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« Risposta #1 inserito:: Settembre 17, 2008, 08:34:59 am » |
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17/9/2008 La scuola più povera MERCEDES BRESSO* In vestire sulla scuola significa investire sul nostro futuro. La qualità della scuola, dall’infanzia all’Università, è specchio della qualità di una società e del suo possibile sviluppo o declino: qualità della vita, del lavoro, della salute. Questo è un assioma, un concetto ritenuto valido a qualunque latitudine, in qualunque cultura. Nella scuola italiana, l’ha ribadito l’Ocse, s’investe poco (chiedere agli insegnanti che di tasca propria acquistano materiali scolastici), gli stipendi sono bassi, le elementari costituiscono il segmento più forte. Trovo quindi sia un controsenso occuparsi della reintroduzione del grembiule, dei voti al posto dei giudizi, della cancellazione nei fatti del tempo pieno alle elementari e addirittura pensare che si debba ridurre l’orario scolastico. E, per niente secondario, trovo che tutte queste decisioni siano tanto più illogiche quando ad assumerle è uno Stato che ha già deciso che il prossimo anno la materia, salvo che per i principi generali, passerà alle Regioni.
Dalle dichiarazioni e dai provvedimenti annunciati in queste settimane possiamo intravedere all’orizzonte: destrutturazione della scuola attraverso un impoverimento economico massimale, per poi passare tutto alle Regioni ma con fondi insufficienti (non sono stati sufficienti per lo Stato sino a oggi, dovrebbero esserlo per le Regioni da domani?). È il contrario del federalismo. Non solo del federalismo che vogliamo, ma del concetto stesso di federalismo. In questo modo, lo Stato avrà recuperato fondi per «altro», il servizio scolastico offerto sarà peggiore a meno di rendere disponibili a pagamento - ecco, forse, uno degli obiettivi reali - parte dei servizi. Com’è possibile pensare di cancellare, perché ovviamente questo accadrebbe con il maestro unico, il tempo pieno invece che estenderlo a tutta Italia? Come si può parlare di aiuto e appoggio alle famiglie e poi agire con l’aggiunta di costi per le famiglie (grembiule, servizi che non saranno più garantiti, «doposcuola» privatizzato...) e scelte che penalizzano gravemente le donne lavoratrici? Non ci sono risposte che facciano pensare alla valorizzazione dell’istruzione, alla crescita della nostra società, a un futuro migliore.
Sono d’accordo, si deve fare efficienza, ma intervenendo per potenziare il servizio, non per distruggerlo. Ad esempio, intervenendo sui costi di gestione: pensiamo agli sprechi in campo energetico. Ma molte altre sarebbero le azioni possibili. Si deve anche razionalizzare l’utilizzo del personale docente, sapendo però che questa è la principale risorsa per la scuola e, di conseguenza, per il nostro futuro. Ci vogliono programmazione di almeno tre-cinque anni e progettualità: la razionalizzazione possibile deve essere accompagnata - direi quantitativamente sovrastata - da investimenti sulla formazione e l’aggiornamento, dagli aumenti necessari sui salari, con incentivi che premino la disponibilità e la qualità. Insomma, dobbiamo rivalutare la figura dell’insegnante e della scuola ad ogni grado, riconoscerne il ruolo chiave per la società. Sono anche per l’introduzione di un lavoro serio, costante e approfondito da parte degli «ispettori», che oggi vengono utilizzati in casi rarissimi: io ho insegnato per 40 anni e non ricordo di avere avuto un’ispezione. La semplice «soddisfazione del cliente» in un caso come quello della scuola credo possa fare più danni che risultati utili: anche perché il cliente non è l’adolescente di oggi, ma il cittadino di domani.
Insomma, la scuola, la formazione, la preparazione sono la chiave per dare un futuro roseo all’Italia. Vedere queste voci come un «costo» da tagliare e non una opportunità su cui investire, una risorsa da potenziare al massimo - ripeto: anche razionalizzando - significa non occuparsi del Paese.
*presidente della Regione Piemonte da lastampa.it
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