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Autore Discussione: Del Turco  (Letto 4160 volte)
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« inserito:: Luglio 15, 2008, 10:15:28 pm »

La «maledizione» socialista Bobo Craxi: è malato e non resisterà alla galera.

L'assoluzione dei compagni del Garofano: non è disonesto

La sorella: diede sberle a mio padre, ma non è un criminale

 

ROMA — «Conosco Ottaviano Del Turco da moltissimi anni. E proprio non riesco a trovare credibile un'accusa del genere nei confronti di una persona come lui». La reazione di Giuliano Amato ha un'importanza particolare. E non solo perché nel 2000 Del Turco fu ministro delle Finanze del suo secondo governo, ed era segretario aggiunto della Cgil quando Amato da presidente del Consiglio firmava gli accordi del luglio '92 contro l'inflazione. Amato e Del Turco sono gli unici esponenti di peso del vecchio Psi a essersi riconosciuti nel Partito democratico.

Gli altri hanno preso diverse direzioni. Ugo Intini, un altro dei pochissimi dirigenti socialisti a essere passato indenne attraverso la bufera di Tangentopoli, è ora nel piccolo partito guidato da Nencini e Boselli. «Sono molto colpito — dice —. Ottaviano è una persona perbene. Non posso immaginare che abbia fatto cose disoneste». Altri sono al governo con Forza Italia. Come Maurizio Sacconi, dal cui ministero dipende la Sanità, crocevia della vicenda Del Turco. «Non so dell'inchiesta penale. So della questione amministrativa: ci stavamo occupando proprio del commissariamento della Sanità abruzzese. È una storia di inefficienza e di cartolarizzazioni particolarmente onerose: mentre altre Regioni le hanno convertite in un prestito del Tesoro a tassi di mercato, in Abruzzo non è stato possibile rinegoziarle. Ma questa storia della tangente da sei milioni di euro... a me pare incredibile. È già accaduto, proprio in Abruzzo, che arrestassero il presidente e mezza Giunta; finì in una bolla di sapone. Non voglio sbilanciarmi. Ma la mia cultura è quella di un garantista». Sacconi vede un contraccolpo politico non negativo sul dialogo sulla giustizia, che forse ora può ripartire davvero: «Spero che ormai tutti vedano chiaro, spero che anche a sinistra capiscano che è tempo di fare la riforma per una giustizia giusta e rispettosa delle garanzie». Un altro ministro ex socialista, Renato Brunetta, vede nella notizia del giorno una svolta proprio per la riforma della giustizia. «Non bastano più i provvedimenti timidi. Dobbiamo fare la separazione delle carriere. Abolire l'ipocrisia dell'azione penale obbligatoria; la discrezionalità circa l'azione penale non dev'essere lasciata ai magistrati, dev'essere esercitata dal Parlamento, che in una relazione annuale indichi gli obiettivi e le priorità. E dev'essere ripristinata l'immunità parlamentare. Esiste in tutti i parlamenti dei Paesi evoluti. Va reintrodotto l'articolo 68, come l'avevano scritto i nostri padri costituenti. Immunità per tutti gli eletti. In modo trasparente, esplicito, chiaro. Quanto a Ottaviano, è un mio amico; ragione in più per non speculare sulle sue disavventure. Sono convinto che tutto il centrodestra si terrà su questa linea; la stessa che abbiamo tenuto quando uscirono le intercettazioni di D'Alema». Poi ci sono i figli di Craxi. Bobo, sottosegretario agli Esteri del governo Prodi. «Sono di pessimo umore. È la maledizione dei socialisti. Con Ottaviano abbiamo avuto dissensi, anche profondi. Lui prese in mano il partito e, in pratica, lo sciolse. Prese le distanze da mio padre». Si parlò di una busta con i conti esteri, consegnata al nuovo segretario e strappata. «A Del Turco — racconta Bobo Craxi — fu fatto sapere che, come tutti i partiti "leninisti", anche il nostro aveva munizioni nascoste in caso di guerra. Insomma, risorse altrove da usare per le calamità; e la calamità era arrivata. Lui rispose che non voleva saperne.

Ma il vero disconoscimento di mio padre fu politico. Ottaviano disse che i magistrati dovevano andare avanti, e si alleò con Occhetto. Ma i rapporti tra noi sono continuati. Nel '99 mi candidai alle Europee con lo Sdi e andai a trovarlo a casa sua, a Collelongo, con mia figlia Vittoria. Quando la vide si commosse. "È identica a Bettino" mormorò. Percorremmo un tratto di strada insieme, poi le nostre vie tornarono a divergere. L'ultima volta gli ho parlato qualche mese fa, e mi disse testualmente: "Non ho più voglia di spendere il mio tempo con Boselli e Villetti". Andò nel Pd; che tra l'altro sta facendo poco o nulla per difenderlo, non ho ancora ascoltato voci autorevoli di solidarietà. Leggo sulle agenzie che i magistrati non si accontentano di arrestarlo, che lo stanno portando proprio in galera. Ma in galera Ottaviano non resisterà un minuto, con tutti i malanni che ha. Sono preoccupato per la sua salute. La storia del Psi è maledetta: chi non scompare politicamente, finisce dietro le sbarre...». Oggi sottosegretario agli Esteri è Stefania Craxi. E le sue parole, per una volta, non contrastano con quelle del fratello. «Non esiste l'idea di una retata in Regione. Una Giunta regionale ha un'opposizione, cui spetta il potere di controllo. Dev'essere la politica a intervenire; altrimenti si lascia la parola a Di Pietro e compagni. Non si può abbandonare la tutela della moralità pubblica ai magistrati, cui si deve questo ennesimo gesto di protagonismo. Conosco Del Turco, e non me lo vedo nella veste del criminale. Detto questo, il primo pensiero che mi è venuto in mente, appena ho saputo la notizia, è il modo in cui si è comportato con mio padre. Le cose che diceva nel '92 e nel '93. Cose tipo: "Non intralciamo la magistratura", "spetta ai giudici decidere". E ho pensato che le sberle sono merce che gira». E da Beirut arriva al telefono la voce di Gianni De Michelis: «L'arresto di Del Turco è il più grave dai tempi di Mani Pulite. Il primo di un presidente di Regione eletto dal popolo. Una mossa così invasiva, per giunta su un tema delicatissimo come la sanità, indica che siamo all'inizio di una nuova stagione. Ancora una volta la riforma della politica non si fa in Parlamento ma dal lato giustizialista. Mi auguro che stavolta la politica reagisca, e non finisca come nel '93».

Aldo Cazzullo
15 luglio 2008

da corriere.it
« Ultima modifica: Luglio 16, 2008, 10:20:55 am da Admin » Registrato
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« Risposta #1 inserito:: Luglio 15, 2008, 10:18:09 pm »

Il personaggio: Nell'87 denunciò una questione morale nell'ex Psi

Ottaviano il socialista tra Lama e Bettino Craxi

Indenne nelle bufere. Le sue passioni: pittura e Mogol


Per carità, bisognerà leggere bene le carte, vedere, cercare di capire. Di fronte all'evidenza, se mai evidenza dovesse essere, non resterebbe che alzare sconsolati le braccia. Ma intanto, almeno per chi, ed è il mio caso, Ottaviano Del Turco lo conosce da una vita, la prima reazione è di sconcerto e di stupore.

L'idea di un Del Turco che, assiso al vertice di un'associazione a delinquere, intasca tangenti milionarie, no, onestamente non ci è mai passata per la testa e, per quanto Antonio Di Pietro gridi alla nuova Tangentopoli, fatica assai ad entrarci anche adesso. Tra sindacato, Psi, Sdi e, adesso, Partito democratico, è in politica da quando portava i calzoni corti, Ottaviano. E ha ricoperto incarichi di primo piano. Segretario generale aggiunto della Cgil ai tempi di Luciano Lama. Segretario del Psi nel disastro di Tangentopoli. Presidente dell'Antimafia. Ministro delle Finanze nel secondo governo Amato. Parlamentare europeo. Infine, e mal gliene ha incolto, presidente della Regione Abruzzo, unico socialista, seppure ormai aderente al Pd, ad occupare una carica di qualche rilievo. Inutile girarci attorno. Una carriera così, passando indenne e anzi avanzando in mezzo a tante bufere, significa anche mediazioni di incerto profilo, compromessi non sempre commendevoli, magari pure una certa quantità di pelo sullo stomaco. Mai pensato che fosse una mammoletta, Del Turco, mai creduto che della sua immagine si potesse fare un santino. Nemmeno quando, al congresso di Rimini del Psi, correva l'anno 1987, fu il primo socialista di peso a conquistare i titoli dei giornali denunciando l'esistenza, nel partito, di una questione morale che non era possibile liquidare soltanto come odiosa propaganda nemica. Ma che, con tutta la sua dichiarata e sincera fedeltà di vecchio autonomista a Bettino Craxi, il personaggio fosse diverso, e parecchio, dal cliché a torto o a ragione incollato addosso al socialista cosiddetto rampante dell'età craxiana, questo lo riconoscevano un po' tutti, avversari compresi. Uno così, vero o falso che fosse, ti dava e ha continuato a darti l'impressione di vivere di politica, sì, ma con un reddito non troppo distante dal tuo. Collelongo, per cominciare. Del Turco, buon frequentatore di salotti romani, avrà pure esagerato a rappresentare la sua famiglia come il Quarto Stato di Pellizza da Volpedo, e la sua casa avita come l'incrocio tra una modestissima abitazione familiare, una sezione socialista e una Camera del Lavoro, ma certo il fatto che ci andasse tutte le volte che poteva, e si portasse appresso compagni, amici e giornalisti a mangiare polenta, salsicce e spuntature di maiale, negli Ottanta una qualche impressione la faceva. E poi l'amore per la pittura, le ore trascorse a scegliere vernici e a discutere con il corniciaio. E la passione per il calcio, segnatamente, ahimè, per la Lazio, di cui da qualche parte devo ancora avere un gagliardetto con dedica e autografo donatomi dopo una vittoria laziale in un derby, gol di Di Canio. E l'amicizia con Mogol e il culto per la canzone italiana. E l'orgoglio per essere andato avanti nonostante i suoi studi si fossero interrotti alle scuole medie, perché per campare gli era toccato lavorare già da ragazzo.


Ma soprattutto, si capisce, il sindacato, prima la Fiom, poi la Cgil: la Cgil di Luciano Lama, certo, ma pure di una quantità di dirigenti e militanti (comunisti, socialisti e, come si diceva allora in un linguaggio di derivazione sovietica, «senza partito») di cui Del Turco ti raccontava, e tuttora ti racconta, vita morte e miracoli con affetto intessuto di ironia. Vissero momenti difficili e anche drammatici, Luciano Lama e la Cgil, alla metà degli anni Ottanta, al tempo del decreto del governo Craxi sulla scala mobile e del referendum (fallito) per abrogarlo, stretti com'erano tra il Pci di Enrico Berlinguer, che li chiamava allo scontro frontale, e il Psi dove cresceva la tentazione di abbandonarli al loro destino, per costruire qualcosa di simile a un sindacato socialista. Se nonostante tutto ressero la prova, fu anche perché il segretario generale aggiunto socialista e autonomista che con i comunisti teneva botta, ma temeva la guerra civile a sinistra, non lasciò solo, anzi, il segretario generale comunista e riformista che, unico nel suo partito, aveva salutato come un evento storico il fatto che, a Palazzo Chigi, ci fosse per la prima volta nella storia repubblicana un socialista. Ai funerali di Berlinguer, di fronte a una folla sterminata e a dir poco ostile nei confronti di Craxi e del suo partito, fu Del Turco il solo socialista a parlare. Ascoltato con attenzione e rispetto. E anche applaudito. Naturalmente è difficile spiegare a chi non c'era che cosa c'entrino, tutti questi ieri, con lo scandalo della sanità abruzzese e l'arresto del presidente della Regione. Magari nulla, perché ogni stagione della vita, di quella politica come di quella personale, fa storia a sé. E però ieri mattina sono tornati, alla rinfusa, alla memoria non soltanto di chi scrive, ma di un sacco di gente. Lasciandola amaramente stupita, o per meglio dire incredula, di fronte a quello che stava capitando.

Paolo Franchi
15 luglio 2008

da corriere.it
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« Risposta #2 inserito:: Luglio 16, 2008, 10:21:44 am »

CRONACA

L'ordinanza della procura: ecco i movimenti di denaro sospetti

Mazzette da 10 a 750 mila euro. La "sospetta" operazione del 17 marzo

"Case e soldi alla compagna così il presidente riciclò tangenti"

di CARLO BONINI GIUSEPPE CAPORALE

 

PESCARA - Racconta il Grande Elemosiniere Vincenzo Angelini che furono diciannove le volte in cui si chinò "a baciare la pantofola" del Presidente Ottaviano Del Turco. Che per diciannove volte, pacchetti da 100 a 750 mila euro, passarono dalle sue mani allo scaffale di una libreria, al tavolo di una pasticceria, al ripostiglio di una cucina. Sei milioni di euro, si è detto. Ma in una Cabala dove ora anche i numeri acquistano una loro forza suggestiva, dove sono finiti questi denari? Detta altrimenti: quali i riscontri? E le fonti di prova?

I bonifici per le case di famiglia
Scrive il gip Michela Di Fine (pagina 317 dell'ordinanza): "Le indagini non hanno sin qui evidenziato situazioni atte a riscontrare incassi diretti di denaro contante in conseguenza delle dazioni effettuate da Angelini. Ma tale circostanza non è assolutamente idonea a inficiare l'ipotesi accusatoria. Apparendo evidente come la prova della destinazione delle somme di persone operanti nel settore istituzionale non è agevole, potendo esse contare su rapporti personali che certamente consentono la gestione del denaro anche per interposta persona". Dunque? Davvero c'è il nulla? In realtà qualcosa c'è, annota il gip. "Operazioni di acquisto immobiliari non del tutto trasparenti".

"Il 17 marzo 2006, in coincidenza con la prima dazione di denaro da parte di Angelini, l'indagato Del Turco Ottaviano operava una sospetta operazione di giroconto dell'importo di 269 mila 498,89 euro presso la Banca Toscana di Collelongo in favore della convivente Davanzo Marie Christine. A fronte di tale operazione, la Davanzo acquistava cinque assegni circolari da euro 50 mila cadauno, verosimilmente utilizzati per l'acquisto, con rogito del 21 marzo 2006, di un immobile in Roma di ex proprietà dell'Inps sito in via Crescenzio al costo di 259 mila 800 euro". Ancora: "Del Turco Ottaviano effettuava sistematici bonifici a favore della Davanzo per un importo complessivo calcolato in euro 576 mila 498,89", mentre, "con rogito del 25 gennaio 2007, lo stesso Del Turco Ottaviano effettuava a nome del figlio Guido un acquisto immobiliare per l'importo complessivo di 453 mila euro". "Un'operazione alquanto strana - scrive il magistrato - perché nella circostanza Guido Del Turco risultava coaffittuario dell'appartamento acquistato a Roma dal padre unitamente a Pignatelli Maria Jasmine, legata sentimentalmente all'indagato Lamberto Quarta (capo della segreteria del Governatore ed ex segretario regionale dello Sdi ndr.)". Senza contare - conclude l'ordinanza sul punto - un'ulteriore ""misteriosa" e prestigiosa abitazione acquistata in Roma cui faceva riferimento non solo Angelini, ma anche il contenuto di qualche conversazione telefonica intercettata dello stesso Del Turco".

L'acquisto di 3 case a Roma e bonifici per oltre mezzo milione di euro a favore della propria convivente, sono un indizio sufficiente? Il gip Di Fine, e con lei la Procura, ne sembrano convinti. Esattamente come della genuinità della confessione che, il 12 aprile, il Grande Elemosiniere comincia a verbalizzare.

"Sono un pollo lento a capire"
Vincenzo Angelini dice di se stesso: "Sono un pollo lento a capire, ma ad un certo punto mi sono rotto. Perché mi sono accorto che questa Giunta mi ha ucciso più di tutti in trent'anni. Loro erano i primi nemici". Loro, sono Ottaviano Del Turco, Lamberto Quarta, il suo uomo più fedele, Camillo Cesarone, il capogruppo del Pd in consiglio e Giancarlo Masciarelli, ex presidente della Fira, uomo di Forza Italia che lui chiama "il conte di Cavour", l'architetto del "Sistema" nato con la giunta di centro-destra e cooptato da quella di centro-sinistra. Di questa "associazione per delinquere" - scrive il gip - Angelini diventa la vacca da mungere. "Gli viene imposto di tutto". Anche "rapporti privilegiati con Deutsche Bank", con cui "è costretto a scontare i crediti vantati con la Regione" (risulta indagato "un funzionario" della stessa Deutsche "in via di identificazione"). Per carità, l'uomo non è nuovo a dare. Perché ha già dato con il centro-destra. Per dire: "Giovanni Pace (ex presidente di An della giunta ndr.) mi chiese 200 mila euro che io diedi a Masciarelli. Mi ruppero i coglioni per tutto il 2005". E ancora: "L'onorevole Sabatino Aracu voleva 2 milioni di euro per un appartamento alla figlia o al figlio. E io gli dissi: "Vattene a fare in culo tu e chi ti ci ha messo"".

Con l'arrivo del centro-sinistra, è diverso. Si può mandare affanculo chi non c'è più, non chi lo ha sostituito: "Cesarone mi disse che per loro era molto difficile potermi difendere, perché presentavo un sacco di problemi, braccato come ero da Procura, Finanza, Nas e quant'altro. Che anche il resto della politica voleva "rompermi le gambe" (...) Finché Cesarone mi disse che era inutile che andassi da Del Turco a parlare soltanto. Che Del Turco si era incazzato e che in cambio di protezione volevano somme di denaro".

La musica della politica e le 19 volte
In principio, fu nel marzo del 2006, a Collelongo. 200 mila euro. "Cesarone mi disse. Vai a trovare Ottaviano e fai un po' tu: 100, 200. Lui prese i soldi senza fare domande e li mise nello scaffale della libreria". Quindi, il 3 maggio 2006. "100 mila. A Collelongo, o forse nella sede della Regione all'Aquila o a Pescara". Tre settimane dopo, il 31 maggio, "150 mila euro a Cesarone. A casa sua, o forse a "Villa Pini"". A metà ottobre, ancora nella libreria a Collelongo. "100 mila euro". Questa volta Angelini fa qualche domanda. E Del Turco, almeno così racconta, lo liquida: "Io non mi voglio sforzare a parlare di sanità, perché io amo la musica della politica. Per cui dimmi quale è il problema e poi magari parla con Quarta". Il 16 novembre 2006, "altri 100 mila a Collelongo", quindi due mesi di tregua. Il 16 gennaio 2007, "Chiama Cesarone e mi dice: "Ottaviano è incazzato perché non ti sei fatto più vivo. E la passeggiata mi costò altri 100 mila". Il 23 maggio, ancora Cesarone. Questa volta, dice Angelini, ha un tono tra il mellifluo e il minaccioso: "Decidi tu che fare, perché io ho a chi chiederli". Fanno "220 mila consegnati nella sede della giunta a Pescara". Otto giorni dopo, il 31 maggio, "altri 200 mila a Collelongo. Cesarone mi aveva detto: "Mò ci stanno le vacanze, Ottaviano c'ha la corrente". Insomma Un bacio di pantofole in piena regola". Non passa indenne neppure giugno. "100 mila a Cesarone, a Chieti, e 500 mila a Del Turco, non ricordo se a Collelongo o a Pescara". Il 4 luglio, "250 mila a Del Turco e, alla fine del mese, il 26, "750 mila a Cesarone, a casa sua a Francavilla". I pagamenti si interrompono solo ad agosto. "Il 10 settembre, 100 mila a Cesarone" e il 20 di quel mese, "con la solita procedura, 200 mila a Del Turco, presi dalla mia cassaforte". Il 9 ottobre, "100 mila a Francavilla, a casa di Cesarone" e il 24, "100 mila a Quarta, nella saletta della pasticceria Veronese a Chieti scalo". Il 2 novembre, i 200 mila di Collelongo (la consegna delle mele in cambio del contante) viene fotografata, ma non sarà l'ultima. "Il 9 novembre consegnai 300 mila a Cesarone e, il 27, 200 mila a Del Turco, a Collelongo".

Questa volta, non più sulla libreria. "Eravamo in cucina e chiesi a Del Turco: "Dove li metto? E lui mi disse: "Fai un po' tu. Mettili lì dentro". E così li infilai in un ripostiglio che c'ha sotto una specie di scala circolare". "C'erano altre persone?", chiede il pm? "No. Qualche volta è venuta la moglie, la titolare del ristorante di Roma "Il Bolognese", dove personalmente ho sempre mangiato pesante e anche pagato caro. Ma prima che mi costasse questo...".

(16 luglio 2008)

da repubblica.it
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« Risposta #3 inserito:: Luglio 16, 2008, 10:29:34 am »

TANGENTI, L'ORDINANZA

«Del Turco, tangenti più care per fargli comprare la casa a Roma»

Ecco tutte le accuse di pm e gip. Il pentito: dicevano paga così andiamo in ferie


DAI NOSTRI INVIATI


PESCARA — Il re delle cliniche Vincenzo Angelini, la gola profonda che ha azzerato la giunta Del Turco in Abruzzo, è il protagonista assoluto dell'ordinanza di 442 pagine del giudice Maria Michela Di Fine. L'imprenditore in numerosi interrogatori parla dei politici di destra e di sinistra definendoli dei «roditori». Sì, dei topi famelici che sono saliti sulla sua imbarcazione per dare fastidio a lui che è un «magnifico nocchiero».

Loro, i politici, hanno fretta di incassare: «Vai a parlare con Ottaviano, ci stanno le vacanze, la corrente» gli dice il capogruppo del Pd Camillo Cesarone. Ma anche Angelini pretendeva sempre di più: «Hanno fatto una delibera che, perdoni l'espressione volgare signor giudice, è messa su misura per il mio sedere».


A cena dal Bolognese

Angelini non si ferma mai con le sue richieste al palazzo: «Ma se il problema è che avete sbagliato a emettere le patologie, le patologie vanno cambiate». Il re delle cliniche arriva persino a lamentarsi del trattamento ricevuto in un noto ristorante di Roma frequentato da molti politici. Angelini spiega al pm Di Florio come e dove sarebbe avvenuto il pagamento delle tangenti a Del Turco, ovvero nella casa di Collelongo, «in una specie di ripostiglio che lui c'ha sotto la scala, una specie di scala circolare». Entrava con il sacchetto pieno di soldi e usciva, pare, con lo stesso sacchetto pieno di mele per non destare sospetti. Il pm Bellelli: «C'erano altre persone?». Angelini: «No, qualche volta è venuta la moglie Cristina, la quale però, poveretta, ha salutato e se ne è andata». Pm: «La titolare del ristorante di Roma?». Angelini: «Esatto». Pm: «Il Bolognese?». Angelini: «Della famiglia Bolognese, sì, sì. Al Bolognese, dove ho sempre mangiato pesante, quando ci andavo io pagavo io, e che scherzi?». Il presidente della giunta regionale è il principale obiettivo del pentito Angelini. Tant'è che il giudice, con linguaggio perentorio, traccia del governatore un «profilo delinquenziale non comune che lascia ritenere pressoché certa, indipendentemente da dimissioni da incarichi pubblici, la reiterazione dei medesimi reati per i quali si procede ». E anche Angelini non ha una grande considerazione morale di Del Turco, che viene addirittura paragonato al capo di Cosa nostra: «Neanche Totò Riina sarebbe arrivato a queste raffinatezze». Angelini davanti al pm Di Florio spiega anche che Del Turco avrebbe utilizzato quei soldi anche per fini politici: «E qui lui mi suona la musica che sta costituendo una corrente, la controcorrente, che ci sono otto senatori che lui deve, come dire, tenere buoni per sé rispetto a Boselli».


Le pressioni bipartisan

L'imprenditore Angelini racconta le pressioni crescenti dell'entourage di Del Turco, esplose dopo le elezioni vinte dal centrosinistra, ma anche le insistenze degli uomini della vecchia giunta di centrodestra. I fedelissimi del governatore Giovanni Pace (Forza Italia), Giancarlo Masciarelli e Sabatino Aracu dicevano all'imprenditore: «Noi ti abbiamo dato quello che hai chiesto per la tua prima cartolarizzazione e adesso ci devi... Guarda che noi per te possiamo fare tanto e tu devi stare attento...». A parlare è Giancarlo Masciarelli — uomo di confine tra le due coalizioni, già presidente della Fira col centrodestra e poi anche consulente ombra di Del Turco con la nuova giunta — il cui linguaggio, tuttavia, assomiglia molto a quello usato da Camillo Cesarone. Lui, ex sindacalista della Cgil, capo del personale delle cliniche Angelini, si butta in politica e si rivolge così al suo ex datore di lavoro: «La loro organizzazione (i partiti di centrosinistra, ndr) sono arrivati al potere però fanno politica e quindi hanno dei costi rilevanti... ». Chiosa dunque il gip nell'ordinanza: «Accettavano dunque e ricevevano (materialmente il Del Turco la somma di 200 mila euro consegnati dal suddetto Angelini)».

Le minacce

E quando Angelini scalpitava, rifiutava di pagare tutte le somme richieste, arrivavano le minacce più o meno velate. Questo, va sempre ricordato, lo racconta lo stesso imprenditore, la cui collaborazione andrà valutata col bilancino: «Cesarone mi diceva che per loro era molto difficile difendermi perché presentavo un sacco di problemi braccato come ero da Procura, Finanza, Nas e quant'altro. Mi diceva che solo loro mi potevano aiutare perché anche il resto della politica era contro di me e mi volevano rompere le gambe». E il capogruppo del Pd insisteva: «Devi parlare con Del Turco, portagli 100 mila euro». Spiega il gip: «Costringevano a consegnare la somma» e Del Turco, secondo il racconto di Angelici, commentava: «Sì, sì, va bene, non ti preoccupare, ma sai, io non mi voglio sforzare di parlare di sanità perché io amo la musica della politica, per cui dimmi qual è il problema e rivolgiti a Quarta». Cesarone non si accontenta mai. Intima ad Angelini di «consegnare mezzo milione a Del Turco: o paghi o non riusciamo a contenere le ispezioni (si riferisce alle case di cura del suo gruppo, ndr) ». Il capogruppo del Pd sente puzza di bruciato e dice ad Angelini: «Tu devi andare da Del Turco perché la situazione si sta aggravando, tu hai i telefoni sotto controllo». Angelini deve fronteggiare anche il manager Asl Luigi Conga che gli dice: «Io sono direttore generale e devo prendere le decisioni: o mi dai 100 mila euro al mese oppure non prendi più una lira. O paghi oppure i tuoi soldi li vedrai tra 10 anni, divertiti a farmi causa».

La casa di Roma

Nel dicembre del 2007 proseguono, a detta del gip, le richieste di denaro ad Angelini: «Accompagnate da riferimenti alle sempre maggiori difficoltà ad aiutare le sue cliniche nonché in relazione alle esigenze personali di Del Turco, impegnato economicamente nell'acquisto di una casa a Roma e per questo vengono incrementati in maniera decisiva gli importi. Angelini consegnava a Del Turco 250 mila euro e 750 mila a Cesarone». Stavolta l'imprenditore avrebbe fatto resistenza e si concede anche un commento velenoso sul modo di procedere del presidente, il quale dice: «Guarda che io la posso chiedere a qualcun altro la casa, se non me la vuoi dare tu. Però, poi, finisce un'amicizia ». Commento dell'imprenditore: «Nemmeno Totò Riina arriva a queste raffinatezze... ».

L'autoscatto con l'autista

Il 2 novembre 2007, Angelini inizia a prendere le sue contromisure per documentare la consegna delle mazzette. Scrive ancora il gip: «Angelini allega al verbale le fascette bancarie delle quattro mazzette da 50 mila euro ciascuna consegnate nella casa di Del Turco a Collelongo: "Io sottoscritto Sciarelli Dario (l'autista dell'imprenditore, ndr), insieme al dottor Angelini, mi sono recato presso l'abitazione dell'onorevole Del Turco in Collelongo ove giunti verso le 17 ho fotografato il dottor Angelini, come da foto allegate e controfirmate, prima dentro l'auto, mentre aveva in mano la busta contenente le mazzette di denaro, poi nel tragitto tra l'auto e l'abitazione di Del Turco e infine quando ne è uscito senza la busta. Al suo rientro in auto mi ha mostrato le fascette bancarie delle 4 mazzette che aveva provveduto a portare indietro"». Finito di leggere il documento, Angelini non rinuncia alla battuta commentando la foto: «Questo sono io che sembro un...». «Baldanzoso?», incalza il pm Di Florio. E lui aggiunge: «Un ciuccio di fiera di quelli da processione».

Deutsche Bank

La gola profonda Angelini, grande movimentatore di denaro ed esperto di flussi finanziari, dà una valutazione sulla politica della giunta abruzzese in materia economica. Chiede il pm De Florio: «Lei ha potuto capire quale era la ragione per cui Quarta e Del Turco spingevano verso Deutsche Bank? Glielo hanno mai detto?». Risposta: «No, quello che ho constatato di persona è che c'è stato un astio nei confronti di Barklays... Del Turco addirittura mi ha detto "Barklays sono una massa di delinquenti"».

La riunione

Il gip registra in modo notarile l'intervento di Del Turco presso un notissimo imprenditore a proposito della cessione dell'azienda di Angelini. Tentativo inutile: «Significativa in tal senso era la riunione organizzata a Roma il 13 marzo 2008 nell'abitazione di De Benedetti, presente anche Del Turco (riunione riscontrata da apposita attività di polizia), avente ad oggetto proprio la cessione di Villa Pini».

La confessione laica

Quando alla Regione capiscono che in Procura qualcosa di molto serio si sta muovendo, Del Turco contatta il procuratore generale dell'Aquila per chiedergli un incontro. Un amico comune, Pino Mauro, invia alle 7.40 del mattino del 4 aprile scorso un sms a Del Turco: «Presidente, ho parlato con il procuratore Amicarelli per incontro... ». La risposta arriva 12 minuti dopo: «Caro Pino, ovviamente dove e quando preferisce il procuratore». Il pg dell'Aquila si consiglia col procuratore capo di Pescara, Nicola Trifuoggi, e decide di andare nella casa del comune amico il 9 aprile alle ore 17. Alle 19.05, a incontro terminato, il pg chiama il collega a Pescara e gli annuncia una relazione per la mattina seguente: Del Turco «mi ha detto di aver voluto manifestare il suo attuale stato d'animo in una sorta di confessione laica. La sua richiesta di incontrarmi era per dolersi di quanto gli stava accadendo. Si diceva vittima del risentimento di titolari di cliniche per il suo piano di ridurre del 30 per cento le tariffe riconosciute ai privati...». Per il gip, questo era un «tentativo evidentemente volto a inquinare l'attività investigativa» e «screditare un'indagine in corso, evidentemente nella speranza di conseguenze a sé favorevoli»

Alessandra Arachi
Dino Martirano
16 luglio 2008

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