David GROSSMAN: Israele ha dei nemici che è importante ascoltare
Arrivato a Roma per accompagnare il film che il connazionale Oded Davidoff ha tratto dal suo romanzo, Qualcuno con cui correre, David Grossman cerca di svicolare cortesemente dalle domande sul suo impegno politico con la sinistra israeliana e la nascita di un "Partito degli scrittori" con l'obiettivo di aprire un dialogo tra il governo di Tel Aviv e "i nemici". Non vuole sottrarre il palcoscenico a regista e cast. Ma l'incontestabile talento letterario dell'autore di "Vedi alla voce: amore", autore teatrale e saggista, con un posto di privilegio tra gli scrittori contemporanei, gli hanno permesso di essere ascoltato commentatore sul futuro incerto dell'amato Israele, solo sessant'anni di vita e tutti travagliati. Perciò anche questa volta non si sottrae a qualche considerazione al riguardo.
Voce di una nazione che sta combattendo una battaglia infinita con mezzi spesso criticati, insieme a illustri colleghi come Abraham Yehoshua e Amos Oz più volte ha chiesto di ripensare scelte e strategie governative ed esortato i connazionali a fare passi concreti verso la pace. Impareggiabile ritrattista di personaggi giovani, ostinati, vitali, prolifico autore di libri per bambini (o come dice, "giovani adulti"), lo scrittore vive a Gerusalemme con moglie e tre figli. Due anni fa ha perso Uri, il figlio ventenne, militare di leva colpito da un missile durante una missione nel sud del Libano. Appena tre giorni prima aveva tenuto una conferenza stampa insieme a diverse personalità della cultura che esprimevano il proprio sostegno a Israele nella guerra contro il Libano, sebbene chiedessero di trovare immediatamente delle soluzioni per porre fine al conflitto armato.
I protagonisti del libro e del film sono adolescenti sbandati ed eroici in una Gerusalemme inedita, fatta di barboni, case occupate, droga, che Davidoff ha tradotto con sensibilità da anni Settanta: ha preso ragazzi di strada, mostrato la Città Santa, la capitale delle tre religioni monoteiste come effettivamente è: abitata da persone, percorsa da tensioni, contenitore di storie che non sono solo "la guerra, il Muro del pianto, la religione che vediamo in tv". Precisa Grossman: "Credo che sia il compito dell'arte mostrare le vicende scomode, specie in un paese come il nostro intrappolato in una guerra da cento anni". E aggiunge: "La letteratura lo ha iniziato a fare 30 o 40 anni fa, da qualche tempo tocca al nuovo cinema israeliano e al documentarismo". E' così che si fotografa con maggiore approssimazione la realtà: "Non possiamo avere una sola prospettiva su quello che ci circonda, dobbiamo infiltrare la nostra letteratura con quella dei nemici. Solo così avremo chiari i vari punti di giustizia che esistono per ogni questione".
Qualcuno fa notare allo scrittore di aver usato la parola "nemico". Chiarisce che non è stata una svista: "Mi sembra che una castrazione di certa politica europea impedisce di parlare di "nemico". E invece mi pare ovvio che Israele sia in guerra e che non è mai stato interiorizzato veramente in Medio Oriente". Con le dovute premesse si arriva più facilmente alla soluzione: "Se non riconosciamo questa situazione è difficile ottenere la pace. In questa direzione ci dobbiamo muovere tutti, facendo azioni concrete per cambiare la cose".
Ma poi chiede di tornare a discutere del film, che ha vinto il premio della giovane giuria del Giffoni Film Festival e si prepara ad una uscita italiana mai avuta per un film con bandiera israeliana. Segno della vitalità di una cinematografia che da pochi anni ha espresso talenti come quello di Etgar Karet con Meduse: "Abbiamo tante cose da dire ed è il momento giusto per farlo" spiega il regista, quarantenne al secondo film.
Curiosa anche la sinergia di cui gode l'operazione: Grossman è pubblicato da Mondadori, tra i co-produttori c'è Luca Barbareschi e distribuisce in 70 sale Medusa. Tutto in casa. Comunque merita davvero interesse e lo scrittore si dice sinceramente soddisfatto della riuscita del progetto. I suoi due protagonisti sono "idealisti pratici" che rovistano tra le fogne e i diseredati della città ma hanno "grazia, compassione, conoscono la solidarietà" spiega lo scrittore. L'atmosfera è frenetica, Davidoff calca sul lato emozionale della vicenda su precisa richiesta dell'autore e tira fuori una sorta di "thriller esistenziale" e bohemien, cinema di strada che paga un pegno al Neorealismo italiano.
In mezzo ad una fauna di giovani visi perduti, Tamar è una ragazzina dalla testa rasata fuggita di casa che, voce e chitarra, si esibisce per strada e intanto sta cercando un ragazzo dalla chitarra nera. Mentre Assaf è un sedicenne che cerca Tamar per restituirle il labrador che ha smarrito: attraverso alcuni effetti personali, il diario e mille indizi il ragazzo si convince che lei gli piacerà. La giovane, bravissima esordiente Bar Belfer si esibisce dal vivo, anche in un improbabile inno israeliano e chiude con "Wild Horses" dei Rolling Stones: cavalli selvaggi, quelli con cui correre via.
pcolizzi@gmail.com19 Nov 2008
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