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« inserito:: Aprile 04, 2008, 05:47:21 pm » |
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Quando c’era il mito della «controinformazione»
Vincenzo Vasile
È stato uno dei primi, se non il primo dei libri dedicati al Sessantotto, che sia apparso - già nel mese di gennaio dell’anniversario - sui banconi delle librerie. Contiene la rivisitazione critica e per certi versi urticante di uno dei «miti» degli anni cruciali della transizione italiana, la Controinformazione. Scritta con la “c” maiuscola nella copertina di Bombe a inchiostro di Aldo Giannuli (Bur, pagine 526, euro 12,50), ma scavata - fuori dall’enfasi dell’amarcord - nelle sue luci e nelle sue ombre. Coltivando un’ipotesi che era circolata spesso tra gli addetti ai lavori, eppure mai era stata sostenuta con tanta chiarezza e con tale dovizia di documenti e particolari pressoché inediti: il lavoro comune - nel senso soprattutto di un ricorrente e carsico «mercato» integrato e intrecciato di informazioni - da parte dei «servizi segreti» in senso stretto e degli analoghi «servizi» del movimento, per l’appunto la Controinformazione. Che sin dallo slittamento semantico che si può ricavare dall’uso comune nel nostro Paese, debitamente registrato dai più diffusi dizionari, porta questo termine a indicare - proprio a partire dal 1968-69 in poi - l’attività di denuncia e di documentazione, di contestazione delle verità ufficiali fatta da ambienti del «movimento» di sinistra (extraparlamentare, e non solo).
Mentre altrove, e originariamente, controinformazione con la “c” minuscola era ed è soprattutto l’attività dei servizi di sicurezza e di controspionaggio di contrasto (anche attraverso l’intossicazione mediatica) della propaganda avversaria. Sicché quest’intreccio persino lessicale può spiegare molte cose. Sin dal momento topico che segna l’inizio della Controinformazione italiana: le 16,37 del 12 dicembre 1969, strage di piazza Fontana. Si noti che Giannuli si basa per gran parte su quella miniera che è stato per molte indagini giudiziarie (ma incomprensibilmente snobbata dalla ricerca storica) l’archivio dell’Ufficio Affari riservati del Viminale, o meglio i residui di quell’archivio, fatti ritrovare nel novembre 1996 presso un magazzino discarica della Circonvallazione Appia a Roma.
Fu proprio lo storico barese, autore del libro, nella qualità di perito consulente di diverse procure, e in particolare di quella di Milano che indagava sulla strage di piazza Fontana, a mettere per primo le mani su quei documenti, e analizzarli. L’Ufficio Affari riservati, retto per decenni dal piduista Umberto Federico D’Amato, burattinaio di mille intrighi, raccolse e redasse - tra l’altro - numerose informative sul libro cult La strage di Stato, capostipite della Controinformazione. E da esse si può ricavare una continua e sotterranea guerra tra servizi dello Stato l’un contro l’altro letteralmente armati, a colpi di bombe e di inchiostro: secondo i funzionari e gli informatori del più efficace e fosco «servizio segreto» del ministero dell’Interno, era stata proprio la controinformazione (con la “c” minuscola) messa in atto dal contrapposto Sid, la fonte privilegiata della Controinformazione militante in quella vicenda. In specie per l’attribuzione del complotto stragista ad Avanguardia nazionale di Stefano Delle Chiaie, (inquadrato negli Affari riservati), e per la sospetta e parallela sottovalutazione di Ordine Nuovo di Pino Rauti, affiliato invece alla filiera golpista dello stesso Sid.
Verità, veleni e depistaggi convivono anche in tutta la storia seguente. Oltre ai controinformatori in divisa e in eskimo, spuntano in questa accuratissima ricostruzione numerosissime pubblicazioni minori, all’origine di contrapposte piste e depistaggi, che hanno trasformato tanti casi irrisolti ma di evidente matrice, in purulenti e inestricabili «misteri», per la sovrapposizione di veline di forte contenuto ricattatorio germinate dalla guerra tra contrapposte correnti democristiane e relativi servizi segreti: non c’era solo l’ormai famosa O. P. di Mino Pecorelli, a rimestare nel fango e a confezionare avvertimenti e piste false, centellinando un 80 per cento di bugie, con quel 20 per cento di verità, che non fa mai male in un ricatto ben congegnato.
Tra gli altri episodi, c’è la campagna sottilmente favorevole ad Andreotti e venefica rispetto alla memoria di Aldo Moro, che sotto pseudonimo alcuni personaggi vicini al golpista «bianco» Edgardo Sogno fecero scattare con un libello a tiratura limitata in coincidenza con il ritrovamento nell’ex-covo br di via Montenevoso di una parte inedita del memoriale dello stesso presidente dc ucciso dai terroristi. Colpisce nel fluviale excursus lungo mezzo migliaio di pagine, qualche omissione: la sottovalutazione complessiva che Aldo Giannuli fa del ruolo che la stampa della cosiddetta sinistra «tradizionale» ebbe nella controinformazione, rispetto al primato della sinistra extraparlamentare. E la lacuna riguardante la presenza non rilevata di un analogo verminaio nell’informazione e controinformazione relativa a vicende coeve, riguardanti gli intrighi della mafia. Sconfitto il terrorismo, delitti, interessi politici e finanziari, e stragi continuarono a essere gli ingredienti principali di un’analoga guerra tra bugie e verità che ancor oggi inquina molta informazione e forse qualche controinformazione su quella frontiera.
Pubblicato il: 04.04.08 Modificato il: 04.04.08 alle ore 13.28 © l'Unità.
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