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Autore Discussione: «Salari, pronti a firmare con chi ci sta Epifani? Se dice no dovrà spiegarlo»  (Letto 2424 volte)
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« inserito:: Settembre 07, 2008, 10:41:14 am »

«Salari, pronti a firmare con chi ci sta Epifani? Se dice no dovrà spiegarlo»

Marcegaglia: bene il governo su disavanzo, manovra, lavoro e scuola


MILANO — La mette in termini di «appello ». L’ultimo però, probabilmente, per Guglielmo Epifani. Ed è chiarissima, Emma Marcegaglia. Premette: «Io so benissimo quanto sia seria la questione dei salari. Ma è altrettanto seria quella della produttività. E non possiamo più permetterci di considerarle variabili tra loro indipendenti». Come del resto riconoscono senza problemi pure Cisl e Uil. Per cui, al segretario Cgil che invece seguita a prender tempo, Emma Marcegaglia dice esplicitamente che per le indecisioni non c’è più spazio. Che «questa riforma dei contratti è un’occasione irripetibile ». Che lei, presidente di Confindustria, continua ad «augurarsi e a sperare che concretezza e pragmatismo prevalgano anche nella Cgil, che ci sia la volontà di innovare e di guardare al futuro». Ma, «se così non avverrà», allora «ognuno deve essere pronto ad assumersi le proprie responsabilità». Significa che se, come sembra, Cisl e Uil dicessero «siamo pronti» e la Cgil insistesse sul no, voi non avreste problemi a firmare un accordo separato? «Ognuno deve fare le proprie scelte. Questa riforma è l’unico modo, oggi, per poter aumentare anche gli stipendi. La Cgil è liberissima di dire no, ci mancherebbe. Poi però dovrà anche spiegarlo ai propri iscritti nelle fabbriche». Spieghi lei, intanto, perché questo è «l’unico modo». «Le dò due dati, per cominciare.

Dal 2000 al 2007 le buste paga sono aumentate di 1.215 euro reali all’anno. Se il nostro Paese fosse cresciuto come la media dei Paesi dell’area euro, attraverso incrementi di produttività, quegli aumenti sarebbero arrivati intorno a quota 2.500». Ma, voi dite, la sola strada è spostare il baricentro dalla contrattazione nazionale a quella aziendale. E le aziende che non possono permetterselo? «La nostra proposta prevede una compensazione per quei lavoratori che non avranno alcun aumento a livello aziendale. E chiedo: l’obiettivo comune di imprese, lavoratori, sistema- Paese, è o no la crescita?». Così parrebbe. «Bene. Allora partiamo dal quadro economico ». Che indica: inflazione al 4%, consumi in picchiata, produzione industriale in retromarcia, Pil fermo. «Appunto. Ma non è una crisi partita da qui. L’Italia condivide gli effetti delle turbolenze internazionali: la crisi finanziaria e la politica troppo espansiva degli Usa, l’irruzione della Cina, una forte rivalutazione dell’euro fino al luglio scorso. Il risultato è un’economia ferma in tutto l’Occidente». A proposito: la pensa come Giulio Tremonti, che ha evocato lo spettro del ’29, o come Silvio Berlusconi, per il quale la malattia non è così drammatica? «Confindustria è stata la prima a denunciare il rischio crescita-zero. Oggi, la mia sensazione è che davanti abbiamo ancora un trimestre molto problematico, ma che a partire dal 2009 possa iniziare un’inversione di tendenza. E che proprio gli Usa saranno i primi a riprendersi. Qualcosa già si vede: il petrolio da 140 a 107 euro, il dollaro in lento recupero». Insomma non andremo in recessione? «Tecnicamente forse sì. Ma nella sostanza la vedo più come un forte rallentamento.

L’Europa farà però più fatica degli Stati Uniti, e l’Italia più fatica dell’Europa. Le nostre imprese che hanno riorganizzato, innovato, internazionalizzato, tengono, come dimostrano i dati sull’export. Ma non basterà a compensare la bassa crescita del mercato interno, inteso ormai come Europa». Questo vuol dire che ha ragione chi si aspetta, con l’autunno, un’ondata di cassa integrazione? «Un maggior ricorso c’è già stato. Stimiamo che nell’ultimo trimestre possa aumentare ancora. E questo è preoccupante». Se qualcuno, dal sindacato, dicesse che esagerate la situazione per condizionare la trattativa? «Le sembrerebbe credibile? La verità è che l’Italia è sempre stata più lenta degli altri a uscire dalle crisi. Se vogliamo evitare che anche questa volta si ripeta il copione, serve un’assunzione di responsabilità da parte di tutti. L’obiettivo di aumentare, insieme, produttività e salari fa parte del percorso, che Confindustria ha iniziato peraltro con Luca Cordero di Montezemolo. È un’occasione fondamentale e oggi possiamo raggiungerla, favoriti dalle condizioni create dal governo con la detassazione degli straordinari e dei premi variabili: gli stessi soldi dati a livello aziendale invece che nazionale valgono ora il 20% in più. Non c’è aumento contrattuale che possa compensare questo positivo effetto fiscale». Lei è in carica da cento giorni, l’esecutivo da pochi di più. Il suo giudizio qual è? E se l’economia dev’essere, per Confindustria, al centro dell’agenda, non le ha dato fastidio vedere una politica che per l’intera estate ha parlato quasi solo di giustizia? «Avrei preferito un focus più forte sull’economia, è evidente. Diciamo che spero non sia tardi». Lei disse, al suo insediamento, pensando al clima di allora maggioranza-opposizione: «C’è uno scenario nuovo e irripetibile: possiamo far rinascere il Paese».

Quello scenario però ce lo siamo già giocato. «Sì, siamo ritornati al "o di qua o di là", al conflitto permanente. Non va bene. Continuo a pensare che sui grandi temi il dialogo sia fondamentale. Mi auguro lo si possa recuperare, o tutto sarà più difficile e a pagarne le conseguenze saranno i cittadini». Dei provvedimenti economici presi finora cosa le piace e cosa no? Come valuta Tremonti e Sacconi, Brunetta e Scajola? «Il giudizio è positivo sul contenimento del disavanzo, sulla manovra triennale, sulle politiche per il lavoro, sul rilancio del nucleare, sulla semplificazione della burocrazia. Non va bene, invece, che ci sia un calo degli investimenti in infrastrutture. Non ci è piaciuta la mancata liberalizzazione dei servizi pubblici locali. E non ci piace una pressione fiscale sempre ai massimi storici». E la scuola? Con la ricerca è uno dei tasti su cui batte Confindustria: ma qui si parla di tagli. «Abbiamo il numero di insegnanti più alto d’Europa. Però la meritocrazia non esiste. Se questo è l’obiettivo del ministro Gelmini, condivido: meno maestri e professori, ma pagati meglio e valutati, forse miglioreranno la qualità ». Federalismo: sì a quali condizioni? «Primo: non deve ridursi a un "dividendo politico" da pagare alla Lega, dev’essere un disegno complessivo di riforma che avvicini i cittadini a chi li governa». Il progetto Calderoli va in questa direzione? «Contiene principi importanti, però aspettiamo di sapere se ci saranno queste condizioni per noi imprescindibili. Non deve assolutamente portare a nuova pressione fiscale: se tagli l’Ici è evidente che devi compensare i comuni, ma non a spese di una moltiplicazione delle imposte. Si devono tagliare sprechi e spese. Introdurre sanzioni immediate per gli amministratori che non rispettano i budget. E andrebbe tolta alle Regioni la competenza su grandi decisioni in materia energetica: rigassificatori, centrali elettriche, gasdotti».

Superfluo chiederle che cosa penserebbe, dopo il «la» dato da Piero Marrazzo, di Regioni, Province o Comuni soci di quell’Alitalia cui anche lei parteciperà. «Il mestiere degli enti locali dovrebbe essere gestire la sanità, grosso problema, e i servizi ai cittadini. Riducano le partecipazioni azionarie e, insieme, le varie addizionali...». Si aspettava la bufera, anche se subito rientrata, sul suo ingresso nella cordata? «Francamente no. Il mio è stato un gesto simbolico, un segnale di fiducia nel rilancio di un’azienda strategica per il Paese. Noto che quanti criticano oggi sono, spesso, gli stessi che ieri chiedevano: ma gli imprenditori dove sono? Dopodiché: lo si vedrà nei fatti, se la stella polare della mia e della nostra azione non resteranno mercato e concorrenza. Che però, attenzione, non è un concetto accademico». Intende dire? «Lufthansa o Air France hanno sul mercato domestico quote ben più elevate di quelle di Alitalia. E quando partirà l’alta velocità ferroviaria, quella quota da noi scenderà ancora. Vuole altri esempi? Nel tempio della concorrenza, gli Usa, lo Stato ha "salvato" Bearn Stern. In Gran Bretagna si è fatto lo stesso con Northern Rock. La Germania fissa un limite ai fondi sovrani. Poi, per carità: sono consapevole che l’operazione Alitalia ha dei limiti, ma l’alternativa erano 20 mila persone a casa e i pezzi migliori lasciati nelle mani di chi se li sarebbe portati via a prezzi di saldo. E poiché siamo persone pragmatiche, non professori universitari che vivono da un’altra parte...». Frecciata a segno. Ma a proposito di «altre parti»: se lei vivesse negli Usa, voterebbe Obama o McCain? «McCain è un repubblicano che potrebbe fare bene e ha una bella storia personale. Ma gli americani potrebbero optare per il cambiamento. E allora ben venga Obama».

Raffaella Polato
06 settembre 2008

da corriere.it
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