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Autore Discussione: Il personaggio Riccardo Villari  (Letto 2269 volte)
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« inserito:: Novembre 24, 2008, 10:18:30 am »

Il personaggio

Il presidente assediato «Ora è chiaro, vogliono la mia pelle»

I «buoni consigli» di Mastella


ROMA — Mai sentito Riccardo Villari, negli ultimi cinque giorni, così nervoso, stanco, confuso. Di solito, questo senatore del Pd ti parla con la sua voce allegra da medico epatologo prestato alla politica, da politico napoletano altoborghese (Capri, Vomero, in tribuna d'onore la domenica allo stadio San Paolo), da napoletano più furbo e simpatico della media dei napoletani (il che, ammetterete, è parecchio), e perciò sta lì a conquistarti (imbonirti?) con i suoi modi un po' spregiudicati e un po' charmant (se non addirittura proprio da sciupafemmine: la soubrette Barbara D'Urso, felice, ha d'altra parte confessato, in diretta e su Canale 5, d'essere stata la sua prima fidanzata; quindi, regolatevi).

Insomma, va bene, ammettiamolo: è sempre stato piuttosto facile e divertente parlare con Riccardo Villari, ma lo è stato finché c'era partita, finché il suo voler restare presidente della Commissione di Vigilanza Rai era un ruolo in bilico, discusso e discutibile. Ma ora che fa buio e lui stesso, per primo, ha la percezione di esser rimasto solo e accerchiato (dal suo partito, da Fini e da Schifani, e poi persino da Berlusconi) lui per primo fa volare la maschera e urla: «Cosa devo fare, eh? Cosa dovrei fare? Ah... è chiaro: vogliono la mia pelle...»: Non è lucido. Non lo è più. Ha giocato — ammesso che fosse solo al tavolo del poker politico — una partita rischiosa e, come diceva appena sabato scorso Claudio Velardi, assessore al Turismo della regione Campania per hobby, manager di professione e dalemiano di religione, «aveva carte buone in mano». Ora la sensazione è che la partita sia finita e che lui, Villari, non se ne sia accorto. A essere ragionevoli, riflette il senatore Luigi Zanda, «avrebbe dovuto mollare al termine della riunione della Vigilanza».

Zanda racconta di aver atteso invano una telefonata di Villari. «Mi aveva promesso: prima di entrare a palazzo San Macuto, ti comunico la mia decisione...». Invece, niente. Sapete com'è poi andata la riunione della Commissione. Sapete che, al termine, Villari ha spedito fuori la sua segretaria, la gentile Alessia, a distribuire un foglio dattiloscritto ai cronisti in attesa. Succo delle 36 righe: resto al mio posto, e non mi dimetto, «per il profondo rispetto che nutro nei confronti delle istituzioni...». Il testo ha toni barocchi, mielosi, accattivanti. Viene in mente l'eloquio di Clemente Mastella che, del resto, è un caro amico di Villari. Mastella, interpellato, risponde così: «Io? Io avrei suggerito il testo a Riccardo? Mah... io sono molto legato a lui, questo si sa... e perciò, se posso, beh, è chiaro, gli dò buoni consigli...». Mastella — se è stato lui — suggerisce a Villari di trincerarsi dietro il rispetto delle istituzioni. Solo che queste, all'improvviso, lo mollano. Il presidente della Camera, Gianfranco Fini, alle 18. Renato Schifani, presidente del Senato, un quarto d'ora dopo. «Villari faccia un passo indietro». Schifani, a Palazzo Madama, parla ai cronisti che, laggiù in fondo, erano in attesa che terminasse il direttivo del gruppo del Pd. In una stanza è in corso una sorta di processo.

Quando Anna Finocchiaro esce, ha uno sguardo grigio, teso. Nessuno osa rivolgerle la parola. È lei, con una voce che taglia a fette l'aria piena di fumo (dev'esserci una deroga, ma si fuma, qui, nei corridoi del Senato): «Abbiamo espulso Villari dal nostro gruppo...». Vincenzo Vita spera che ora venga espulso anche dal partito. Fabrizio Morri, capogruppo dei democratici in Vigilanza, ha gli occhiali appannati dalla tensione. Si mette in un angolo, racconta. «Sa chi è Villari?». Un senatore che... «No. È un teatrante napoletano». Lei ci ha parlato e... «Ci ho parlato, sì: e sa cosa penso, adesso? Penso che sia un uomo falso, astuto, sleale e viscido». Parlano così, usano questi toni perché pensano di essersene sbarazzati. E invece. Sentite Villari: «Primo: ho sette giorni per ricorrere contro questa decisione di espulsione. Secondo: ricordo a tutti che il Pd è la mia casa politica. Sono stato chiaro?».

Fabrizio Roncone
21 novembre 2008

da corriere.it
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