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Autore Discussione: Zona verde, acqua nera  (Letto 2684 volte)
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« inserito:: Agosto 13, 2008, 09:47:12 pm »

Zona verde, acqua nera


di Claudio Pappaianni e Paolo Tessadri



Coliformi fecali in un terzo dei rubinetti delle case campane. Idrocarburi in quelli di Vicenza. E nelle basi Usa scattano i divieti  Dovrebbe essere acqua da bere ma dai rubinetti sgorgano coliformi fecali. È l'ultima emergenza campana, anche se nessuno ne vuol sentir parlare. Nemmeno il comando americano che pure da sei mesi ha commissionato analisi sui rischi per la salute dei propri militari che vivono tra Napoli e Caserta. L'imperativo resta: nessun allarmismo.

Ma i primi risultati ufficiali sono inquietanti: nel 30 per cento dei casi analizzati, si registra un'elevata eccedenza di contaminazione batteriologica. Valori di coliformi totali anche 50 volte superiori la norma e la presenza massiccia di coliformi fecali. Si tratta di batteri presenti nelle feci animali e umane: è come dire che dal rubinetto di casa scorre acqua di fogna. A scoprirli sono stati i test ordinati dalle Forze armate statunitensi, sempre e solo loro, che già un mese fa avevano riscontrato in sette case abitate da loro connazionali presenze 'inaccettabili' di sostanze chimiche nell'acqua da rubinetto potenzialmente cancerogene come la diossina.

Allarme in caserma
Ma la scorsa settimana, nella guerra dell'ambiente che i generali americani stanno combattendo in Italia per tutelare la salute dei loro militari (ed evitare richieste di risarcimenti record), si è aperto un secondo fronte. Nella contestatissima base di Vicenza gli esami hanno rilevato quantità anomale di idrocarburi. È scattato subito il divieto di bere e di cucinare con quell'acqua, disponendo la distribuzione gratuita di bottiglie di minerale per tutti i 1.200 soldati.

Ma quale emergenza
Napoli, Caserta, Vicenza: rubinetti avvelenati per i marines e i parà a stelle e strisce ma ottimi per gli italiani. Possibile che solo la loro acqua sia sporca e contaminata? O che i loro laboratori siano meno capaci di nostri? Nella città veneta i tecnici della municipalizzata e quelli centro idrico di Novaledo negano emergenze e puntano il dito sui pozzi che alimentano parte della base statunitense. Ricordano poi la grande falla nell'oleodotto Nato che a marzo provocò una perdita di kerosene nel terreno alle porte dell'installazione militare: ma all'epoca era stata esclusa la contaminazione dell'acqua cittadina. Potrebbe quindi trattarsi, secondo loro, di un problema di manutenzione di depositi e condotte della caserma Ederle, base dei parà della 173ma brigata appena rientrati dall'Afghanistan, che hanno subìto lavori proprio nelle scorse settimane. Ma i tubi della base sono connessi a quelli della città: anche un problema interno al fortino può allargarsi a tutto il comune.

Solo minerale
Ancora più difficile circoscrivere il problema campano. Anche perché gli esami fanno parte di una grande campagna sull'inquinamento di aria, terra e, appunto, acqua nella zona compresa tra Napoli e Caserta dove vivono circa 10 mila tra militari e civili statunitensi. Dal comando della Sesta Flotta, dopo i primi imbarazzati silenzi e le stizzite repliche alle indiscrezioni, trapelate sulla rivista 'Star & Stripes', ora arrivano conferme. Segno che il dato è più preoccupante di quanto si potesse immaginare e ci sia poco da nascondere.
 
Le analisi batteriologiche, condotte tra lo US Naval Hospital di Napoli e i centri specializzati in Virginia, parlano di contaminazione delle acque in 48 dei primi 160 appartamenti monitorati. Può essere anche in questo caso un problema di pozzi e cisterne, ma difficile pensare che i batteri preferiscano gli americani ai napoletani. E a preoccupare di più, ora, sembrano essere i dati delle analisi chimiche commissionate a un laboratorio in Germania.

Dovrebbero essere pronti per ottobre, ma le premesse non fanno ben sperare. E per il personale l'invito è perentorio: fuori dalle basi, usare bottiglie di acqua minerale per cucinare, bere e lavarsi i denti. Perché solo dentro il muro di cinta della 'zona verde', che ricalca il nome dell'area sicura di Baghdad, è tutto sotto controllo - acqua, aria, terra - altrove no.

Allacci abusivi
I 48 'casi' riscontrati dallo studio americano riguardano una decina di comuni, perlopiù casertani: Caserta, Casal di Principe, Casapesenna, Gricignano d'Aversa, Pozzuoli, San Maria Capua Vetere, San Cipriano D'Aversa, Villa di Briano e Villa Literno. E, oltre ai cittadini statunitensi, in quell'area vivono almeno 300 mila persone, tutte potenzialmente a rischio. Dai loro rubinetti potrebbero uscire le stesse sostanze che la 'Phase One' della ricerca ha evidenziato. Ma nessuno controlla. O, almeno, chi dovrebbe garantire la qualità di quell'acqua, evidentemente non lo fa fino in fondo.


Tutti dichiarano di effettuare puntuali verifiche: dal gestore del servizio (in molti dei casi in esame sono i Comuni, ndr), alle Aziende sanitarie locali, alla Regione attraverso l'Agenzia regionale per l'Ambiente. Ma, intanto, dai tubi sbuca di tutto ed è un palleggio continuo di responsabilità. L'acqua fornita da Acquacampania, società dell'Eni che gestisce l'Acquedotto della Campania Occidentale, è controllata costantemente anche grazie a uno degli impianti tecnologicamente più avanzati in Italia.

Il problema è nelle reti cittadine e, soprattutto, nei condomini dove nelle condotte finisce anche acqua di pozzo. A Casal di Principe, come a Villa Literno, Lago Patria e Santa Maria Capua Vetere, ma anche a Pozzuoli e Caserta, negli anni sono sorti palazzoni e villette come funghi, spesso con allacci abusivi alla rete fognaria e a quella idrica. "È una situazione drammatica, perché i comuni non sono in grado di monitorare le acque", denuncia Legambiente Campania. Ma non fanno nulla nemmeno le Province e la Regione. Eppure i segnali di allerta c'erano tutti da mesi e mesi.

C'è voluto lo studio americano per rovesciare un pentolone che nessuno aveva osato nemmeno scoperchiare: dopo un anno di emergenza rifiuti continua, il rischio sanitario in Campania è ormai reale. Diossina sprigionata dai roghi di spazzatura, moltiplicarsi di insetti e ratti, percolato che penetra nei terreni fino a inquinare la falda acquifera. Secondo dati ufficiali dell'Arpa Campania, solo il 18 percento delle acque sotterranee presenta una qualità 'elevata', a fronte di un 40 percento definita 'scarsa'.

Investimenti colabrodo
Questo, nonostante in Campania sul sistema integrato delle acque la Giunta Bassolino abbia investito, dal 2000 a oggi, oltre 265 milioni di euro di fondi europei e altri 270 sono previsti per i prossimi cinque anni. Soldi, i primi, gestiti senza soluzione di continuità da uomini imposti da Clemente Mastella. Almeno fino allo scorso gennaio, quando l'ultimo assessore all'Ambiente indicato da Ceppaloni, Luigi Nocera, è finito agli arresti nell'ambito dell'inchiesta di Santa Maria Capua Vetere che ha decapitato il Campanile e portato alla caduta del governo Prodi.

Il suo posto in giunta è stato preso da Walter Ganapini, impegnato in questi mesi quasi esclusivamente sul fronte rifiuti. Ma nulla è cambiato nella macchina amministrativa. E nemmeno nella gestione delle acque e degli appalti di manutenzione in Campania, che sembrano il vero assillo di Palazzo Santa Lucia. Più che la qualità delle acque, si bada alla quantità degli interventi. L'ultimo appena una settimana fa. Per due giorni e due notti gli operai delle ditte incaricate dalla Regione Campania hanno lavorato alla condotta DM 1300, una sorta di autostrada dell'acqua partenopea che in un anno aveva ceduto ben 52 volte, praticamente una volta a settimana.

Un intervento programmato, che ha interessato una quindicina di comuni vesuviani e costretto mezzo milione di cittadini, anche nella Costiera amalfitana, a file interminabili davanti alle autobotti nelle giornate più torride dell'anno. Un mese prima era andata peggio. Il guasto alle condutture era stato improvviso e il black-out idrico inatteso. In poche ore i prezzi di taniche e bottiglie di minerale erano schizzati in l'alto come un indice di Borsa impazzito.


(13 agosto 2008)


da espresso.repubblica.it
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