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Autore Discussione: JAS GAWRONSKI L'Ue e l'orrore del genocidio ucraino  (Letto 3453 volte)
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« inserito:: Ottobre 22, 2008, 02:49:03 pm »

22/10/2008
 
Bielorussia il disgelo viene da ovest
 
 
 
 
 
JAS GAWRONSKI
 
Quando un presidente in carica ottiene tutti i seggi del Parlamento, possiamo dedurne che qualcosa non va: nemmeno Robert Mugabe in Zimbabwe è riuscito a fare il pieno come Aleksandr Lukashenko il mese scorso in Bielorussia. Le ultime elezioni legislative hanno rafforzato in Occidente l’immagine della Bielorussia come una sorta di repubblica delle banane. Mentre i suoi vicini a Est hanno abbracciato la prosperità e la libertà politica dell’Unione europea, la Bielorussia è rimasta impantanata ai tempi dell’era sovietica. Condoleezza Rice ha definito Lukashenko l’ultimo dittatore d’Europa, e a ragione. Sotto la sua guida autoritaria, la libertà politica è inesistente, i dissidenti sono perseguitati e i diritti umani quotidianamente violati. Ciò ha raffreddato i rapporti dell’Unione europea con la Bielorussia. La ratifica di un accordo di partenariato e cooperazione con Minsk - normalmente una formalità per i Paesi alle frontiere esterne dell’Ue - è in stallo da oltre un decennio. Inoltre la Bielorussia è ancora esclusa dal Consiglio d’Europa, l’organizzazione per la difesa dei diritti umani che a Strasburgo rappresenta l’anticamera dell’Ue. Tuttavia, gli esperti a Bruxelles ritengono che debbano rimanere aperti i canali di comunicazione con Minsk, se non altro considerando che l’Ue mantiene un dialogo con Paesi dai regimi altrettanto autoritari come Cuba. La recente decisione di Lukashenko di liberare alcuni prigionieri politici rappresenta per l’Ue una sfida e un’opportunità, quella di staccare la Bielorussia da Mosca e portarla verso l’Occidente.

La presenza della Russia in questa equazione, tuttavia, sottolinea le difficoltà che deve affrontare l’Ue, in particolare considerando le tensioni tra Mosca e la Georgia. Lukashenko potrebbe essere sincero nelle sue aperture all’Ue, e se questo è vero, Bruxelles deve rispondere con un cauto sostegno. Ma potrebbe anche essere che il dittatore bielorusso giochi una partita a scacchi, cercando di spaventare il Cremlino per ottenere più attenzione e aiuti economici. Se il riposizionamento di Lukashenko è sincero, l’Ue deve offrire incentivi. La decisione di togliere parzialmente il divieto di viaggiare al ministro degli Esteri Sergey Martinov per permettergli d’incontrare i colleghi dell’Ue a Lussemburgo può incoraggiare Minsk. Inoltre, l’Ue può offrire importanti opportunità economiche alla Bielorussia, la cui economia stagnante ha ridotto il Paese in povertà. La questione dei rapporti dell’Unione europea con la Bielorussia ha offerto ai nuovi membri Ue, quelli che una volta erano sotto il dominio sovietico - in particolare Polonia e Lituania - la possibilità di ispirare e guidare i negoziati politici. Questo può essere considerato quasi uno scherno a Mosca, un’opportunità di fare uno sgambetto alla Russia rimanendo dalla parte sicura della frontiera, ma è anche la conseguenza di privazioni quotidiane di famiglie che vivono divise in diversi Stati dell’Est europeo, vittime d’una situazione di gelo diplomatico.

Per molti di noi deputati al Parlamento europeo l’isolamento dei cittadini bielorussi è un motivo in più che ci rende determinati ad aiutarli: la gente di Minsk è l’anello mancante della riunificazione della famiglia europea. Naturalmente un discorso politico ad alto livello è fondamentale per produrre cambiamenti, ma la nostra attenzione deve rimanere sulla gente e sulla società civile della Bielorussia, che è nostra tradizione sostenere, come mostra il premio Sakharov del Parlamento europeo per la libertà di espressione, attribuito al leader dell’opposizione Aleksander Milinkevich nel 2006 e due anni prima all’Associazione di giornalisti bielorussi. Cercando di accompagnare la Bielorussia verso l’Ovest, l’Ue deve essere attenta a non provocare la già permalosa Russia. La storia ci ha dimostrato l’importanza della solidarietà europea e la sua forza di trasformazione. Anche nei giorni più scuri del comunismo totalitario le popolazioni che vivevano da una parte e dall’altra della Cortina di ferro continuavano a credere in un futuro europeo. Oggi la lezione è ancora valida: i cittadini bielorussi aspirano ad avere un posto nella nuova Europa. Hanno bisogno di sapere che siamo preoccupati per loro e che non li abbiamo dimenticati.

jas.gawronski@europarl.europa.eu
 
da lastampa.it
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« Risposta #1 inserito:: Novembre 11, 2008, 10:55:21 am »

11/11/2008
 
L'Ue e l'orrore del genocidio ucraino
 
 
 
 
 
JAS GAWRONSKI
 
Senza la volontà di affrontare le brutalità del passato, l’Unione Europea non sarebbe mai diventata quella che è oggi. Nel secolo scorso tutti i Paesi europei si sono trasformati in democrazie stabili affrontando gli orrori della storia. La Germania si è dovuta confrontare con le atrocità dei nazisti e le barbarie dell’Olocausto. La Grecia, la Spagna e il Portogallo hanno abbandonato pacificamente le dittature di destra e hanno scelto un destino democratico dentro l’Unione Europea. Anche i nuovi membri dell’Ue stanno cercando, a modo loro, la verità, ottenendo la riconciliazione attraverso una onesta analisi dei vecchi regimi totalitari comunisti.

Come altri Paesi che cercano di rafforzare la democrazia e intraprendere la strada verso la famiglia delle nazioni europee, anche l’Ucraina sta togliendosi qualche scheletro dall’armadio. Dalla sua indipendenza nel 1991 il governo di Kiev ha cercato di attirare l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale sulla carestia del 1932-‘33, a noi nota con la parola ucraina «Holodomor». È stato un tentativo di Stalin di imporre la sua volontà al popolo ucraino, per vincere la resistenza contro la nazionalizzazione dell’agricoltura, per annientare il nazionalismo e affamare gli ucraini fino alla sottomissione o alla morte. Un piano che si è realizzato confiscando il grano per nutrire le città dell’Unione Sovietica e sostenere l’industrializzazione dell’Urss. Stalin sapeva che la gente delle campagne ucraine non avrebbe potuto resistere. La sua strategia comprendeva anche un sistematico attacco ai «kulak», la classe dei contadini latifondisti che erano visti come un ostacolo alla collettivizzazione.

I pochi documenti esistenti illustrano un quadro di tragica miseria. Un tempo granaio dell’Unione Sovietica, l’Ucraina diventò una terra di fame. Ci sono prove di cannibalismo e di corpi lasciati a marcire nelle strade. Nessuno sa esattamente quante persone morirono. C’è chi parla di cinque milioni di vittime, c’è chi dice molti di più. Ora, per la prima volta nella storia europea, il Parlamento di Bruxelles ha riconosciuto ufficialmente l’«Holodomor» come una tragedia dell’umanità. Il Parlamento europeo ha appena approvato una risoluzione per condannare gli orrori dell’«Holodomor» e ricordarne i milioni di vittime. Soltanto ricordandoci di questi crimini contro l’umanità possiamo assicurarci che non succeda mai più.

Si è trattato di un genocidio oppure no? Gli eurodeputati si sono divisi sull’argomento. Secondo me, ci sono pochi dubbi: è stato un genocidio, anche se questo termine non faceva parte del diritto internazionale fino alla seconda guerra mondiale. Nel Parlamento europeo, la sinistra radicale, che continua a guardare l’Unione Sovietica con una certa nostalgia, ha insistito che nella risoluzione non ci fosse il termine genocidio.

Alla fine è stato più importante garantire il riconoscimento ufficiale dell’«Holodomor» con una larga maggioranza parlamentare piuttosto che mettere a rischio la risoluzione litigando sul genocidio. Ma nessuno dovrebbe sminuire le indescrivibili sofferenze inflitte all’Ucraina in quell’occasione. Non ci sono parole per raccontare le atrocità dell’«Holodomor». Quello che conta non sono le parole del testo, ma la nostra espressione di solidarietà con l’Ucraina nel settantacinquesimo anniversario della tragedia.

L’Ucraina ha un passato di dolore. La prossima tappa nella sua storia dovrebbe essere la sua adesione all’Unione Europea. Kiev non dovrebbe essere più abbandonata dalla comunità internazionale e lasciata in balia del suo grande vicino, la Russia. Il Cremlino deve rispettare la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina, libera di scrivere il suo destino come parte della famiglia europea.

jas.gawronski@europarl.europa.eu
 
da lastampa.it
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« Risposta #2 inserito:: Dicembre 06, 2008, 09:55:03 am »

6/12/2008
 
Su Taiwan il bullismo della Cina
 
JAS GAWRONSKI
 

Sulla mia scrivania ho una delle foto preferite della mia carriera di giornalista: stringo la mano a Chiang Kai-shek, capo delle forze nazionaliste durante la guerra civile cinese e presidente di Taiwan fino alla morte avvenuta nel 1975. Quando i comunisti lo cacciarono dal continente cinese, Chiang si ritirò nell’isola di Taiwan, dove fondò un paese rimasto esempio di rapido sviluppo.

Negli ultimi sessant’anni Taiwan è stata al centro di uno dei conflitti più aspri della storia recente. I colloqui dei giorni scorsi tra Cina e Taiwan hanno rappresentato lo sforzo più concreto dal 1949 per la normalizzazione dei rapporti e fanno sperare che il conflitto possa essere risolto pacificamente. Ci sono ancora molti progressi da compiere, anche perché Pechino continua ad avere migliaia di testate nucleari puntate proprio su Taiwan. La Cina considera l’isola come una provincia separatista che deve essere riunita con la terraferma. Ma Taiwan non è più stata governata dalla Cina dal 1895, da quando cioè è diventata una colonia giapponese, fino alla fine della seconda guerra mondiale. Non stupisce dunque che i taiwanesi non apprezzino le prepotenze dell’ingombrante vicino. Un bullismo evidente nel modo in cui la Cina nega a Taiwan qualsiasi voce sulla scena internazionale. Inutili sono stati gli sforzi del governo di Taipei di riconquistare un seggio alle Nazioni Unite, perso nel 1971 per le pressioni di Pechino. Taiwan non può nemmeno partecipare come osservatore all’Organizzazione Mondiale della Sanità.

La comunità internazionale ha paura della crescita economica della Cina, e in gran parte sostiene il punto di vista di Pechino. Tuttavia, questa politica di un’unica Cina non ha impedito a Taiwan di stringere forti legami informali con il resto del mondo. La maggior parte dei paesi, compresa l’Italia, ha un ufficio a Taiwan che di fatto è un’ambasciata ufficiosa. Ventitre Stati sovrani, compreso il Vaticano, riconoscono Taiwan come un paese indipendente. Nonostante l’isolamento politico, i taiwanesi hanno raggiunto notevoli traguardi, costruendo una delle più sofisticate economie, ma anche una vibrante democrazia in cui lo Stato di diritto e i diritti umani sono rispettati e tutelati. I valori di Taiwan sono i valori dell’Unione europea, ma l’Unione ha paura di turbare i rapporti commerciali con la Cina.

D’altro canto, gli Stati Uniti si sono impegnati ad aiutare il governo di Taipei a difendersi da un eventuale attacco militare cinese. Washington tuttavia riconosce, ma non necessariamente accetta, la dichiarazione di sovranità della Cina su Taiwan ed è probabile che anche il nuovo presidente Obama continui sulla stessa linea. La Cina ha quindi poche opzioni: sa che attaccando Taiwan rischia di innescare un più ampio conflitto militare con gli Stati Uniti e le altre potenze regionali come il Giappone e la Corea del Sud. Pechino sembra essersi rassegnata all’idea che un cambiamento è possibile solo a lungo termine, e in modo pacifico. Sia la Cina che Taiwan possono guardare all’Ue come un esempio di pace e stabilità raggiunte attraverso l’integrazione economica. Su questa scia gli accordi commerciali di novembre tra le autorità cinesi e quelle taiwanesi dovrebbero contribuire a relazioni più distese.

Il nuovo presidente di Taiwan Ma Ying-jeou sta compiendo uno sforzo coraggioso alla ricerca di una soluzione definitiva all’isolamento del suo paese. Il suo partito, il Kuomintang - lo stesso del leader storico Chiang Kai-shek - è in linea di massima favorevole all’idea che un giorno Taiwan possa essere riunita con la Cina. Il presidente Ma Ying-jeou ha sottolineato tuttavia che solo il popolo di Taiwan potrà decidere del proprio destino. Questo impegno per una soluzione democratica è ammirevole e la Cina dovrà accettarlo se vuole veramente una riunificazione pacifica.

jas.gawronski@europarl.europa.eu
 
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