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« inserito:: Luglio 15, 2007, 09:29:31 am » |
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Oggi i Genesis si vedono al Circo Roberto Brunelli
Ma guarda, i Genesis: curioso esempio della mutazione genetica del rock. Phil Collins con l’aria da impiegato delle poste, Mike Rutherford che sembra lo zio simpatico un po’ accartocciato dai trascorsi hippy, Tony Banks l’ex insegnante di scienze naturali. Stasera i tre (con il fido apporto di Chester Thompson alla batteria e Daryl Stuermer alla chitarra e al basso) conquisteranno, così si prevede, il Circo Massimo di Roma per la loro unica e attesissima data italiana, quella epica del Telecomcerto, quel super-appuntamento gratuito entrato nelle viscere dell’Estate romana e che gli anni scorsi aveva portato davanti al Colosseo gente come Paul McCartney, Simon & Garfunkel, Elton John, Billy Joel e Bryan Adams.
Ad accoglierli, calcolano quelli di Telecom, almeno mezzo milione di persone: e ognuna di queste arriverà con un sogno diverso nel cuore, ognuno con la speranza segreta di ritrovare un pezzo della propria storia. Per qualcuno è la lunga carezza di The Cinema Show, per altri la realtà parallela di Supper’s ready, per altri liberatoria levità di una canzoncina estiva, fatta di plastici sintetizzatori e batteria effettata, come Invisible Touch. E certo, ci saranno anche quelli - e non saranno pochi - che continuano a sperare fino all’ultimo momento nel «miracolo»: e cioé che sul palco compaia, come un’epifania, il vecchio Peter Gabriel, che lasciò i Genesis nel lontano 1975 stanco della loro fama e di troppe certezze, per battere vie più impervie e forse, a quel punto, più avventurose.
Loro, che ieri si sono palesati brevemente dinnanzi ai giornalisti in una conferenza stampa convocata all’Hotel de Russie, hanno fatto chiaramente capire che non è più tempo di miracoli. Sono tre simpaticoni, Phil, Tony e Mike, i primi due in maglietta e il terzo in maniche di camicia. Battute - in un linguaggio che a noi ignoranti pare oxfordiano stretto - come «Roma è una città meravigliosa, ci piace tanto andare a zonzo per le sue vie», e poco più: l’unica, remota, possibilità, dice Rutherford, di vederli su uno stesso palco con Peter Gabriel e magari pure con l’altro «ex», il virtuoso chitarrista Steve Hackett, è uno show per celebrare i 30 anni (che sono già passati da un pezzo, ma tant’è) di The Lamb lies down on Broadway, loro visionario capolavoro del 1974, ma al massimo se ne parla nel 2009.
Per il resto, la questione Gabriel provoca ai tre un pochino di stizza e nell’uditorio un brivido. Una brava collega chiede se non vi sia una contraddizione nel fatto che vi siano ben cinquantaquattro «tribute band» (di cui quattordici italiane) che suonano tutto il materiale vecchio dei Genesis mentre loro, i veri Genesis, sono ormai approdati a ben altri lidi. Phil fa lo spiritoso: «Cinquantaquattro tribute band? Beh, anche loro devono campare... comunque mi colpisce che tanta gente sia rimasta ferma al ‘74 (anno dell’abbandono di Gabriel, ndr), mentre noi dobbiamo andare oltre, siamo dei songwriter che non si possono fermare».
Per «andare oltre», per mettere insieme questo abnorme tour della reunion dopo 15 anni, i tre si sono dotati di un palco-monstre di 64 metri per 28, una serie di video sui bei tempi andati che scorrono sui megaschermi, più varie altre bizzarrie pirotecniche che loro stessi definiscono «imponenti». La scaletta, come hanno fatto capire ieri i tre signori inglesi di stanza al de Russie, è quella rodatissima eseguita da Helsinki, prima tappa europea, ad oggi (ultima data prima di varcare l’oceano): molta roba anni ottanta, da Turn it on again a Mama, un cuore centrale e un finale anni settanta, più i supersuccessi tipo I can’t dance degli anni Novanta.
Perché, in effetti, i Genesis 2007 sono un’araba fenice con tre teste: quella epica dei primi anni, con Gabriel a fare da mastro incantatore, quella di un prog-rock levigato ed esaltante ma di anno in anno sempre più in cerca di identità, e quella traghettata da Phil Collins nell’Eden dei guadagni multimiliardari innaffiati da un pop di lusso lucente come una macchina nuova. E come le loro anime, anche il concerto di stasera (salvo sorprese o «miracoli») sarà spezzato in tre: buona parte è quel pop luccicante là, poi le grandi cavalcate strumentali alla Los Endos con assoli infiniti e batterie tonanti che corrono su e giù... ma il cuore pulsante rimangono i pezzi vecchi, i pezzi «gabrielliani» come I know what I like e il bis di The Carpet Crawlers.
Sono questi i Genesis che l’Italia ha amato di più. Per esempio quando in Inghilterra, tra il ‘71 e il ‘73, erano al massimo una curiosità, da noi erano già delle stelle del firmamento più luminoso. Perché ti portavano per mano dentro paesaggi sonori e narrativi che sembravano inediti, forse magici. Erano i tempi di album come Nursery Cryme e di Foxtrot, erano i tempi delle copertine magiche dei loro ellepì, erano i tempi in cui Gabriel si vestiva da volpe o da fiore gigante o da alieno, erano i tempi in cui la musica ti accompagnava a lungo, ti parlava, certe volte con qualche esagerazione, ma ti parlava. È anche per questo che per il mezzo milione (o quel che sia) del Circo Massimo quello di stasera è una specie di appuntamento d’amore: l’appuntamento con un’ex amante, una che hai amato davvero, e che oggi è diventata un’elegante signora dei quartieri bene assai ben incipriata.
Pubblicato il: 14.07.07 Modificato il: 14.07.07 alle ore 12.57 © l'Unità.
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