevedere oggi quali potranno essere le reali ripercussioni di questa crisi. Questo succede perché c'è stato un cambiamento strutturale nel sistema finanziario e nel sistema industriale. Sono state spazzate vie le condizioni di base sulle quali avevamo definito i nostri programmi. Sono stati cancellati i punti di riferimento e le regole del gioco, che rappresentano certezze essenziali per chiunque si debba muovere in un contesto competitivo. L'obiettivo con cui ci siamo mossi è stato quello di invertire una tendenza al declino che ha accomunato buona parte dei costruttori di automobili. Negli ultimi 35 anni il settore, a eccezione degli orientali, ha costantemente distrutto valore. La trasformazione introdotta in Fiat serviva proprio a porre un freno a questa storia di inefficienza e a chiudere con il passato. Abbiamo definito un metodo per creare valore. Abbiamo lavorato per consolidare un sistema di crescita sana. La realtà oggi ci impone di modificare radicalmente la nostra ottica. La Fiat è pronta a farlo. Questo cambiamento di prospettiva richiede coraggio, chiarezza e lucidità. Dobbiamo avere l'apertura mentale e la libertà di pensiero di chi si pone davanti a un foglio bianco ed è deciso a ricostruire tutto daccapo. I nostri programmi per il futuro devono tenere conto di questi cambiamenti strutturali e di altri che potranno intervenire, come ad esempio l'impatto degli aiuti pubblici, che rischiano di stravolgere la dinamica dei settori. L'intervento dello Stato ha toccato all'inizio le strutture finanziarie ed ora si sta allargando all'industria. Non voglio dare giudizi di merito sulle scelte dei governi. Il punto è che gli interventi pubblici a favore di alcuni costruttori portano ad un livello di disparità enorme nella competizione internazionale, perché pongono alcuni attori sopra tutti gli altri, in una posizione di vantaggio che è difficile da contrastare. Non possiamo accettare che la concorrenza venga falsata in questo modo. L'esistenza di regole uguali per tutti è un requisito essenziale in qualsiasi contesto competitivo. Credo che l'Europa debba reagire e muoversi velocemente, rendendosi conto di qual è il tema più urgente da affrontare: la sopravvivenza di un settore che conta più di 12 milioni di lavoratori. C'è un elemento ancora che dobbiamo tenere presente: il fatto che di fronte ad un settore che non ha una storia molto brillante di creazione di valore, il sistema finanziario sarà molto più cauto, diventerà più selettivo, perché il suo interesse principale sarà conservare se stesso e ridurre ogni possibile fattore di rischio.
Permettere all'industria di continuare a funzionare e garantirle i fondi necessari per investire saranno preoccupazioni secondarie. E' necessario muoversi prima che questo diventi la normalità. Dobbiamo essere consapevoli delle minacce che abbiamo di fronte. Il modello di business al quale siamo abituati va ripensato. Il settore dell'auto sarà obbligato a trovare un nuovo tipo di gestione, che porterà ad un consolidamento, a livello mondiale, entro i prossimi 24 mesi. Non si tratta di un modello ancora definito, ma forzerà con molta probabilità nuove alleanze. Dobbiamo muoverci in maniera più condivisa per continuare ad avere accesso ai capitali, per continuare a investire, per affrontare ad armi pari la concorrenza. È esattamente questa la direzione che Fiat sta seguendo. Il mio obiettivo è quello di salvaguardare i nostri marchi, il nostro business e il nostro metodo di gestione. L'obiettivo è di rafforzare Fiat Group Automobiles, per un futuro molto più sicuro. Vogliamo proteggere la nostra realtà industriale, vogliamo dare vita ad un'azienda più grande e più forte, vogliamo che la Fiat sia un agente di cambiamento e non una vittima del processo. Dopo le sfide affrontate in questi anni, ne abbiamo tutto il diritto.
La Fiat ha due grandi vantaggi oggi. E' la prima muoversi, avendo le idee chiare sul cambiamento che ci sarà. Lo stiamo affrontando con estrema lucidità. Il secondo vantaggio deriva dal fatto che abbiamo aperto questa partita in una posizione di forza. Arriviamo a questo appuntamento dopo aver vissuto una storia di risanamento eccezionale e dopo aver ridato vigore a una grande realtà industriale. Il 2009 sarà un anno carico di significato. Se la realtà ci cambia sotto gli occhi, anche noi dobbiamo cambiare, e cambiare di continuo. Questo vuol dire che nessuno può fare più conto sulle certezze di ieri. Sono convinto, oggi più che mai, che la più grande qualità della Fiat risieda nell'avere una squadra di leader che può dare prova di tutto il suo valore nel gestire questa fase. Senza la crisi che si è manifestata negli ultimi sei mesi, il 2008 sarebbe stato per la Fiat non solo un anno record, il migliore della sua storia, ma addirittura straordinario. L'augurio è di entrare nel 2009 con la certezza che abbiamo la forza, le capacità e la passione per costruire qualcosa di nuovo e di duraturo.

(L'autore è amministratore delegato della Fiat. Questo è il testo dell'intervento tenuto ai dirigenti del Gruppo nell'incontro di fine anno)

(13 dicembre 2008)

da repubblica.it
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« Risposta #1 inserito:: Dicembre 13, 2008, 05:29:10 pm »

ECONOMIA      L'INTERVENTO

Non meritano un centesimo

di MICHAEL MOORE


Amici,
io guido un'auto americana, una Chrysler. Non è un modo per pubblicizzarla. Più che altro, sto chiedendo compassione. C'è una lunga storia, vecchia di decenni, raccontata all'infinito da decine di milioni di americani, un terzo dei quali ha dovuto rinnegare il proprio Paese solo per trovare un maledetto mezzo per andare al lavoro con qualcosa che non si rompesse: la mia Chrysler ha quattro anni. L'ho comprata per via della guida facile e comoda. Allora la società era proprietà della Daimler-Benz che ebbe la buona idea di montare una carrozzeria Chrysler su un semiasse Mercedes e, ragazzi, come va bene!

Quando si mette in moto.

Più di una decina di volte, in questi anni, l'auto si è rifiutata di mettersi in moto. Ho sostituito le batterie, ma il problema non era quello.
Mio padre guida lo stesso modello, e anche la sua macchina è rimasta spesso in panne. Non si mette in moto, senza nessuna ragione.

Qualche settimana fa, ho portato la mia auto in un'officina Chrysler, qui nel Michigan settentrionale, e l'ultimo intervento per aggiustarla mi è costato 1.400 dollari. Il giorno seguente, la macchina non è ripartita.
Quando sono riuscito a metterla in moto, ha cominciato a lampeggiare la spia dei freni. E così via.

Da tutto questo sarete giunti alla conclusione che non me ne freghi niente di quei poveri incapaci che costruiscono queste auto schifose, su a Detroit. Invece mi importa. Mi importa di quei milioni di persone la cui vita e il cui sostentamento dipendono dalle compagnie automobilistiche. Mi stanno a cuore la sicurezza e la difesa di questo Paese, perché il mondo sta esaurendo le scorte di petrolio, e quando sarà davvero finito, la catastrofe e la rovina saranno tali da far sembrare la crisi attuale una passeggiata.

E mi interessa anche ciò che sta succedendo a proposito delle tre grandi società automobilistiche, le Big 3, perché a loro vanno le maggiori responsabilità per la distruzione della nostra delicata atmosfera e per il continuo scioglimento dei ghiacci delle calotte polari.

Il Congresso deve salvare le infrastrutture industriali che queste società controllano e i posti di lavoro che creano. Deve liberare il mondo dal motore a combustione interna. Questa grande, estesa rete industriale potrebbe riscattarsi realizzando veicoli per il trasporto di massa e automobili a motore elettrico o ibrido e mezzi di trasporto necessari per affrontare il Ventunesimo secolo.

E il Congresso deve fare tutto questo negando alla GM, alla Ford e alla Chrysler i 34 miliardi di dollari che chiedono in "prestito" (qualche giorno fa ne chiedevano solo 25 miliardi: ecco quanto sono stupidi, non sanno neanche di quanto davvero hanno bisogno per pagare gli stipendi di questo mese. Se voi o io cercassimo di ottenere un prestito dalla banca in questo modo non solo ci butterebbero fuori a calci, ma la banca scriverebbe i nostri nomi sul libro nero dei creditori).

Due settimane fa, i direttori generali delle tre grandi società automobilistiche sono dovuti comparire davanti ad una commissione del Congresso che li ha derisi negando loro ciò che due mesi prima aveva concesso ai pezzi grossi del mondo finanziario. Allora i politici sgomitarono per favorire Wall Street e gli intrallazzatori che applicavano lo schema Ponzi, architettando modi bizantini per scommettere il denaro altrui in pericolose operazioni finanziarie chiamate in gergo "unicorni" e "fate".

Ma i ragazzi di Detroit vengono dal Midwest, dal Rust Belt, la "Cintura Arrugginita" , dove si producono cose concrete di cui i consumatori hanno bisogno, cose che si possono toccare e comprare, che fanno circolare denaro nell'economia (assurdo!), dando vita a sindacati che hanno creato il ceto medio, e che quando avevo dieci anni mi hanno curato i denti gratis. Per tutto questo, i capi del settore automobilistico lo scorso novembre hanno dovuto sedersi davanti alla commissione ed essere messi in ridicolo per il modo in cui sono arrivati a Washington. Sì, ci sono andati con i jet aziendali, proprio come fecero in ottobre i banchieri e i ladri di Wall Street.
Ma, guarda un po', quello andava bene! Loro erano i Padroni dell'Universo, solo i mezzi più veloci sono adeguati alla Grande Finanza che si appresta a saccheggiare le casse del nostro Paese.

Ovviamente, una volta, a governare il mondo erano i magnati dell'industria automobilistica. Erano il cuore pulsante che tutte le altre nostre industrie servivano : acciaierie, raffinerie, cementifici. Cinquantacinque anni fa, il presidente della General Motors andò a Capitol Hill e, rivolto al Congresso, disse senza peli sulla lingua che ciò che era bene per la General Motors era bene per il Paese. Perché, vedete, nella loro mente, la GM era il Paese.

A quale triste caduta in disgrazia abbiamo assistito lo scorso 19 novembre, quando i tre topolini ciechi sono stati bacchettati sulle mani e rispediti a casa a scrivere un tema dal titolo "Per quale ragione dovreste darmi miliardi di dollari gratis". Hanno persino chiesto loro se erano disposti a lavorare per un dollaro all'anno. Eccovi serviti! Che grande, coraggioso Congresso è questo! Proporre una servitù debitoria a tre degli uomini (tuttora) più potenti del mondo. E questo da un organismo smidollato, incapace di reagire a un presidente screditato o di rifiutare una sola richiesta di finanziamento per una guerra che né il Congresso stesso né l'opinione pubblica americana appoggiano. Fantastico.

Permettetemi di dire una banalità: ogni singolo dollaro che il Congresso dà a queste tre società sarà buttato nel cesso. Non c'è nulla che la dirigenza delle Tre Grandi potrà fare per convincere la gente ad uscire durante una recessione e andare a comprare le loro grandi, automobili scadenti ad alto consumo. Se lo possono scordare. E, come sono certo che i Detroit Lions, proprietà della famiglia Ford, non andranno al Super Bowl, mai, vi posso assicurare che dopo aver bruciato questi 34 miliardi di dollari, la prossima estate ne chiederanno altri 34.

Cosa fare, allora? Membri del Congresso, ecco ciò che propongo:
1. Il funzionamento del sistema di trasporto americano è e dovrebbe essere una delle funzioni più importanti che il governo deve affrontare. E poiché abbiamo di fronte una grave crisi economica, energetica e ambientale, il nuovo presidente e il Congresso devono fare ciò che fece Franklin Roosevelt quando dovette affrontare la crisi (e ordinò all'industria automobilistica di smettere di costruire auto e produrre invece carri armati e aerei) : le Tre Grandi, da questo momento, devono costruire unicamente automobili che non dipendano principalmente dal petrolio e, cosa ancora più importante, realizzare treni, autobus, metropolitane e metropolitane leggere (un corrispondente progetto di opere pubbliche realizzerà in tutto il Paese le tratte ferroviarie e i binari). Questo non soltanto salverà i posti di lavoro, ma ne creerà milioni di nuovi.

2. Potreste acquistare tutte le azioni ordinarie della General Motors per meno di 3 miliardi di dollari. Perché dovremmo dar loro 18 o 25 miliardi di dollari? Prendete quel denaro e comprate la società! ( se concederete loro il "prestito", gli chiederete comunque una garanzia pignoratizia, e dato che sappiamo che non restituiranno quel denaro, alla fine la società sarà proprietà dello Stato, dunque perché aspettare? Rilevatela ora).

3.Nessuno di noi vuole dei funzionari statali a gestire un'azienda automobilistica, ma ci sono ottimi esperti del settore che potrebbero essere preposti a questo compito. Abbiamo bisogno di un Piano Marshall per emanciparci dai veicoli che utilizzano il petrolio ed entrare nel Ventunesimo secolo.

Non si tratta di una proposta radicale o fantascientifica. Per metterla in pratica ci vuole soltanto l'uomo più in gamba che sia mai diventato presidente. Ciò che propongo ha già funzionato in precedenza. Durante gli anni Settanta, il sistema ferroviario era un disastro. Il governo intervenne. Dieci anni dopo il sistema era in attivo e il governo lo rivendette ad una gestione mista privata e pubblica ricavando un paio di miliardi di dollari da destinare alle casse dello Stato.

Questa proposta potrebbe salvare le nostre infrastrutture industriali e milioni di posti di lavoro. Cosa ancora più importante, ne potrebbe creare milioni di nuovi. Potrebbe letteralmente tirarci fuori dalla recessione.

Invece, la General Motors ha presentato al Congresso la sua proposta di ristrutturazione. Hanno promesso che, se ora il Congresso concederà loro 18 miliardi di dollari, in cambio elimineranno 20.000 posti di lavoro. Avete letto bene. Noi gli diamo alcuni miliardi di dollari così che loro possano licenziare altri americani. Questa è stata la loro Grande Idea degli ultimi 30 anni: licenziare migliaia di lavoratori per garantire i profitti. Tuttavia, nessuno ha chiesto loro: "Se licenziate tutti, chi avrà i soldi per acquistare le vostre automobili?"

Questi imbecilli non meritano un centesimo. Licenziateli tutti e rilevate l'azienda per il bene dei lavoratori, del Paese e del pianeta.
Ciò che è bene per la General Motors è bene per il Paese. Una volta tanto è il Paese a dettare le condizioni.


(testo tratto dal sito www.michaelmoore.com
Traduzione di Antonella Cesarini)

(13 dicembre 2008)
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