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Autore Discussione: Fisco online il diritto e l'abuso  (Letto 2434 volte)
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« inserito:: Maggio 05, 2008, 10:55:21 pm »

5/5/2008
 
Fisco online il diritto e l'abuso
 
MICHELE AINIS

 
Per gli italiani l’Agenzia delle entrate è un ente metafisico, situato in ogni luogo e in nessun luogo. Una divinità implacabile come il bastone di Vishnu, l’«onnipervadente».

Oggi però il dio del fisco si trasforma in imputato: dovrà spiegare a due diversi giudici - il procuratore Ionta e il garante Pizzetti - perché diavolo i nostri redditi siano finiti in rete, chi l’ha deciso, in base a quale norma. Sicché a breve conosceremo la faccia del colpevole. O forse no, non la conosceremo. È già tanto se sapremo se c’è colpa, se c’è stato reato. Dopotutto alle nostre latitudini la verità giuridica indossa quasi sempre i panni del fantasma, è un’entità invisibile a sua volta.

Nel frattempo ciascuno addenta le proprie verità particolari. Il Codacons denuncia Visco in 104 Procure, altre associazioni dei consumatori ne tessono le lodi. Visco dal canto suo si tira fuori, ma approva la trovata dell’Agenzia, perché il diritto in questo caso parla chiaro. In realtà il diritto è oscuro: prescrive che gli elenchi dei contribuenti siano pubblici, aggiunge che chiunque può ottenerne copia presso gli uffici del Comune, tace però sulla pubblicità via Internet, sia pur disciplinandola attraverso il Codice dell’amministrazione digitale.

Norme ambigue e sanzioni inapplicabili
In compenso sono chiare le sanzioni, gli strumenti di contrasto e di controllo, a partire dal blocco dei dati ordinato dopo poche ore dal Garante. Peccato tuttavia che in quelle poche ore i dati in rete siano diventati eterni, con i «peer to peer». Sicché per i cittadini al danno può adesso aggiungersi la beffa: rischia la galera chi getta l’occhio sul 740 del vicino per farne un «uso improprio». Già, ma in quali casi l’informazione tributaria si presta a scopi impropri? Vattelapesca.
In questo impasto di norme ambigue e di sanzioni inapplicabili c’è tutto il nostro orizzonte collettivo, c’è la deriva italiana di cui raccontano Rizzo e Stella nel loro ultimo volume. C’è una società dove la legge non è più regola bensì alibi, pretesto, scappatoia. Dove ogni misfatto avviene sempre in nome del diritto, sia pur mettendo in scena una caricatura del diritto. Dove perciò ciascuno fa come gli pare, tanto troverà sempre un ombrello normativo cui aggrapparsi. Tuttavia questo procedere dentro e contro la legge, rispettandola e violandola al contempo, corrisponde a una figura che i giuristi conoscono assai bene: l’abuso del diritto. E l’abuso non potrà mai dirsi lecito, benché in Italia manchi una norma che espressamente lo castighi, come c’è in Germania o in Svizzera.

Serve una stagione di rigore
Come si verifica l’abuso? Movendo da un principio giusto (per esempio la trasparenza dell’obbligo fiscale), ma stirandolo come un elastico fino a trarne effetti ingiusti (per esempio la gogna fiscale). Ecco, la malattia italiana nasce quasi sempre da un abuso. Così, lo sciopero è un diritto, tuttavia per esercitarlo i taxi non possono bloccare il centro cittadino. Così, l’insindacabilità dei parlamentari ne protegge l’indipendenza dagli altri poteri dello Stato, nonché la libertà; però non può proteggere la libertà d’insulto, né assicurare l’impunità per truffe o assegni a vuoto, come in passato è accaduto molte volte. In caso contrario il diritto si trasforma in torto, perché nega se stesso, le proprie specifiche ragioni.
È insomma una questione di misura: posso prendere un paio di sassolini sulla spiaggia a mo’ di souvenir, non posso spalarne via qualche quintale caricandolo su un camion. C’era senso della misura nella diffusione on-line dei nostri redditi? No, c’era piuttosto un gesto smisurato. Per evitare che il cattivo esempio si ripeta, per salvare il diritto dall’abuso, c’è allora una sola terapia: aprire una stagione di rigore.

micheleainis@tin.it
 
da lastampa.it
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