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Autore Discussione: Birindelli ammiraglio scomodo  (Letto 2407 volte)
Admin
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« inserito:: Agosto 08, 2008, 09:52:10 am »

8/8/2008
 
Birindelli ammiraglio scomodo
 
 
 
 
 
GUIDO VENTURONI *

 
Egregio direttore,
alcuni giorni fa è mancato l’ammiraglio Gino Birindelli. Medaglia d’oro, marinaio, comandante, infine uomo politico. Posso dire di averlo conosciuto bene perché nel 1968, giovane capitano di corvetta, fui destinato alla Squadra navale come caposezione elicotteri alle sue dipendenze. Qualche mese dopo, divenni suo aiutante di bandiera. Birindelli era un mito per noi ufficiali di Marina. Con Durand de la Penne, Elios Toschi e Teseo Tesei impersonificava lo «spirito del Serchio», la base dove si erano formati gli incursori della seconda guerra mondiale. Ma è di altro che voglio parlare. Di come, nel giro di due anni, fu al centro di polemiche clamorose che cambiarono dal profondo le forze armate e la condizione militare in Italia.

Era il febbraio 1969. La Squadra navale, che Birindelli comandava, come tradizione aveva effettuato un lungo addestramento al largo della Sardegna. C’era una generale insoddisfazione: pochi soldi, navi vecchiotte, equipaggi mal pagati. Al termine della crociera, si toccò con mano che la Marina non era quella che avrebbe dovuto essere. Ci fu un incontro con i giornalisti. Io ero vicino all’ammiraglio. Lui parlò francamente, forse troppo. Più o meno, il discorso fu questo: «Se la Marina non interessa, meglio allora se andiamo tutti a casa». La conversazione fu ripresa dai giornali con titoloni in prima pagina. Ne venne fuori uno sconquasso. Si irritarono i nostri capi. Si determinò un certo allarme nel governo. Si fece sentire il Quirinale. D’altra parte, sull’ammiraglio piovvero migliaia di telefonate, lettere, telegrammi. Li ricordo bene perché ero io ad aprirli. Caso inedito, ci fu anche una lettera aperta di sostegno a Birindelli firmata da molti giovani ufficiali della marina militare. Erano anni turbolenti. In un ambiente conservatore come quello delle forze armate, la Contestazione non poteva essere vista con favore. E ci fu chi, immancabilmente, sentì nell’aria il tintinnar di sciabole. Per farla breve, ci fu chi temette qualcosa di serio. Tra i ministri dell’epoca ci fu allarme. Birindelli fu convocato a Roma e un membro del governo gli propose di diventare Capo di stato maggiore purché chiudesse la polemica sul nascere. Rifiutò, non perché non avesse legittime ambizioni, ma perché non intendeva sostituire per questa via un collega.

Qualche mese dopo, fu nominato alla guida del comando navale Nato-Sud Europa che all’epoca si trovava a Malta. Qualcuno evidentemente pensò che fosse meglio tenerlo lontano dall’Italia. Lo seguii. Ma anche lì, durò poco. Pochi mesi dopo il nostro arrivo, a Malta si votò ed ebbe successo il famoso Dom Mintoff, un radicale di sinistra che non amava la Nato. Tra i suoi primi atti di governo, dichiarò Birindelli «persona non grata» perché «noto militarista». L’ammiraglio ne fu molto amareggiato, eppure si buttò caparbiamente nella sfida, riorganizzando in pochi mesi il comando, nel frattempo trasferitosi a Napoli. La città lo accolse con calore passionale. E fu il suo secondo trionfo personale nel giro di un anno. Qualche mese dopo, era ormai il 1972, si votò anche da noi e Birindelli accettò l’offerta di una candidatura.

Il risultato finale di tante polemiche, possiamo oggi dire, fu la riorganizzazione dei comandi alleati che dura da allora e una serie di leggi a favore della condizione militare e delle forze armate, che rapidamente ritrovarono l’efficienza.

*già Capo di stato maggiore della Difesa e presidente del Comitato Militare della Nato

 
da lastampa.it
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