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« inserito:: Agosto 22, 2008, 10:38:35 pm » |
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Vittorio Foa: «Trentin, che aveva visto il mondo nuovo»
Ninetta Zandegiacomi
Dal libro Bruno Trentin. Dalla guerra partigiana alla Cgil, a cura di Igino Ariemma e Luisa Bellina, in edicola domani con l’Unità, anticipiamo un brano dell’intervista a Vittorio Foa «Con Bruno nella primavera del ’45» di Luisa Bellina e Ninetta Zandegiacomi.
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Volevo sentire da te della fase in cui la Cgil cambia la sua strategia, fine anni 50, il periodo in cui comincia la contrattazione, la lotta per la contrattazione articolata, i ritmi, il cottimo...
«La fase è durata molto tempo... con nomi diversi, ma io credo che si possa dire che è cominciata già nel...»
Alla fine degli anni 50, dici?
«Oh, sì, anni 50. (...) C’è stata una fase che è stata preparatoria. È stata quella di immaginare un orario di lavoro diverso, cioè non ci interessava più soltanto la durata, ma il contenuto del lavoro. Nel momento in cui si è cominciato a pensare che c’era un contenuto, non c’era soltanto la durata, in quel momento è cominciato qualcosa di nuovo...»
È quello che poi produce l’autunno caldo.
«Secondo me, sì. La produzione di forme nuove nel sindacato nasce anche prevalentemente da questo, dalla riflessione che abbiamo fatto tutti su un orario di lavoro che aveva un significato diverso dal solito, ed era questo».
Tu hai scritto molte cose a quei tempi, io me lo ricordo perché le studiavo! E Bruno anche. Un dibattito cui ha partecipato anche ampiamente Bruno in quel periodo, ti ricordi? Ci racconti?
«Certo, abbiamo scritto insieme una cosa... per un convegno tenutosi a Milano, in cui Bruno ed io facemmo insieme una relazione...»
Una relazione che avevate preparato voi?
«Una relazione comune».
E lì comincia appunto tutta la riflessione sui ritmi, sull’organizzazione fordista del lavoro, no? Un’altra domanda volevo farti: c’è il periodo della grande Flm, ’68-69-70, tutti lo sanno, e poi c’è una cosa molto problematica, cioè la Fiom non fa il congresso di scioglimento (...) Certamente Bruno ha pesato su questa decisione. Era necessaria? Era inevitabile? Era sbagliata? Che cosa pensi tu? (...)
«Piuttosto mi domando e domando a voi: avete preso coscienza dell’ampiezza del divario tra Trentin e Amendola? È stato il punto più fermo, non hai mai ceduto, (Bruno) ha sempre tenuto duro, si è sempre battuto, ma fu sconfitto. Amendola aveva, a mio giudizio, a nostro giudizio, una visione molto vecchia del sindacato. Noi pensavamo che fosse una visione tradiionalista. Mentre noi vedevamo già il mondo nuovo che veniva avanti, il Pci vedeva tutto come un vecchio mondo, che prima o poi sarebbe diventato una cosa diversa. Invece noi vedevamo che il mondo nuovo c’era già.. e lì fu molto forte lo scontro con Amendola. Amendola non accettava l’idea che Trentin avesse nel partito il rilievo che stava assumendo. Togliatti non si pronunciò su queste cose, non disse nulla, ma lasciò che le cose andassero per conto loro. Togliatti in realtà la pensava al vecchio modo, però non prese posizione. Ma io ricordo di uno scontro vero tra i due (Trentin e Amendola). Mi ricordo una volta una riunione in cui Amendola mi disse: nel mio partito non c’è più oggi la possibilità di ottenere quello che uno vuole da un compagno, però possiamo impedirgli di diventare quello che lui desidera... cioè allude precisamente al fatto che Trentin voleva restare nella Cgil e Amendola pensava invece di portare Trentin in un altro campo in cui non fosse più pericoloso. E allora lo scontro fu forte... fu a un convegno nel ’72, mi pare, dove Amendola parlò apertamente contro Trentin (...)»
Direi che (Bruno) non vedeva il partito come fine, mai.
«No, mai».
Mai. Ma questa questione della unificazione della Flm... che poi non andò in porto, è una questione su cui io sono molto incerta...
«Io rimango sempre dell’avviso che il problema dell’unificazione è un problema centrale, ci credo sempre e credo che bisogna trattarlo come un problema aperto, non come un problema chiuso, che uno deve partire dal dato che le cose sono aperte, tutte, e io voglio risolverle in modo aperto. Io in questo ci credo».
Questa era la convinzione anche di Bruno?
«Sì, sì. (...)
C’è una cosa su cui mi permetto di insistere, anche se la conosco poco: so che l’europeismo di Bruno era diverso dall’europeismo italiano. Bruno seguiva le idee di Delors e avrebbe voluto un’Europa che facesse altrettanto. Invece l’Europa ha poi preso un atteggiamento completamente diverso ed è andata a finire come è andata. Io credo che su questo tema Trentin vada studiato a parte, su come si forma l’Europa. Le cose che lui deve aver scritto e che io non ho letto... sull’unificazione europea, pare che siano straordinariamente originali. Lui seguiva completamente Delors, che invece Prodi e gli altri non hanno seguito...»
Beh, lui aveva anche il vantaggio di essere appunto un francese-italiano, un italiano-francese, cioè viveva l’Europa come Europa e non da un punto di vista, da un angolo particolare. Questo lui lo sentiva molto. Recentemente ho saputo che in Francia stanno preparando un convegno per ricordarlo, e in Spagna hanno fatto una pubblicazione dedicata a Bruno, quindi direi che l’Europa lo sente come europeo, no?
«Sì, l’Europa lo sente come europeo, ma è stato abbandonato; il delorismo è stato abbandonato, e Bruno è stato sentito solo per un certo periodo, il partito italiano non lo ha seguito e quindi in questo senso Bruno è stato abbandonato dagli italiani... Bruno era completamente solo... mi dicono quelli che hanno seguito con attenzione il dibattito europeo, che poi è stato seguito malamente...»
È stato seguito con poca informazione, anzi per niente. Tu sei convinto che il «pensiero» sull’Europa è franato ormai?
«No, io credo che il ritorno al pensare se stessi non solo come risultato tecnico ma come pensiero attivo, sarà ripreso, io ci credo molto, ci vorrà del tempo ma sarà ripreso».
Pubblicato il: 22.08.08 Modificato il: 22.08.08 alle ore 10.19 © l'Unità.
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