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Autore Discussione: In una situazione disordinata si cercano nuovi strumenti di analisi  (Letto 3563 volte)
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« inserito:: Giugno 08, 2007, 05:23:53 pm »

31/5/2007 (8:18) - INTERVENTO

Sociologia per un mondo confuso

In una situazione disordinata si cercano nuovi strumenti di analisi

ARNALDO BAGNASCO

Pubblichiamo un brano dal volume di Arnaldo Bagnasco Prima lezione di sociologia in uscita da Laterza (pp. 206, euro 10). Bagnasco partecipa domani alle 15 al Festival dell’Economia di Trento a un dibattito con Roberto Cartocci, autore di Mappe del tesoro. Atlante del capitale sociale in Italia edito dal Mulino (pp. 168, euro 12,50)

Le teorie sociologiche sono astratte, a loro modo lontane dallo spazio e dal tempo. Si misurano direttamente con il concreto al momento della ricerca empirica, in situazioni specifiche, quando provano a descrivere, spiegare, interpretare un caso, una tendenza. Sono astratti anche modi generali di individuare i caratteri salienti di un tipo di società: la società moderna, industriale, capitalistica, e così via. I sociologi tornano poi al concreto pensando che di società moderne, industriali o di altro tipo, ne esistono diversi esemplari: la società francese, italiana, giapponese. La società, non solo una società, finisce dunque spesso per essere pensata dai sociologi, in astratto e in concreto, con i confini di uno Stato nazionale.

Questo modo di pensare non è esente da problemi, per diverse ragioni, ma più o meno consapevolmente rispecchia un dato di fatto: la grande importanza che lo Stato nazionale ha avuto per l’organizzazione sociale delle società studiate dai sociologi; la politica non è una specie di determinante in ultima istanza dei fenomeni sociali, ma la sua funzione è comunque quella di organizzare una società nel suo insieme. Un modello astratto di società può immaginarla costituita da una economia, una cultura e un sistema politico-amministrativo relativamente compatibili fra loro; organizzare tali congruenze in uno spazio fisico è stato il progetto storico dello Stato nazionale, un’invenzione dell’Europa che ha richiesto molti secoli per definirsi nei suoi caratteri, tra possibilità diverse.

Anche la sociologia si trova oggi a dover fare i conti con il processo che ci siamo abituati a chiamare «globalizzazione». Il termine non è chiaro e spesso esagera tendenze in atto, o considera come del tutto nuovi fenomeni che non lo sono; è però vero che il tessuto delle relazioni sociali ne comprende sempre di più a grande distanza: questa potrebbe essere una definizione generale e non eccessiva di globalizzazione, utile per i sociologi. Giddens usa il termine disembedding per intendere appunto che le relazioni sociali tendono sempre più a slegarsi da contesti locali e ad allacciarsi a distanza; la società risulta così distesa o stirata (stretched) su tutto il mondo. Il processo è particolarmente evidente per le relazioni economiche, ma qualcosa di simile avviene anche per la cultura: con le tecnologie a disposizione, conoscenze e significati circolano rapidamente su reti a grandi distanze. Quanto alla politica, non va sottovalutata l’azione di numerose istituzioni transnazionali, che stabiliscono regole e programmi di organizzazione allargata; sono però anche evidenti le loro difficoltà e se la guerra, come diceva nell’Ottocento lo stratega von Clausewitz, è il proseguimento della politica con altri mezzi, terrorismo e conflitti in diverse parti del mondo appaiono oggi una politica globale degradata, che occupa il vuoto della politica in senso proprio, in difficoltà nel trovare forme di organizzazione riferite agli spazi dei processi sociali contemporanei.

La globalizzazione comporta che importanti modifiche dell’organizzazione sociale assumono la forma di cambiamenti del rapporto con o della distribuzione nello spazio dei fenomeni sociali. La società stirata nello spazio, in uno spazio potenzialmente globale, fa emergere la necessità di pensare «una sociologia per un solo mondo», ma questo pone problemi non da poco, e non è neppure chiaro cosa possa significare. Fino a ieri il progetto dello Stato nazionale ha funzionato: con relativo successo era in grado di tenere in forma, per così dire di «far quadrare», una società, fornendo un contesto istituzionale per l’integrazione delle sue parti, cooperativa o conflittuale che fosse. Organizzata dalla politica, la società prendeva consistenza e il progetto della sociologia come scienza generale della società, in cerca di connessioni fra i diversi aspetti del sociale, era facilitato e poteva essere praticato, appunto, in un quadro nazionale. Lo Stato nazionale forniva all’analisi una società tutta intera, nella quale economia, politica, cultura erano sullo stesso asse, con lo stesso raggio di organizzazione.

Una società distesa e allargata nello spazio appare carente di principi di organizzazione: la politica continua a essere fortemente centrata sullo Stato, mentre le relazioni economiche, culturali, sociali si allacciano sempre più a distanza. La prima constatazione di una sociologia per un solo mondo è dunque che si tratta di un mondo sociale confuso, disordinato e poco ordinabile: come è possibile la sociologia della società «fuori squadra»? I fenomeni di stretching, nelle forme che possiamo osservare, appartengono a una fase di transizione, una fase di disorganizzazione sociale, o preannunciano forme nuove, più fluide e difficili da immaginare di organizzazione sociale? Con quali conseguenze o implicazioni sull’interazione sociale, le persone, i modi di vita?

da lastampa.it
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