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Autore Discussione: Governance per sfide globali  (Letto 2290 volte)
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« inserito:: Luglio 31, 2008, 03:12:23 pm »

31/7/2008
 
Governance per sfide globali
 

 
GIOVANNI CASTELLANETA
 

Abbiamo vissuto un’epoca piena di sfide e opportunità, ma «semplice». Divisa in due blocchi, quello occidentale e quello comunista. Le regole erano chiare all’interno dei due fronti come i rapporti tra le due aree. Fino agli Anni 90, quando l’impero sovietico implose e sembrò che la Storia fosse finita. Fukuyama, il fortunato autore della definizione, fu precipitoso: la Storia ha ricominciato a correre sulle praterie della globalizzazione, che ha introdotto nuovi problemi, ristretto la dimensione «locale» a vantaggio di quella «globale». Le società sono più trasparenti, c’è una maggiore diffusione della conoscenza, si moltiplicano le opportunità di crescita. Ma sono cresciuti anche l’impatto e la diffusione degli squilibri. Mai come in questo momento i problemi hanno respiro mondiale: sicurezza, cambiamenti climatici, lotta alla povertà, approvvigionamento energetico. Nuovi fenomeni, nuovi protagonisti: non solo Al Qaeda e altri networks terroristico-malavitosi. Sono sempre di più i grandi conglomerati economico-finanziari transnazionali, che giocano un ruolo politico; le fondazioni, che abbandono il mecenatismo per la cooperazione allo sviluppo; i «sovereign wealth funds», che obbediscono ormai alle ragioni della politica in un rapporto inestricabile di causa ed effetto; lo sono perfino i privati. Solo per il 2008 la «Bill & Melinda Gates Foundation» ha a disposizione più di 3 miliardi e mezzo di dollari per interventi nei settori dell’educazione e della lotta alle pandemie nei Paesi in via di sviluppo (quasi il bilancio del ministero degli Esteri italiano per quest’anno).

Nuovi protagonisti ma «vecchie» istituzioni: enti internazionali creati dopo il secondo conflitto mondiale. Sono in grado di incidere sugli attuali squilibri? Riusciremo a governare il nuovo scenario? È la sfida della «nuova Governance»: promuovere un adeguamento dell’architettura istituzionale mondiale in grado di rispondere alle esigenze globali. Più efficace, flessibile, creativa. Con tre aspetti fondamentali: capacità di networking, rapidità dei meccanismi, creatività delle soluzioni. La messa in rete sarà cruciale: ciascun attore - Stati, organizzazioni internazionali, fondazioni, società - darà il suo contributo. Sarà importante identificare più centri (il G8? Usa ed Europa?) che avviino questa riforma istituzionale mondiale. E fondamentale sarà la velocità con cui faremo funzionare i nuovi meccanismi. «Mission impossible»? Ho fiducia che ci riusciremo. Non abbiamo alternative a un approccio globale, articolato e sinergico di tutti gli attori per incidere in maniera significativa sulle tre grandi macro-aree delle dinamiche mondiali: politica e sicurezza, economia e finanza, ambiente ed energia.

E il legame transatlantico? Partiamo da una semplice constatazione. Per gli Stati Uniti le relazioni con l’Europa sono meno fondamentali del passato non solo perché l’Asia sta diventando la Nuova Frontiera americana, ma anche perché come europei non abbiamo finora fatto abbastanza per attrezzarci ad affrontare il nuovo contesto geopolitico mondiale. Cosa fare per invertire questa tendenza? Crescere il più rapidamente possibile per non scivolare ai margini delle dinamiche mondiali e maturare al più presto la consapevolezza che un’Europa più forte non è più un’opzione ma una strada obbligata. Abbiamo un vantaggio rilevante: gli americani sono legati a noi da un ampio patrimonio di valori condivisi, da un linguaggio comune, da una medesima grammatica politico-economica. Dobbiamo saper utilizzare questa leva per recuperare peso agli occhi degli Stati Uniti e rivitalizzare il legame transatlantico, che rimane una forza efficace e potente delle relazioni internazionali. Di questo gli americani continuano ad essere convinti.

*ambasciatore d’Italia a Washington
 
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